Settantatre teologi sulla Dominus Iesus

La Dichiarazione "Dominus Iesus", firmata dal prefetto della Santa Congre-gazione per la Dottrina della Fede, ratificata e confermata dal Papa Giovanni Paolo II il 6 agosto 2000 e resa pubblica il 5 settembre, viene ampiamente commentata in questo periodo dai mezzi di comunicazione sociale di tutto il mondo. A causa delle sue ripercussioni negative nel campo dell’ecumenismo e del dialogo interreligioso e poiché interessa diret-tamente la riflessione teologica delle Chiese, i teologi e le teologhe che sotto si firmano desiderano esprimere alcune osservazioni critiche in questi momenti di sconcerto, tanto nell’ambito cattolico come in quanti lavorano per un dialogo costruttivo in altre Chiese e nelle grandi religioni universali.

Desideriamo sottolineare, in primo luogo, l’inopportunità di tale pubblicazione. Mentre il documento papale Tertio Millennio Adveniente esprimeva il desiderio di entrare nel nuovo millennio con la raggiunta piena comunione fra i cristiani (n.34), la presente Dichiarazione apre una ferita fra le Chiese cristiane che necessiterà di molto tempo perché si richiuda. La "Dominus Iesus" ci sembra inopportuna perché, nell’anno del perdono e della riconciliazione, ha portato alla luce vecchi contenziosi che credevamo già superati. Come si può continuare a parlare oggi di "vera Chiesa" di fronte alle "chiese particolari" (Ortodosse) e alle "Comunità ecclesiali" (Protestanti e Anglicane) "che non sono Chiesa in senso proprio"? (n.17). Come si può affermare che i non-cristiani si trovino "in situazione gravemente deficitaria" (n.22) in relazione alla salvezza?

La Dichiarazione appare altresì inopportuna per quanto riguarda la descrizione negativa che fa della società e della cultura occidentali. Di fronte ad un orizzonte tanto oscuro come quello che – secondo la "Dominus Iesus" – insidia la Chiesa cattolica, questa si crede in dovere di adottare atteggiamenti belligeranti nei confronti di "teorie di tipo relativista che cercano di giustificare il pluralismo religioso, non solo di fatto ma anche de jure (o di principio)" (n.4) "le cui radici devono essere ricercate in alcuni presupposti, sia di natura filosofica o teologica, che ostacolano l’intelligenza e l’accoglienza della verità rivelata" (n.4). Con tale atteggiamento si sta mettendo in questione, qualora addirittura non lo si neghi, il pluralismo, che è uno dei valori fondamentali della cultura attuale.

Lo stile della Dichiarazione è più vicino al Sillabo di Pio IX che ai documenti del Vaticano II o ai testi di Giovanni XXIII, Paolo VI e Giovanni Paolo II.

Il testo della Congregazione vaticana mostra una chiara insensibilità di fronte ad alcuni degli obiettivi raggiunti nell’arco di varie decadi d’attività ecumenica, sia in ambito dottrinale – si rammenti la Dichiarazione Congiunta Luterano-Cattolica sulla dottrina della Giustificazione della Fede – come in quello pastorale. Conviene ricordare che le Chiese non parlano solo attraverso la dottrina. Il loro messaggio giunge anche per mezzo di segnali eloquenti e di gesti profetici, come i seguenti: il dono dell’anello pastorale che il papa Paolo VI fece all’arcivescovo di Canterbury; l’abbraccio dello stesso Papa al patriarca Atenagoras a Gerusalemme; la preghiera convocata ad Assisi da Giovanni Paolo II insieme ai leader religiosi del mondo; la visita dello stesso Papa, per la prima volta nella storia, alla sinagoga di Roma e la sua proclamazione solenne di fronte ai rabbini lì riuniti del fatto che "gli Ebrei sono nostri fratelli maggiori"; la preghiera, sempre di Giovanni Paolo II, al Muro del Pianto; la recente richiesta di perdono per i peccati commessi dalla Chiesa cattolica; l’apertura della Porta dell’Anno giubilare ad opera del Papa, che nell’occasione era accompagnato dal primate della Comunione anglicana e da un rappresentante del patriarcato di Costan-tinopoli.

Tre sono gli aspetti della Dichiara-zione che ci sembrano particolarmente preoccupanti: la sua concezione di dialogo; l’espressione "sussiste in" e il concetto di "salvezza".

Lo sfondo della "Dominus Iesus" è il dialogo ecumenico e interreligioso, ciascuno nel suo statuto proprio. Ciò nonostante, la sua concezione del dialogo risulta essere chiaramente riduttiva. Lo considera, è vero, "parte della missione evangelizzatrice" della Chiesa cattolica. Però quando sostiene che "la parità, che è il presupposto del dialogo, si riferisce all’uguale dignità personale delle parti, non ai contenuti dottrinali" (n.22), non dice tutta la verità sul dialogo. Il decreto vaticano sull’ecumenismo considera neces-saria la parità nel dialogo, "fra uguali", donde può venire un maggior chiarimento, non soltanto della dottrina degli altri, ma anche "della vera natura della Chiesa" (n.9). Il dialogo implica sempre un "mutuo arricchimento".

La Dichiarazione ignora affermazioni fondamentali della enciclica Ut Unum Sint (nn. 28-39) circa il dialogo ecumenico e le sue strutture locali, il dialogo come esame di coscienza e come metodo per dirimere le divergenze. In questa enciclica si afferma che "il dialogo ecumenico, che anima le parti implicate a interrogarsi, comprendersi e spiegarsi reciprocamente, permette scoperte insperate" (n.38). La rigidità della "Dominus Iesus" contrasta con la volontà di speranza e apertura di altri documenti come Ecclesiam Suam di Paolo VI e l’enciclica succitata di Giovanni Paolo II.

Buona parte del malessere sorto in seguito alla presente Dichiarazione negli ambienti cristiani, si riferisce a una formula che, a suo tempo, destò speranze ecumeniche: "La Chiesa di Cristo sussiste nella Chiesa cattolica romana", che veniva a sostituire la formula: "La Chiesa di Cristo è la Chiesa cattolica". Detta sostituzione, compiuta dal Concilio Vaticano II, era più che un semplice cambio di vocabolario. Con la nuova formulazione, il Concilio pretendeva di evitare la identificazione esclusiva ed escludente della "Chiesa di Cristo" con la "Chiesa cattolica". Il fatto che la Chiesa di Cristo sussista nella Chiesa cattolica non esclude che sussista anche nelle altre comunità cristiane. Se si evitò la totale identificazione fra Chiesa di Cristo e Chiesa cattolica romana, fu per riconoscere l’ecclesialità delle altre comunità cristiane. Quindi il riduzionismo che in questo punto si osserva nella "Dominus Iesus" ci appare preoccupante.

La categoria della salvezza, diretta-mente implicata nel dialogo interreligioso, nella Dichiarazione viene trattata in una maniera esclusivista. Per questo motivo ha irritato, crediamo a ragione, non poche persone credenti delle grandi tradizioni religiose dell’Umanità. Secondo il testo, l’idea che "la Chiesa pellegrinante è necessaria ai fini della salvezza… non si contrappone alla volontà salvifica universale di Dio" (n.20). Nonostante ciò, nel momento di chiarire tale compatibilità, si ricorre a espressioni confuse e critiche del tipo "la misteriosa relazione con la Chiesa cattolica di quanti non sono formalmente e visibilmente suoi membri" (n.20).

Alcune espressioni della Dichiarazione ci paiono quanto meno discutibili dal punto di vista dottrinale e certamente offensive nei confronti delle persone credenti delle altre religioni. Così, per esempio, quando afferma che "alle preghiere e ai riti (non cristiani)… non si può attribuire un’origine divina né un’efficacia salvifica ex opere operato, che è propria dei sacramenti cristiani…" (n.21). O quando afferma che "i non-cristiani obiettivamente si trovano in una situazione gravemente deficitaria se la si confronta con quella di coloro che, nella Chiesa, hanno la pienezza dei mezzi della salvezza" (n.22).

La "Dominus Iesus" afferma solennemente che "Dio vuole la salvezza di tutti mediante la conoscenza della verità. La salvezza si trova nella verità" (n.22). Noi chiediamo criticamente: la salvezza è possibile soltanto quando la verità è conosciuta e posseduta? Non assicura la salvezza la ricerca stessa della verità? Crediamo che sarebbe stato molto meglio che, in relazione alla salvezza, la Dichiarazione avesse invitato ciascuno a seguire i dettami della propria coscienza e alla coerenza fra vita e fede, ancorché tale fede non sia quella cristiana.

Con la pubblicazione di questo documento della Congregazione per la Dottrina della Fede, si vedono danneggiati, senza dubbio, la lunga parabola ecumenica nella Chiesa cattolica e il dialogo interreligioso e interculturale nel quale sono impegnati numerosi credenti delle diverse religioni del mondo.

Madrid ottobre 2000

Firmano questo documento:

Teologi e teologhe spagnoli:

E. Aguiló (Sevilla). Juan Bosch (Valencia). J. Botam (Barcelona). Gilberto
Canal (Madrid). José-Mª Castillo (Granada). José-Mª Díez Alegría (Madrid). L.
Diumenge (Madrid). C. Domínguez (Granada). Juan-Antonio. Estrada (Granada).
Jesús Equiza (Pamplona). Casiano Floristán (Madrid). Benjamín Forcano
(Madrid). E. Galindo (Madrid). M. García-Ruiz (Madrid). J- Gómez-Caffarena
(Madrid). José-Mª González Ruiz (Málaga). José-Ignacio González-Faus
(Barcelona). A. Ibáñez (Madrid). Julio Lois (Madrid). J. Janeras (Barcelona).
J. Llopis (Barcelona). C. Martí (Barcelona). Francisco. Martín (Badajoz). Mª
Martinell (Barcelona). Enrique Miret (Madrid). A. Moliner (Barcelona). J.-L.
Moral (Madrid). Secundino Movilla (Madrid). J. Ortigosa (Madrid), M. Pintos
(Madrid). R. Pou (Vic). F. Pastor (Madrid). Jesús Peláez (Córdoba). J.
Ruiz-Díaz (Madrid). F. Sanz (Ávila). Juan-José Tamayo-Acosta (Madrid), A.
Tamayo-Ayesterán (San Sebastián). Andrés Torres-Queiruga (Santiago de
Compostela). Rufino Velasco (Madrid). José Vico (Madrid) Evaristo Villar
(Madrid), Javier Vitoria (Bilbao). José Vives (Barcelona).

Teologi e teologhe dell’America Latina, Stati Uniti e Germania:

Leonardo Boff (Brasile). Jon Sobrino (El Salvador). Hans Küng (Germania).
Rosemary Radford.Ruether (USA). Mª Pilar Aquino (Messico). P. Sánchez
(Messico). Sergio Arce (Cuba). Mª.-C. Mejía (Messico). José-Mª Vigil (Panamá).
Marcos Villamán (R. Dominicana). L. Gallo (Colombia). N. Lozano (Colombia).
J. Torres (Argentina). Eduardo De la Serma (Argentina). I. Hernández (Porto
Rico), V. García (Nicaragua), F. Albertini (Germania). M. Soler-Palá (Porto
Rico). Sixto García (teologo ispanico in USA). C. Corzo (Perú), Ana Mª
Bidegain (Colombia), T. Motta da Silva (Brasile). M. Alanís (Argentina), M.
Breitenfeldt (Cile).

(Traduzione dalla spagnolo a cura di Giorgio Crespi).




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