“Ma voi non vi fate chiamare "Rabbì"; perché uno
solo è il vostro Maestro, e voi siete tutti fratelli. Non chiamate nessuno
sulla terra vostro padre, perché uno solo è il Padre vostro, quello che è nei
cieli. Non vi fate chiamare guide, perché una sola è la vostra Guida, il
Cristo; ma il maggiore tra di voi sia vostro
servitore. Chiunque si innalzerà sarà abbassato e
chiunque si abbasserà sarà innalzato».” (Matteo,23,8-12)
Sintesi degli interventi all’incontro
in vista del IV Convegno nazionale Ecclesiale (Verona, 16-20
ottobre)
Milano,
18 marzo 2006, sala verde, corso Matteotti 14
Negli ultimi cinque anni a Milano gruppi di base della
Chiesa cattolica hanno affrontato, in dibattiti e convegni e in modo
indipendente dalle strutture ecclesiastiche, problemi molto vissuti nella
comunità dei credenti, da quello degli omosessuali a quello dei divorziati
risposati, da quello della designazione del nuovo vescovo a quello della predicazione, da quello della riconciliazione a quello
della celebrazione eucaristica.
Queste riflessioni sono servite per una maggiore
consapevolezza dei veri problemi ed anche per le indicazioni concrete che hanno
offerto. Esse sono state però ignorate dalla stampa cattolica, poco disposta ad
uscire dai binari predeterminati di una
comoda ortodossia. In previsione del prossimo
convegno nazionale ecclesiale di
Verona l’incontro, di cui sono qui raccolti i principali contributi, ha riflettuto sulla mancanza di ascolto nella Chiesa. E’
quindi un messaggio per Verona. Anche questo
inascoltato?
Gruppo Promozione Donna, “Noi Siamo Chiesa”, gruppo
Pace di S. Angelo, Coordinamento 9 marzo
PERCHE' IL PROBLEMA DELL'ASCOLTO
(Introduzione di Teresa Ciccolini, a nome dei promotori
dell’incontro)
Tra i tanti problemi nell'ambito
intraecclesiale uno dei più cruciali ed evidenti è
quello dell'ascolto, perché da esso dipende la possibilità di una Chiesa
“altra” (evangelica, comunionale, relazionale, corresponsabile, in cui tutti si
riconoscano, nei fatti, di “uguale dignità” , cioè di “uguale valore” e quindi
si rapportino tra loro conseguentemente).
E' un tema ampio, che può prestarsi anche
ad equivoci ed ambiguità.
Perciò vogliamo subito delineare
e chiarire secondo quale senso usiamo questo termine, escludendo alcune
accezioni e prassi più comuni e generalizzate; soprattutto parziali.
L'ASCOLTO non può essere identificato
semplicemente con:
·
l'esaudimento di richieste: il che
implicherebbe sempre un andamento verticale che manterrebbe gli steccati, le
divisioni e le superiorità; l'ascolto non può coincidere con una concessione,
senza un consentire su un diritto o un dovere
·
la possibilità di parlare a senso unico con il risultato - così spesso sperimentato - di vedere
vanificata la parola di chi parla con il metodo dell'insabbiamento da parte di
chi ode le parole, ma esercita, per così dire la sordità
·
la disparità di collocazione di chi parla e di chi ascolta, per cui, se chi parla è la gerarchia, per il popolo dei credenti
l'ascolto deve essere unicamente l'obbedienza; se chi parla è la base non se ne
tiene conto oppure ci si affretta a rettificare, giudicare, prendere le
distanze.
L'ASCOLTO che qui proponiamo alla riflessione è reciprocità di parola,
confronto, dibattito, dialogo effettivo (che cioè
nasca dalla volontà comune e non sia indotto solo da una parte), che ponga al centro
·
anzitutto l'ascolto INSIEME della Parola, che dev'essere pubblico,
manifestato e vissuto come evento dalla Chiesa tutta, dev'essere centrale e
condiviso, non a strati o appartato in gruppi e gruppetti, e che deve
consentire di sminuzzare, ruminare insieme la parola di Dio, confrontandoci su
di essa insieme (gerarchia e base, laici e clero, uomini e donne), prestando
insieme attenzione, riflettendo, meditando, praticando
·
l’attenzione ai problemi della gente, a partire dai più scottanti, confrontandoci alla pari soprattutto con chi li vive sulla
propria pelle e mettendo a disposizione esperienze e competenze (senza
privilegiare e consultare unicamente i cosiddetti 'esperti')
·
il chinarsi sui vissuti per
raccogliere le modalità reali, le difficoltà, le indicazioni, la fatica, le
sofferenze, l'impegno, le prospettive, le novità, le possibilità di attuazione
·
lo scegliere e decidere insieme alla
luce dell'umanità delle persone (non indistintamente, ma uomini e donne reali),
del vangelo e della storia
·
il mettere insieme le proprie esperienze di fede e speranza, la propria fatica nel seguire un cammino aperto alle relazioni,
senza le quali non può darsi quell'amore appassionato e gratuito indicato da
Gesù come segno di riconoscimento dei cristiani.
Perché fa problema questo tipo d’ascolto nella nostra chiesa?
Perché non c’è o è molto sommerso e disperso? Perché
non è “segno”?
Se ne possono individuare alcune cause
(pur tenendo presenti le dinamiche storiche e sociali
della Chiesa, la complessità del suo articolarsi nei secoli e il nodo
chiesa/santa sede/Vaticano):
·
rigidità della struttura della Chiesa:
ancora molto verticistica e basata sulle distinzioni in senso gerarchico
·
e quindi mancanza pressoché assoluta (tranne per alcune
eccezioni della base o di singoli), di reciprocità, di relazione, di
comunicazione, di laicità
·
paura della novità e difesa dello status quo (pur di non cambiare ci si trincera)
·
prevalenza dell'istituzione, dei documenti, dei programmi prestabiliti, dell'ordine predeterminato e delle verità
cristallizzate e astratte, dell'ufficialità, delle regole, del diritto canonico
·
un certo pessimismo serpeggiante che
porta alla difesa e alla chiusura (si preferiscono le indagini e i sondaggi
apocalittici che non le linee evangeliche, i numeri più che le persone, le
cattedrali o le piazze riempite più che i gruppi che condividono liberamente
uno spirito e una prassi comunitaria)
·
mancanza di scambio e di comunicazione, di
circolarità dei cammini di fede e di speranza testimoniati.
Sintomatico è il disagio dei laici nella
Chiesa e in particolare delle donne (laiche e
consacrate).
Certamente il discorso non è dicotomico:
mentre alla base si allarga la presa di coscienza
critica dell'essere Chiesa (secondo il Concilio Vaticano II), è ancora molto
ampia la situazione di un laicato clericale e di un fronte femminile supino e
funzionale al sistema.
Ma siamo in una situazione di non ritorno,
in cui occorre, se si vuole essere credibili, dare una forma e delle modalità nuove alla Chiesa: occorre una conversione
massiccia al Vangelo e quindi all'uomo che ne deve essere segno e annuncio.
Solo a modo d’esempio: che l'ascolto non venga praticato anche
solo nel senso del prendere atto di quanto dicono le donne e di come si muovono
si desume da alcuni fatti:
·
ci si preoccupa sempre di definire l'identità e il ruolo delle
donne, senza interpellarle direttamente (magari si inneggia
a loro valore, al loro “genio” , che però non ha ricaduta pratica, come se
appunto non contassero nulla o molto poco)
·
in una chiesa (e in una società) dove
prevale il codice maschile e quindi è patriarcale e paternalista nella sua
visibilità, manca la sottolineatura e ancor più l'assunzione di quei
requisiti che attengono al cosiddetto codice “femminile” , come
l'accoglienza, la centralità della vita, la corporeità (come percezione e
concretezza comunicativa), la tenerezza, la relazionalità
·
né c'è l'attenzione a coinvolgere le donne (e non solo le esperte o gli esperti) per i problemi o i ruoli
che le interessano direttamente, ascoltando e confrontando i vissuti e le reali
difficoltà
·
il risultato è di considerarle perennemente minorenni e bisognose di guida.
Certo, molti
altri sono i problemi relativi alla presenza
delle donne nella chiesa (una presenza ancora folta, anche se invisibile e poco
incisiva per mancanza di spazio), ma qui si volevano segnalare solo alcuni
aspetti relativi ad un ascolto, così come indicato prima, che non c'è.
Prospettive a breve e lungo raggio:
·
creare, promuovere e sostenere spazi pubblici e ufficiali, aperti, e
occasioni in cui si possa esercitare l'ascolto nella Chiesa e come Chiesa con tutte le sue componenti alla pari (ripartire da
zero? utilizzare gli organismi che già ci sono, come i
vari Consigli, che per lo più sono atrofizzati, capovolgendoli?)
·
creare e privilegiare spazi di formazione comune (gerarchia e base, laici e clero, uomini e donne) dandosl
credito a vicenda e cercando insieme la verità del Vangelo, nella fatica ,
ma anche nella gioia di camminare insieme e di sostenerci nell'essere sale e
luce nel mondo, proprio perché abbiamo imparato a collaborare a partire da
relazioni vere ed umane, perché ci si ascolta tutti con il cuore e con la mente
·
favorire ed educarci ad una mentalità, una cultura, dell'ascolto reciproco
costituendo relazioni, comunicazioni, circolarità di notizie e dl esperienze, contatti interpersonali, e
coordinando con semplicità e stima i tentativi in questo senso
·
parlare, esercitando il diritto di parola,e di critica, ma non accettare di parlare a vuoto o per se stessi o in unica
direzione bensì esigere attenzione, rispetto, confronto vis a vis,
·
sostenere contro ogni e diffuso clericalismo la dignità di laici come
valore che anche i
preti dovrebbero riconoscere e rivendicare per sè (Gesù era un laico)
Interventi
Grazia Villa
Faccio parte del “Gruppo
promozione donna” e della “Rosa Bianca”. Ci sono alcuni argomenti, in
particolare vita, aborto, famiglia, che nella chiesa sono occasione di non- ascolto sia tra
vertice e base sia, soprattutto, tra i laici, nella base stessa. Sulla stampa cattolica si sono lette
recentemente affermazioni radicalmente
negative (“Avvenire”, inserto Genitori e figli, di M.Branca Pisano) a proposito
di fecondazione artificiale (“…la sopravvivenza dell’embrione è segnata dalla
morte dei fratelli e delle sorelle….”) e
della donna single (autosufficiente, dura, negatrice di
eredità di affetti), mentre in altri luoghi sono state commentate in
modo provocatorio alcune affermazioni contenute in un documento di Ratzinger
pubblicato prima del pontificato sull’origine della vita umana. Linguaggi molto
distanti. Ascolto è udire parole, ma se queste parole hanno significati
divergenti e valenze che evocano simboli e sensi totalmente diversi, ci si può
anche mettere ad ascoltare con disponibilità, ma la comunicazione non può
avvenire. Nella campagna referendaria sulla legge n.40 ho constatato
un montare della polemica non solo nella gerarchia, ma anche nella base; ma
parlando con le persone nelle parrocchie emergevano i nodi di sofferenza, il
cuore, che tali temi toccano: occasioni
interessanti, ma sprecate dalla minuzie di definizioni che hanno rovinato la
possibilità di affrontare in modo vitale temi importanti. Anche il tema della
sessualità ultimamente viene esasperato.
L’affermazione “Io sono mia” non è lontana dalla tradizione del Cristianesimo
che rifiuta la dipendenza cieca e silenziosa, può essere un’esigenza della
custodia di sé, di protezione dall’invasività violenta dell’altro in senso non
necessariamente individualistico. Se però la si prende
come uno steccato in contrapposizione con l’altra affermazione “Tu sei di Dio”,
chi le pronuncia non può comunicare.
Anche per parlare di famiglia oggi la chiesa fa ricorso a
un linguaggio che non favorisce la comunicazione ; cita la Costituzione per
indicare che la famiglia è la “cellula della società”. Altrettanta esigenza di
chiarezza deve emergere nel parlare di famiglia con i fratelli Ebrei, nei
riferimenti biblici.
A Verona ci saranno certo i
rappresentanti dei movimenti, ma non saranno loro a suggerire fecondi spunti
alla gerarchia, saranno i singoli, presunti esperti che la gerarchia ha già
prescelto.
Gianni Geraci
Sono del “Coordinamento
gruppi omosessuali credenti”. Karl Rahner in “Lettera aperta sul celibato” a un allievo che aveva lasciato il sacerdozio per sposarsi
chiedeva di sforzarsi di ascoltare, unica modalità per consentire che lo
Spirito agisse positivamente. Appunto l’ascolto nella chiesa
si distingue dall’ascolto nella società per la fiducia del credente
nell’azione dello Spirito. Nell’ascolto facciamo risuonare in noi quello che
l’altro dice, in un clima di fiducia: non posso accettare che l’altro penetri
in me e mi cambi se non mi fido dell’altro. Proprio il problema della fiducia è
il cardine della posizione della chiesa verso le persone omosessuali. Da un
lato le persone omosessuali hanno preso pian piano coscienza di sé, hanno piano
piano riconciliato la propria omosessualità con la propria storia, superando la
schizofrenia di milioni di omosessuali credenti che
esaltano una continenza che non cercano e cercano una promiscuità che
aborriscono. Tale schizofrenia nasce dal tradizionale approccio della chiesa,
che si può sintetizzare con la frase di Mons. Maggiolini:”La
chiesa dev’essere rigida sui pulpiti e accogliente nei confessionali.” Ma le chiese che hanno iniziato un’apertura verso gli
omosessuali, come negli U.S.A. (benedizione degli omosessuali, accoglienza nel
ministero), sperimentano grosse frizioni con Roma. La soluzione delle fratture
nella personalità e nei vissuti delle persone e nella chiesa stessa può
nascere solo se l’ascolto parte dal superamento della paura. Gli
omosessuali nella chiesa sono un problema così grande perché sono rimossi,
tanto che non li si invita a parlare nemmeno quando si
organizzano convegni su di loro. Si ha paura di loro perché mettono in crisi il
rapporto tra desiderio di felicità anche attraverso la relazione sessuale e
desiderio di pienezza attraverso la fede. Il primo passo da fare è incontrarsi
e comunicare i propri vissuti, dandosi il tempo necessario: Leandro Rossi una
volta, in un suo incontro al “Guado”, disse che
occorre dare alla gente il tempo per cambiare.
Noi omosessuali credenti abbiamo partecipato per un anno a un “tavolo” di confronto cui intervenivano anche psicologi
scelti dalla C.E.I..Poi l’esperienza si è esaurita, ma il “perdere tempo” su
queste tematiche anche pubblicamente deve essere affrontato dalla chiesa, se
vuole vincere la scommessa di entrare in contatto con le molteplici diversità
di una società tanto frammentata. Il rischio altrimenti è che la chiesa, che
vuole definirsi cattolica, universale, alteri la comprensione della realtà
partendo dai propri pregiudizi, come si vede con ciò che accade nelle facoltà
pontificie in relazione alle terapie riparative
dell’omosessualità, che portano ad altissime percentuali di suicidio: visto che
non ci si riesce a confrontare con la realtà, ci si inventa una realtà che
piace. Una chiesa che si comporta così non è cattolica, universale.
Elisa Antoniazzi
Faccio
parte della Comunità Oasi di
Cernusco sul Naviglio
Thomas
Merton diceva “Pellegrino che muove per mettere in atto un comando del Signore”.
Parole
che condividiamo – il Concilio Vaticano II ce lo ha
consegnato. Parole che prendono vita, che si trasformano nella professione
religiosa.
Il Concilio Vaticano II dice che la professione
religiosa, pur non appartenendo alla
struttura gerarchica della Chiesa, interessa la sua vita e la sua santità. Di
fatto questo interesse alla fine non c’è, e questa
esperienza viene considerata un fatto privato.
Ho
avuto la triste esperienza di vedere, su 700 pagine di documenti di ecclesiologia recente, solo quattro sono dedicate alla
vita consacrata, dove si dice che effettivamente fanno del bene alla Chiesa. Si
sa, una suora lavora molto, tace…. Ma, o stai dentro nel
vissuto normale, facendo quello che gli altri ti dicono di fare, oppure
il fatto che hai fatto professione di fede con i tre voti di povertà, castità,
obbedienza, per la vita religiosa e la vita comunitaria risulta come un
ostacolo. Esattamente la stessa
difficoltà di una sposa che dicesse “Questa sera avrei
un cinema con mio marito”; provate a dire da qualche parte “Questa sera avrei
una lectio comunitaria” : ma, stai servendo qui….. Oppure non ci sei, le
comunità vanno per la loro strada; qualche rampogna, qualche parola di
apprezzamento ….
Come
ha già detto Teresa, la difficoltà di cogliere la vita di una chiesa che è un
corpus, dove ciascun membro è interessato all’altro, non c’è solo il
riferimento al Capo e questo grazie e all’interno del movimento dello spirito.
Una
tesi di ecclesiologia molto interessante
“Ecclesiologia pneumatologica” di Gabriele Cislaghi del Pontificio Seminario
Lombardo fa della categoria del “nesso” una categoria teologica. Per dire, nesso della chiesa
come vita trinitaria, nesso della chiesa
come trama di legami. Nesso non
autoreferenziale, ma identificabile con lo spirito. Perchè nei testi viene fuori questo tema, poi non si riesce a viverlo. Il
problema è “lo spazio”. Una via d’uscita, di aiuto è
il confrontarsi sulla Parola, sapendo che quella bella immagine di Atti 2 non è
solo poesia rispetto ad una storia più litigiosa,ma è una poesia che ha mosso
una storia e probabilmente è una poesia che si rileva in quella storia così
faticosa.
Io
ho avuto delle esperienze fortunate, legate al parroco tale o tal’altro che è bravo ecc. – ma proprio per questo io sono
dell’idea di: andiamo un po’ per la nostra
strada con questo stile – perché a un certo punto, quando si troveranno
da soli, dovranno pur cambiare…..
Per
amore di verità devo citare Simone de Beuvoir che parlava di “prigioni
dorate”in cui bisogna dire si trovano buona parte delle congregazioni femminili
e maschili, se l’ex-Padre Generale dei Domenicani diceva ai suoi 9,000
domenicani “Basta, finiamola di essere Parroci –
andiamo avanti seguendo un nostro percorso in termini di profezia” – parola un
po’ abusata.
C’è
il problema di ascolto della base, ma come sempre c’è
anche il problema della messa in discussione, perché alla fine mettersi
tranquilli in un posto e non litigare con nessuno è sempre più comodo
Vittorio Bellavite
Sono
il coordinatore di “Noi Siamo Chiesa”. Mi è stato
assegnato il compito di raccontare l’ascolto (in realtà il non-ascolto) da
parte della gerarchia verso un piccolo movimento come il nostro.
La
Gerarchia aveva tre possibilità: ignorarlo – dialogare- fare una grande polemica.
Questo
movimento esiste da dieci anni e ha sempre cercato di fare una riflessione
generale sui problemi della Chiesa, dal medioevo al papato di Woytila fino alle
tematiche di cui parliamo oggi.
Bene,
per riferire quello che è stato l’ascolto, devo dire che la terza possibilità è
stata scelta solo da Mons. Nicora, quando era vescovo di Verona, il quale non
sapendo bene come vanno le cose in Italia ha scritto
una lettera di tipo terroristico a tutti
i Parroci, definendoci eretici ed invitando a
mandarci via dai sagrati.
Questa
lettera è rimasta isolata, ma non è passata neppure la seconda linea, quella
del dialogo, del confronto,bensì la prima che è quella
del silenzio. Praticamente, l’esistenza del nostro
movimento è conosciuta solo da chi legge Adista, nei nostri circuiti, dagli
addetti ai lavori. Quando è uscito l’”Appello dal popolo di Dio” nel ’96 (è il
testo fondativo del movimento), “Avvenire” ha pubblicato un unico attacco
frontale senza riportare il nostro testo, per cui uno
leggeva che “eravamo cattivi” senza sapere cosa avevamo detto.
Questa
linea del silenzio è stata portata avanti, forse senza decisione esplicita, ma come realtà di fatto, coerente
alla logica per cui ogni Vescovo, quando ha davanti
una questione complicata a livello teologico-morale, si tira indietro
rinunciando al proprio ruolo di Vescovo e dice “Queste cose dipendono dalla
Conferenza Episcopale, dal Vaticano” per cui si scarica di ogni responsabilità.
In
Italia questo ostruzionismo fondato sul silenzio è
andato avanti, ma all’estero le cose sono andate un po’ diversamente. In
Germania il movimento è più forte che in Italia ed è ascoltato e conosciuto. In Austria è stata
convocata una grande assemblea a Graz nel ‘98 che ha
visto la presenza di tante comunità ecclesiali e che ha portato ad accettare
molte delle proposte di Wir sind Kirke (Noi Siamo Chiesa). Ma ci fu una immediata convocazione dei vescovi austriaci a Roma ed
il Papa li invitò esplicitamente a fermarsi. In Spagna nel luglio del 2002 con
un preciso pronunciamento “Somos Iglesia” è stata definita fuori
dalla comunità ecclesiale, ma i
nostri amici spagnoli hanno continuato per la loro strada.
Questa
è la logica burocratica e gerarchica, che impedisce, blocca il dialogo dal
basso verso l’alto, cioè da noi, da un movimento che
parte dal popolo di Dio e si rivolge alle strutture.
Con
amarezza dobbiamo dire che non è stato buono neppure il rapporto con il Card, Martini, che si è lasciato coinvolgere da logiche
di tipo ecclesiastico, per cui ci ha ostacolato, non ci ha mai risposto. Sul problema dei
divorziati-risposati: silenzio. Sul problema della nomina del successore, noi
abbiamo fatto proposte, dopo aver fatto ricerche sulla storia della Chiesa dove
per secoli i Vescovi non sono stati nominati dal Papa, ma sono stati espressione del clero e del popolo, in forme anche
molto diverse e contraddittorie: mai risposto. Mai incontrato. La cosa è finita lì.
Con il Card. Tettamanzi inizialmente la cosa è stata
un po’ diversa: gli abbiamo scritto gli auguri per la nomina, pur facendo
presente di non essere d’accordo sul metodo della nomina: prima ci ha risposto ringraziandoci, poi più niente.
Nell’ottobre
2003 abbiamo scritto un documento su “Percorso della pastorale triennale della
diocesi”, che con nostra sorpresa è stato ritenuto particolarmente felice non
solo nei nostri circuiti underground, ha alimentato la ricerca a partire dal
Vangelo, ma nei confronti dell’autorità diocesana non ha avuto alcuna
conseguenza. Silenzio continuo.
Riguardo
alla Legge 40 abbiamo scritto che saremmo andati a
votare: nessuna risposta.
Nel
decennale di Noi Siamo Chiesa nello scorso febbraio (ed anche
prima) abbiamo mandato dei libri a decine di Vescovi. Solo pochissimi
hanno risposto, e la maggior parte con parole di cortesia formale.
C’è
anche un ascolto all’interno della Chiesa, trasversale, dal basso al basso, nei
confronti del tessuto delle nostre comunità religiose, delle parrocchie, delle
congregazioni religiose. Abbiamo
rapporti ottimi con alcuni dei migliori teologi che sono della nostra area:
Paolo De Benedetti, Barbaglio, Cereti, Piana, Rosanna Virgili e tanti altri – cioè con esponenti che riflettono sul Vangelo e non sul
Codice di Diritto Canonico.
Le
tematiche che solleviamo sono presenti in tutto il tessuto del mondo cattolico,
hanno possibilità di essere ascoltate, di sollevare e proporre soluzioni a
tematiche di sofferenza. Nel nostro piccolo,
se non avessimo il problema della comunicazione
si potrebbe fare un salto in avanti nella direzione dell’ascolto di queste
nostre proposte.
Discuteremo come andare all’assemblea ecclesiale di Verona di ottobre,
perché non sia solo un’operazione di immagine, ma sia qualcosa che comprenda
soprattutto quella parte della Chiesa
che più si rifà al Concilio, che è
impegnata nel sociale, nei gruppi biblici ……….
Lunedì
27 ci sarà un incontro in cui si discuterà “Chiesa e Stato – laicità e
laicismo”. Sarà presente Mons. Coccopalmerio, Vescovo della diocesi di Milano,
responsabile giuridico del rapporto Stato e Chiesa a livello della CEI . Grazie al decanato di Città Studi interverrò come
rappresentante di “Noi Siamo Chiesa” , portando
una critica al Concordato,
all’interventismo politico della Conferenza episcopale in questo periodo; una
critica portatrice di un ascolto della base, per un messaggio che parli alle
coscienze e non al ceto politico.
(N.d R. All’incontro poi Mons. Coccopalmerio non ha
partecipato per reazioni nate nella curia diocesana alla partecipazione
dell’esponente di “Noi Siamo Chiesa”)
Giovanni Colombo
Devo
parlare 10 minuti su “Chiesa e
politica”, allora iniziamo dalla
primavera del 95: con la rottura Buttiglione e Partito Popolare si ha
la definitiva archiviazione del partito
cristiano. Con il convegno di Palermo si ha la rottura
dell’unità politica dei cattolici – la Chiesa non si mischia nella
politica – si auspicano luoghi di confronto tra i cattolici impegnati in
politica.
Da
lì, con la gestione Ruini viene praticato un altro
schema: la Chiesa si mostra molto compatta, Ruini ha davvero una forte capacità
di controllo sui Vescovi, a partire dalle nomine – un controllo totale sulle
Associazioni, vedere quello che è successo con CL: a Rimini si è rappresentata
una bella operazione ad uso mediatico, una stretta di mano sul palco per far
capire che tutto è sotto controllo.
Da
quel momento parte il discorso di un progetto culturale cristianamente
ispirato, con la costituzione di alcuni tavoli come
cultura-scienza, vita-famiglia, vita-sociale, dove il mondo cattolico
ricompattato secondo quella logica si rapporta alla politica in maniera diretta,
chiedendo ai politici che in quel momento hanno responsabilità istituzionali un
impegno preciso su alcuni di quei temi sensibili. I cattolici impegnati non vengono neanche ascoltati, ma viene chiesto di essere degli
esecutori.
Non
importa che l’interlocutore politico sia cattolico, basta sia “sensibile” –
anzi, la storia insegna che dal “principe laico” si ricava più che dal
“principe cattolico”, perché scatta quell’attenzione particolare del laico
verso il mondo cattolico per tenerselo buono, quindi le concessioni sono ancora
maggiori.
Noi
che siamo cresciuti come cattolici adulti, che nel mondo politico siamo abituati a fare le nostre scelte, siamo fuori da
questo schema.
Suor Elisa prima ha detto “Facciamo il nostro percorso”.
Io l’ho capita così: leggo i documenti ufficiali – informo di quello che sto
facendo io . Non è granchè, ma è il modo per vivere
oggi un po’ il “nesso”. Il prossimo libro che scriverò
sarà un’autobiografia “Da cristiano ad umano”.
Federico Zanda
Faccio parte della parrocchia di San Giovanni in Laterano,
sono da quindici anni nel Consiglio
Pastorale Parrocchiale e sono stato cinque anni nel
Decanato e dieci anni nel Consiglio Pastorale Diocesano.
Il card. Martini definiva il consiglio pastorale “Il
momento in cui posso ascoltare le persone” e privilegiava
un ascolto legato molto alla testimonianza. Dovrebbero essere dei momenti
privilegiati in cui i Vescovi si “convertono”. Penso
ai grandi Vescovi dell’America Latina, che hanno ascoltato quanto raccontato
dalla gente e convertito la loro vita.
Parto dall’esperienza di 15 anni nel Consiglio
Parrocchiale. Il problema è che vengono nominate
“persone possibilmente rappresentative di gruppi”; c’è carenza di effettiva
partecipazione, di ascolto dei problemi reali che ci sono. In base all’ordine
del giorno le decisioni sono molto limitate, c’è il rischio che il Parroco dica “Faccio io”. E poi, la litigiosità:
invece che accettare le differenze è facile che si creino degli scontri, ma per
motivi marginali. Non si crede veramente nel valore dell’ascolto e nel
valore di far parlare il popolo di Dio. Nel Decanato la mentalità è un po’ leghista, non ci si arrischia ad uscire dal mondo
delle parrocchie. C’è da dire che anche noi laici siamo troppo abituati ad
obbedire…..
Consiglio Diocesano: oto anni martiniani
e due di Tettamanzi, un bel cambiamento.
L’aspetto più positivo del
Consiglio Diocesano era lo stile della “comunione fra consiglieri”, momento
distensivo quando si mangiava insieme: poi il momento finale del “Caminetto”
alla sera, di effettivo dialogo sufficientemente paritario.
La difficoltà poi era quella di
trasformare il tutto in effettiva ricaduta sulla pastorale della diocesi, per
la burocrazia curiale ecc. C’è una forza profetica nell’ascolto.
Ascoltarsi introduce a tutti i livelli un radicale
cambiamento, ma bisogna ascoltarsi avendo davanti l’essere umano completo,
senza nessun tipo di pregiudizio.
Rosangela Vegetti
Da 30 anni mi occupo di informazione
religiosa, e ne ho vissute parecchie. Effettivamente, il mondo della comunicazione
non può non trasmettere e riflettere
quelle dinamiche del processo di trasformazione
vissute in questo trentennio, passando attraverso mezzi diversi – da periodici
di varia periodicità a radiotelevisione, adesso internet…. Tutto un arco di esperienze di comunicazione in questo settore.
Non sappiamo ancora veramente cosa siano i mezzi di
comunicazione – sono dei mezzi, non sono loro dei contenitori, dei portatori di
verità. Benedetto XVI ha detto l’altro giorno che i giornalisti devono dire la
verità – io mi sono spaventata – “Ma che
verità do io?” è una cosa su cui dovrei discutere molto.
Quando si pensa a “media cattolici”
viene in mente Avvenire, poi Famiglia Cristiana. Ma in
realtà abbiamo migliaia di testate, dalla Libreria Editrice Vaticana fino
all’ultimo bollettino parrocchiale o agli SMS che qualcuno può lanciare per
fare convocazioni ad incontri, per trasmettere notizie. Oggi abbiamo un arco
imponente, fra editrici nazionali ed internazionali, con testate di portata
diversa. Ad esempio, tutti gli istituti religiosi
hanno una loro testata, in fondo, ciascuno ha il suo carisma; vi si trovano
fior di giornalisti professionisti che scrivono, gli stessi religiosi o
religiose hanno acquisito delle competenze professionali e si producono
bollettini di qualità, non sono più delle banalità e ciascuno contiene qualcosa, portando anche il vissuto del
territorio in cui si trova. Allora non posso più genericamente dire che
l’ascolto non ci sia.
Poi mi si dice che però i film sono così noiosi… E’ poco
noto che a Roma c’è un Centro per la Formazione di Operatori
di organi e di strumenti di comunicazione, internazionale e di qualità
assolutamente mondiale. Allora, perché con tutti gli strumenti che abbiamo
siamo in fondo così poveri di comunicazione e di informazione?
Si è fatta molta strada dal dopoguerra, quando le suorine
di San Paolo viaggiavano con le sporte piene di libri e hanno fatto capire – ad
una popolazione con il 40% di analfabetismo – che era
importante imparare a leggere e che
valeva la pena di leggere qualcosa in più dell’immaginetta che il Parroco
distribuiva nelle grandi occasioni.
Tornando all’ascolto: ci devono essere degli
interlocutori. Noi automaticamente pensiamo sempre che gli interlocutori siano
Ruini e la sua squadra. Ma non sono solo loro. Perché la difficoltà per me che scrivo è pensare che chi mi legge
possa essere da uno vicino ai lefevriani ad una persona totalmente digiuna di
cose di chiesa, benché battezzata e che a sentir nominare Ruini non sa chi sia.
Avendo davanti a me un arco così ampio, io devo cercare di dare qualcosa che
almeno a livello di linguaggio sia comprensibile. Perché noi abbiamo la sensazione di vivere sempre degli spicchi,
come se la nostra chiesa fosse il nostro spicchio. Io devo tener conto
di quello che mi dice Ruini e di quello che, per esempio, la settimana scorsa
ha detto Cacciari, il quale ha fatto un prospetto panoramico della situazione
storica in cui versa la Chiesa, che mi ha fatto un po’ tremare le vene e i
polsi, perchè effettivamente, anche se poi diciamo che lo Spirito Santo agirà,
abbiamo a che fare con una Chiesa che storicamente è in un tempo completamente
nuovo, dato che non vive più dei conflitti aperti, ma il suo contraltare è
l’assoluta indifferenza, quindi non ho neanche più termini di discussione e
confronto.
Adesso un portale della Diocesi rafforzerà un settore per
fornire materiali di rassegna stampa a quei Parroci
che vogliono fare il proprio bollettino. Infatti ora
si torna all’idea che i bollettini servono per creare momenti di dialogo,
approfondimenti, quindi sono utili.
La difficoltà della Chiesa istituzionale è quella di
concepire lo spazio della dimensione di fede e della
religione nella propria esistenza. Siamo passati da un periodo in cui c’era
l’obbedienza e la delega totale, al momento della contestazione ed allora si contestava a
raffica qualunque cosa, al momento in cui la religione è stata intesa come un
fatto privato e quindi anche le testate e le informazioni dovevano essere molto
generaliste, poi ognuno si educava con scelte proprie e allora anche in questo
caso c’erano alcune testate particolarmente specialistiche e riprendevano forza
alcune testate di carattere devozionale.
Pensate che i mezzi di comunicazione più diffusi sono
quelli legati ai Santuari, perché è l’affettività che entra in gioco, e poi non
sono neppure tanto banali.
In tutto questo, anche la Facoltà Teologica anni fa ha
fatto un convegno sugli aspetti psicologici della fede, perché nella
globalizzazione e frantumazione della persona ci sono dentro tutte le componenti. Il problema dell’ascolto è molto complesso.
Nella chiesa oggi si verificano situazioni di mancanza di ascolto.
Un’esperienza che ho recentemente vissuto me l’ha
dimostrato: mi è stato chiesto di fornire supporti ed esempi di donne di “potere” a convalida di
un impianto teorico già preordinato. Quando ho
avanzato dei dubbi sulla validità di tale metodo, sono stata definita non adeguata al compito: non sono
state ascoltate le mie perplessità. D’altra parte ho visto anche esperienze
molto ricche nell’ambito dell’ascolto, come il prossimo forum delle religioni a
Milano: un esempio profetico dell’ascolto tra Battisti, Comunità Ebraica,
Diocesi, Casa della Cultura Islamica e Comunità Sufi, preparata dalle intere
chiese, dalle basi. Il Card.Martini aveva istituito un
momento di discussione aperta e libera con i giornalisti e l’iniziativa si era
rivelata un vero momento di ascolto. Poi i giornalisti
hanno subito un ricambio, l’iniziativa si è esaurita; i nuovi giornalisti,
oggi, alle conferenze stampa si mostrano disinformati,
non interessati: la comunicazione non passa.
Mons. Giampiero Crippa
Sono stato delegato
dall’Arcivescovo ad organizzare la partecipazione della diocesi all’Assemblea
ecclesiale di Verona. Premetto che sono
venuto ad ascoltare. Vi raccomando di
non mollare, ma non dovete andare per la
vostra strada da soli, perché dentro la chiesa si soffoca, ma fuori si rischia
di morire. Nella Curia milanese si sentono molte delle cose che si dicono qui.
Ho chiesto il coordinamento dei gruppi e delle associazioni per la mia lunga
esperienza e per la stima che le associazioni stesse mi hanno dimostrato. La
chiesa deve essere unita, altrimenti non può testimoniare e l’ascolto deve
avvenire non solo nei luoghi istituzionali ma
anche in luoghi come questo, con gruppi di cui non bisogna avere paura. Invece spesso la chiesa non ascolta. Ho suggerito che per
Verona si rifletta sulla lettera di S.Pietro,
cap.3°,15, che consiglia di usare dolcezza e rispetto, retta coscienza, anche
se nella sofferenza. Rispetto per la laicità, dolcezza cioè
senza imposizioni. Troverete in me sempre un interlocutore disposto ad
ascoltare, soffrire e pregare con voi..
Mauro Castagnaro
- Il problema dell’ascolto
secondo me oggi consiste nel come far sì che siano ascoltate
voci che solitamente non si ascoltano.
- C’è uno scarto tra il tema
di Verona, la speranza, e l’immagine che la chiesa dà oggi, che è paura,
preoccupazione di rassicurare.La speranza dà respiro, incoraggia a rischiare,
invece la chiesa si ripiega in posizione difensiva.
- Oggi sono sempre di più
coloro che si sentono fuori dalla chiesa. Come dare
voce a questo disagio? Si potrebbe organizzare per settembre un momento
nazionale in cui questi pezzi di chiesa possano avanzare proposte e finalmente
farsi sentire su tante tematiche che ora non sono
considerate, per esempio quelle del dialogo interreligioso, dell’ecumenismo,
delle persone omosessuali….
Conclusione di Teresa Ciccolini
Cercheremo di fare il
possibile per scrostare le rigidità di un’organizzazione, quella di Verona, che
non lascerà passare nessuno che non sia previsto e per dare il nostro
contributo.
Milano 18 marzo 2006