Da "la Repubblica", 26 aprile 1999
INVADIAMOLO NOI IL KOSOVO, con i nostri corpi indifesi Una proposta di Enrico Peyretti
Ormai si vede bene chi ha fede nella guerra e chi ha fede nella pace, cioè nei metodi umani per risolvere i conflitti, anche i più difficili. Ormai questa guerra è una tragica conferma del "bellum alienum a ratione", verità enunciata in tutta chiarezza nel 1963 da papa Giovanni XXIII nella Pacem in Terris: "Nella nostra era, che si vanta della potenza atomica, è insensato (estraneo alla ragione) pensare che la guerra possa essere atta a risarcire i diritti violati". Questa guerra in atto conferma tragicamente che ormai la guerra non può essere strumento di giustizia, perciò non può mai essere giusta, mai umanitaria, né nell'intenzione né nel risultato, perché i suoi metodi sono sommamente ingiusti, distruttivi, mortali seminatori di odio. Tuttavia, la condanna definitiva della guerra non riesce ancora convincente per coloro che oggi non vedono come comporre da un lato il dovere della comunità dei popoli di ingerirsi dovunque a difendere attivamente i diritti umani offesi e, d'altro lato, l'altro dovere di non imitare e raddoppiare la violenza e il dolore. È necessario conoscere, mostrare e praticare le alternative alla guerra come mezzo per affermare le cause giuste e necessarie. Allo sviluppo di queste alternative lavorano da decenni i movimenti per la pace e la non-violenza, che si ispirano largamente alle grandi antiche tradizioni religiose e spirituali dell'umanità. Essi hanno pensato e praticato, specialmente in questo nostro secolo sommamente violento, preziose esperienze di lotte giuste senza uso di violenza; lotte che sono state spesso efficaci, se preparate con cura e coraggio. Il 25 aprile, su La Repubblica, Eugenio Scalfari fa una proposta analoga all'impresa di pace che il movimento "Beati i costruttori di pace" compi nel 1992 e 1993, quando centinaia di persone andarono a Sarajevo a testimoniare solidarietà con la popolazione assediata e ad invocare, con i loro corpi indifesi, la pace e la convivenza tra le etnie e gli Stati in guerra. Diversi altri precedenti meno noti di interposizione pacifica tentata e riuscita sono registrati nella storia della pace. Quelle spedizioni in Bosnia non fermarono la guerra, ma il loro valore esemplare non fu nullo, se oggi un osservatore certamente non utopista come Scalfari, vede in una marcia disarmata di pace l'azione popolare che potrebbe arrestare l'assurda guerra in corso e farci uscire da "questa palude di morte". Scalfari propone un "dolente, disarmato, pacifico corteo", seguito dalle televisioni di tutto il mondo e da salmerie di soccorso, una marcia di pace formata da Croce Rossa, volontari, coraggiosi difensori pacifici delle popolazioni vittime, che vadano a loro rischio in Kosovo ad interporsi tra gli eserciti, le bande, la guerra aerea' che riaccompagnino i profughi nei loro Paesi, ponendosi sotto l'egida dell'ONU, l'organismo politico dell'intera umanità, istituito nel 1945 per "liberare l'umanità dal flagello della guerra". Un tale grande segnale di umanità sarebbe una coraggiosa sfida a tutte le parti, che non osino dirigere una loro ulteriore violenza sugli ambasciatori disarmati della pace, ciò che toglierebbe ogni pretesa ragione alle loro armi. Una simile spedizione chiederebbe e moralmente esigerebbe da tutti di superare lo stallo stupido su chi deve smettere per primo, e di cessare subito contemporaneamente la selezione etnica disumana e il fuoco omicida: "Sappiamo bene che per le diplomazie il problema della faccia è importante - scrive Scalfari - sappiamo che spesso le guerre sono cominciate per ragioni di questa natura. Ma qui la guerra è umanitaria; non c'è petrolio da conquistare, traffici da controllare, ricchezze da disputare. Qui c'era e c'è soltanto umanità da tutelare e da riportare alla dignità che le è stata tolta". Ora, davanti a questa guerra dolorosa, orrenda e vergognosa, davanti a questa proposta ispirata alla irrinunciabile fraternità umana, che è sostanza e verifica di ogni senso religioso e umano, è necessario che le persone religiose, di ogni Chiesa e di ogni religione, rispondano prontamente e numerose. Ciascuno andrà o contribuirà secondo le sue possibilità personali, ma una grande risposta deve venire dalle religioni, se hanno un senso nella storia. Andranno esponenti rappresentativi e umili testimoni di fraternità, uniti in un ecumenismo spirituale e impegnato perché all'odio omicida si risponda con l'amore attivo e coraggioso. 6 Maggio 1999 |