Ma voi non vi fate chiamare "Rabbì"; perché uno solo è il vostro Maestro, e voi siete tutti fratelli. Non chiamate nessuno sulla terra vostro padre, perché uno solo è il Padre vostro, quello che è nei cieli. Non vi fate chiamare guide, perché una sola è la vostra Guida, il Cristo; ma il maggiore tra di voi sia vostro servitore. Chiunque si innalzerà sarà abbassato e chiunque si abbasserà sarà innalzato».” (Matteo,23,8-12)

    

 

                                                  Sintesi degli interventi all’incontro

                                   Per l’ascolto nella nostra Chiesa”

 

                      in vista del IV Convegno nazionale Ecclesiale (Verona, 16-20 ottobre)

 

                                   Milano, 18 marzo 2006, sala verde, corso Matteotti 14

           

            Negli ultimi cinque anni a Milano gruppi di base della Chiesa cattolica hanno affrontato, in dibattiti e convegni e in modo indipendente dalle strutture ecclesiastiche, problemi molto vissuti nella comunità dei credenti, da quello degli omosessuali a quello dei divorziati risposati, da quello della designazione del nuovo vescovo a quello della predicazione, da quello della riconciliazione a quello della celebrazione eucaristica.

            Queste riflessioni sono servite per una maggiore consapevolezza dei veri problemi ed anche per le indicazioni concrete che hanno offerto. Esse sono state però ignorate dalla stampa cattolica, poco disposta ad uscire dai binari predeterminati  di una comoda ortodossia. In previsione del prossimo  convegno nazionale ecclesiale di  Verona l’incontro, di cui sono qui raccolti i principali contributi, ha riflettuto sulla mancanza di ascolto nella Chiesa. E’ quindi un messaggio per Verona. Anche questo inascoltato?

 

Gruppo Promozione Donna, “Noi Siamo Chiesa”, gruppo Pace di S. Angelo, Coordinamento 9 marzo

PERCHE' IL PROBLEMA DELL'ASCOLTO

 

(Introduzione di Teresa Ciccolini, a nome dei promotori dell’incontro)

 

Tra i tanti problemi nell'ambito intraecclesiale uno dei più cruciali ed evidenti è quello dell'ascolto, perché da esso dipende la possibilità di una Chiesa “altra” (evangelica, comunionale, relazionale, corresponsabile, in cui tutti si riconoscano, nei fatti, di “uguale dignità” , cioè di “uguale valore” e quindi si rapportino tra loro conseguentemente).

E' un tema ampio, che può prestarsi anche ad equivoci ed ambiguità.

Perciò vogliamo subito delineare e chiarire secondo quale senso usiamo questo termine, escludendo alcune accezioni e prassi più comuni e generalizzate; soprattutto parziali.

L'ASCOLTO non può essere identificato semplicemente con:

·        l'esaudimento di richieste: il che implicherebbe sempre un andamento verticale che manterrebbe gli steccati, le divisioni e le superiorità; l'ascolto non può coincidere con una concessione, senza un consentire su un diritto o un dovere

·        la possibilità di parlare a senso unico con il risultato - così spesso sperimentato - di vedere vanificata la parola di chi parla con il metodo dell'insabbiamento da parte di chi ode le parole, ma esercita, per così dire la sordità

·        la disparità di collocazione di chi parla e di chi ascolta, per cui, se chi parla è la gerarchia, per il popolo dei credenti l'ascolto deve essere unicamente l'obbedienza; se chi parla è la base non se ne tiene conto oppure ci si affretta a rettificare, giudicare, prendere le distanze.

L'ASCOLTO che qui proponiamo alla riflessione è reciprocità di parola, confronto, dibattito, dialogo effettivo (che cioè nasca dalla volontà comune e non sia indotto solo da una parte), che ponga al centro

·        anzitutto l'ascolto INSIEME della Parola, che dev'essere pubblico, manifestato e vissuto come evento dalla Chiesa tutta, dev'essere centrale e condiviso, non a strati o appartato in gruppi e gruppetti, e che deve consentire di sminuzzare, ruminare insieme la parola di Dio, confrontandoci su di essa insieme (gerarchia e base, laici e clero, uomini e donne), prestando insieme attenzione, riflettendo, meditando, praticando

·        l’attenzione ai problemi della gente, a partire dai più scottanti, confrontandoci alla pari soprattutto con chi li vive sulla propria pelle e mettendo a disposizione esperienze e competenze (senza privilegiare e consultare unicamente i cosiddetti 'esperti')

·        il chinarsi sui vissuti per raccogliere le modalità reali, le difficoltà, le indicazioni, la fatica, le sofferenze, l'impegno, le prospettive, le novità, le possibilità di attuazione

·        lo scegliere e decidere insieme alla luce dell'umanità delle persone (non indistintamente, ma uomini e donne reali), del vangelo e della storia

·        il mettere insieme le proprie esperienze di fede e speranza, la propria fatica nel seguire un cammino aperto alle relazioni, senza le quali non può darsi quell'amore appassionato e gratuito indicato da Gesù come segno di riconoscimento dei cristiani.

Perché fa problema questo tipo d’ascolto nella nostra chiesa?

Perché non c’è o è molto sommerso e disperso? Perché non è “segno”?

Se ne possono individuare alcune cause (pur tenendo presenti le dinamiche storiche e sociali della Chiesa, la complessità del suo articolarsi nei secoli e il nodo chiesa/santa sede/Vaticano):

·        rigidità della struttura della Chiesa: ancora molto verticistica e basata sulle distinzioni in senso gerarchico

·        e quindi mancanza pressoché assoluta (tranne per alcune eccezioni della base o di singoli), di reciprocità, di relazione, di comunicazione, di laicità

·        paura della novità e difesa dello status quo (pur di non cambiare ci si trincera)

·        prevalenza dell'istituzione, dei documenti, dei programmi prestabiliti, dell'ordine predeterminato e delle verità cristallizzate e astratte, dell'ufficialità, delle regole, del diritto canonico

·        un certo pessimismo serpeggiante che porta alla difesa e alla chiusura (si preferiscono le indagini e i sondaggi apocalittici che non le linee evangeliche, i numeri più che le persone, le cattedrali o le piazze riempite più che i gruppi che condividono liberamente uno spirito e una prassi comunitaria)

·        mancanza di scambio e di comunicazione, di circolarità dei cammini di fede e di speranza testimoniati.

 

Sintomatico è il disagio dei laici nella Chiesa e in particolare delle donne (laiche e consacrate).

Certamente il discorso non è dicotomico: mentre alla base si allarga la presa di coscienza critica dell'essere Chiesa (secondo il Concilio Vaticano II), è ancora molto ampia la situazione di un laicato clericale e di un fronte femminile supino e funzionale al sistema.

Ma siamo in una situazione di non ritorno, in cui occorre, se si vuole essere credibili, dare una forma e delle modalità nuove alla Chiesa: occorre una conversione massiccia al Vangelo e quindi all'uomo che ne deve essere segno e annuncio.

 

Solo a modo d’esempio: che l'ascolto non venga praticato anche solo nel senso del prendere atto di quanto dicono le donne e di come si muovono si desume da alcuni fatti:

·        ci si preoccupa sempre di definire l'identità e il ruolo delle donne, senza interpellarle direttamente (magari si inneggia a loro valore, al loro “genio” , che però non ha ricaduta pratica, come se appunto non contassero nulla o molto poco)

·        in una chiesa (e in una società) dove prevale il codice maschile e quindi è patriarcale e paternalista nella sua visibilità, manca la sottolineatura e ancor più l'assunzione di quei requisiti che attengono al cosiddetto codice “femminile” , come l'accoglienza, la centralità della vita, la corporeità (come percezione e concretezza comunicativa), la tenerezza, la relazionalità

·        c'è l'attenzione a coinvolgere le donne (e non solo le esperte o gli esperti) per i problemi o i ruoli che le interessano direttamente, ascoltando e confrontando i vissuti e le reali difficoltà

·        il risultato è di considerarle perennemente minorenni e bisognose di guida.

 

Certo, molti altri sono i problemi relativi alla presenza delle donne nella chiesa (una presenza ancora folta, anche se invisibile e poco incisiva per mancanza di spazio), ma qui si volevano segnalare solo alcuni aspetti relativi ad un ascolto, così come indicato prima, che non c'è.

 

Prospettive a breve e lungo raggio:

·        creare, promuovere e sostenere spazi pubblici e ufficiali, aperti, e occasioni in cui si possa esercitare l'ascolto nella Chiesa e come Chiesa con tutte le sue componenti alla pari (ripartire da zero? utilizzare gli organismi che già ci sono, come i vari Consigli, che per lo più sono atrofizzati, capovolgendoli?)

·        creare e privilegiare spazi di formazione comune (gerarchia e base, laici e clero, uomini e donne) dandosl credito a vicenda e cercando insieme la verità del Vangelo, nella fatica , ma anche nella gioia di camminare insieme e di sostenerci nell'essere sale e luce nel mondo, proprio perché abbiamo imparato a collaborare a partire da relazioni vere ed umane, perché ci si ascolta tutti con il cuore e con la mente

·        favorire ed educarci ad una mentalità, una cultura, dell'ascolto reciproco costituendo relazioni, comunicazioni, circolarità di notizie e dl esperienze, contatti interpersonali, e coordinando con semplicità e stima i tentativi in questo senso

·        parlare, esercitando il diritto di parola,e di critica, ma non accettare di parlare a vuoto o per se stessi o in unica direzione bensì esigere attenzione, rispetto, confronto vis a vis,

·        sostenere contro ogni e diffuso clericalismo la dignità di laici come valore che anche i preti dovrebbero riconoscere e rivendicare per sè (Gesù era un laico)

Interventi

 

Grazia Villa

Faccio parte del “Gruppo promozione donna” e della “Rosa Bianca”. Ci sono alcuni argomenti, in particolare vita, aborto, famiglia, che nella chiesa  sono occasione di non- ascolto sia tra vertice e base sia, soprattutto, tra i laici, nella base  stessa. Sulla stampa cattolica si sono lette recentemente  affermazioni radicalmente negative (“Avvenire”, inserto Genitori e figli, di M.Branca Pisano) a proposito di fecondazione artificiale (“…la sopravvivenza dell’embrione è segnata dalla morte dei fratelli e delle sorelle….”) e  della donna single (autosufficiente, dura, negatrice di eredità di affetti), mentre in altri luoghi sono state commentate in modo provocatorio alcune affermazioni contenute in un documento di Ratzinger pubblicato prima del pontificato sull’origine della vita umana. Linguaggi molto distanti. Ascolto è udire parole, ma se queste parole hanno significati divergenti e valenze che evocano simboli e sensi totalmente diversi, ci si può anche mettere ad ascoltare con disponibilità, ma la comunicazione non può avvenire. Nella campagna referendaria sulla legge n.40 ho constatato un montare della polemica non solo nella gerarchia, ma anche nella base; ma parlando con le persone nelle parrocchie emergevano i nodi di sofferenza, il cuore, che tali temi  toccano: occasioni interessanti, ma sprecate dalla minuzie di definizioni che hanno rovinato la possibilità di affrontare in modo vitale temi importanti. Anche il tema della sessualità ultimamente viene esasperato. L’affermazione “Io sono mia” non è lontana dalla tradizione del Cristianesimo che rifiuta la dipendenza cieca e silenziosa, può essere un’esigenza della custodia di sé, di protezione dall’invasività violenta dell’altro in senso non necessariamente individualistico. Se però la si prende come uno steccato in contrapposizione con l’altra affermazione “Tu sei di Dio”, chi le pronuncia non può  comunicare. Anche per parlare di famiglia oggi la chiesa fa ricorso a un linguaggio che non favorisce la comunicazione ; cita la Costituzione per indicare che la famiglia è la “cellula della società”. Altrettanta esigenza di chiarezza deve emergere nel parlare di famiglia con i fratelli Ebrei, nei riferimenti biblici.

A Verona ci saranno certo i rappresentanti dei movimenti, ma non saranno loro a suggerire fecondi spunti alla gerarchia, saranno i singoli, presunti esperti che la gerarchia ha già prescelto.

 

Gianni Geraci

Sono del “Coordinamento gruppi omosessuali credenti”. Karl Rahner in “Lettera aperta sul celibato” a un allievo che aveva lasciato il sacerdozio per sposarsi chiedeva di sforzarsi di ascoltare, unica modalità per consentire che lo Spirito agisse positivamente. Appunto l’ascolto nella chiesa si distingue dall’ascolto nella società per la fiducia del credente nell’azione dello Spirito. Nell’ascolto facciamo risuonare in noi quello che l’altro dice, in un clima di fiducia: non posso accettare che l’altro penetri in me e mi cambi se non mi fido dell’altro. Proprio il problema della fiducia è il cardine della posizione della chiesa verso le persone omosessuali. Da un lato le persone omosessuali hanno preso pian piano coscienza di sé, hanno piano piano riconciliato la propria omosessualità con la propria storia, superando la schizofrenia di milioni di omosessuali credenti che esaltano una continenza che non cercano e cercano una promiscuità che aborriscono. Tale schizofrenia nasce dal tradizionale approccio della chiesa, che si può sintetizzare con la frase di Mons. Maggiolini:”La chiesa dev’essere rigida sui pulpiti e accogliente nei confessionali.” Ma le chiese che hanno iniziato un’apertura verso gli omosessuali, come negli U.S.A. (benedizione degli omosessuali, accoglienza nel ministero), sperimentano grosse frizioni con Roma. La soluzione delle fratture nella personalità e nei vissuti delle persone e nella chiesa stessa  può  nascere solo se l’ascolto parte dal superamento della paura. Gli omosessuali nella chiesa sono un problema così grande perché sono rimossi, tanto che non li si invita a parlare nemmeno quando si organizzano convegni su di loro. Si ha paura di loro perché mettono in crisi il rapporto tra desiderio di felicità anche attraverso la relazione sessuale e desiderio di pienezza attraverso la fede. Il primo passo da fare è incontrarsi e comunicare i propri vissuti, dandosi il tempo necessario: Leandro Rossi una volta, in un suo incontro al “Guado”, disse che occorre dare alla gente il tempo per cambiare.  Noi omosessuali credenti abbiamo partecipato per un anno a un “tavolo” di confronto cui intervenivano anche psicologi scelti dalla C.E.I..Poi l’esperienza si è esaurita, ma il “perdere tempo” su queste tematiche anche pubblicamente deve essere affrontato dalla chiesa, se vuole vincere la scommessa di entrare in contatto con le molteplici diversità di una società tanto frammentata. Il rischio altrimenti è che la chiesa, che vuole definirsi cattolica, universale, alteri la comprensione della realtà partendo dai propri pregiudizi, come si vede con ciò che accade nelle facoltà pontificie in relazione alle terapie riparative dell’omosessualità, che portano ad altissime percentuali di suicidio: visto che non ci si riesce a confrontare con la realtà, ci si inventa una realtà che piace. Una chiesa che si comporta così non è cattolica, universale.

 

Elisa Antoniazzi

Faccio parte della Comunità Oasi di Cernusco sul Naviglio

Thomas Merton diceva “Pellegrino che muove per mettere in atto un comando del Signore”.

Parole che condividiamo – il Concilio Vaticano II ce lo ha consegnato. Parole che prendono vita, che si trasformano nella professione religiosa.

Il  Concilio Vaticano II dice che la professione religiosa, pur non appartenendo  alla struttura gerarchica della Chiesa, interessa la sua vita e la sua santità. Di fatto questo interesse alla fine non c’è, e questa esperienza viene considerata un fatto privato.

Ho avuto la triste esperienza di vedere, su 700 pagine di documenti di ecclesiologia recente, solo quattro sono dedicate alla vita consacrata, dove si dice che effettivamente fanno del bene alla Chiesa. Si sa, una suora lavora molto, tace…. Ma, o stai dentro nel vissuto normale, facendo quello che gli altri ti dicono di fare, oppure il fatto che hai fatto professione di fede con i tre voti di povertà, castità, obbedienza, per la vita religiosa e la vita comunitaria risulta come un ostacolo.  Esattamente la stessa difficoltà di una sposa che dicesse “Questa sera avrei un cinema con mio marito”; provate a dire da qualche parte “Questa sera avrei una lectio comunitaria” : ma, stai servendo qui….. Oppure non ci sei, le comunità vanno per la loro strada; qualche rampogna, qualche parola di apprezzamento ….

Come ha già detto Teresa, la difficoltà di cogliere la vita di una chiesa che è un corpus, dove ciascun membro è interessato all’altro, non c’è solo il riferimento al Capo e questo grazie e all’interno del movimento dello spirito.

Una tesi di ecclesiologia molto interessante “Ecclesiologia pneumatologica” di Gabriele Cislaghi del Pontificio Seminario Lombardo fa della categoria del “nesso” una categoria teologica. Per dire, nesso  della chiesa come vita  trinitaria, nesso della chiesa come trama di legami.   Nesso non autoreferenziale, ma identificabile con lo spirito. Perchè nei testi viene fuori questo tema, poi non si riesce a viverlo. Il problema è “lo spazio”. Una via d’uscita, di aiuto è il confrontarsi sulla Parola, sapendo che quella bella immagine di Atti 2 non è solo poesia rispetto ad una storia più litigiosa,ma è una poesia che ha mosso una storia e probabilmente è una poesia che si rileva in quella storia così

faticosa.

Io ho avuto delle esperienze fortunate, legate al parroco tale o tal’altro che è bravo ecc. – ma proprio per questo io sono dell’idea di: andiamo un po’ per la nostra  strada con questo stile – perché a un certo punto, quando si troveranno da soli, dovranno pur cambiare…..

Per amore di verità devo citare Simone de Beuvoir che parlava di “prigioni dorate”in cui bisogna dire si trovano buona parte delle congregazioni femminili e maschili, se l’ex-Padre Generale dei Domenicani diceva ai suoi 9,000 domenicani “Basta, finiamola di essere Parroci – andiamo avanti seguendo un nostro percorso in termini di profezia” – parola un po’ abusata.

C’è il problema di ascolto della base, ma come sempre c’è anche il problema della messa in discussione, perché alla fine mettersi tranquilli in un posto e non litigare con nessuno è sempre più comodo

 

 

 

Vittorio Bellavite

Sono il coordinatore di “Noi Siamo Chiesa”. Mi è stato assegnato il compito di raccontare l’ascolto (in realtà il non-ascolto) da parte della gerarchia verso un piccolo movimento come il nostro.

La Gerarchia aveva tre possibilità: ignorarlo – dialogare- fare una grande polemica.

Questo movimento esiste da dieci anni e ha sempre cercato di fare una riflessione generale sui problemi della Chiesa, dal medioevo al papato di Woytila fino alle tematiche di cui parliamo oggi.

Bene, per riferire quello che è stato l’ascolto, devo dire che la terza possibilità è stata scelta solo da Mons. Nicora, quando era vescovo di Verona, il quale non sapendo bene come vanno le cose in Italia ha scritto una lettera  di tipo terroristico a tutti i Parroci, definendoci eretici ed invitando a   mandarci via dai sagrati.

Questa lettera è rimasta isolata, ma non è passata neppure la seconda linea, quella del dialogo, del confronto,bensì la prima che è quella del silenzio. Praticamente, l’esistenza del nostro movimento è conosciuta solo da chi legge Adista, nei nostri circuiti, dagli addetti ai lavori. Quando è uscito l’”Appello dal popolo di Dio” nel ’96 (è il testo fondativo del movimento), “Avvenire” ha pubblicato un unico attacco frontale senza riportare il nostro testo, per cui uno leggeva che “eravamo cattivi” senza sapere cosa avevamo detto.

Questa linea del silenzio è stata portata avanti, forse senza decisione  esplicita, ma come realtà di fatto, coerente alla logica per cui ogni Vescovo, quando ha davanti una questione complicata a livello teologico-morale, si tira indietro rinunciando al proprio ruolo di Vescovo e dice “Queste cose dipendono dalla Conferenza Episcopale, dal Vaticano” per cui si scarica di ogni responsabilità.

In Italia questo ostruzionismo fondato sul silenzio è andato avanti, ma all’estero le cose sono andate un po’ diversamente. In Germania il movimento è più forte che in Italia ed è  ascoltato e conosciuto. In Austria è stata convocata una grande assemblea a Graz nel ‘98 che ha visto la presenza di tante comunità ecclesiali e che ha portato ad accettare molte delle proposte di Wir sind Kirke (Noi Siamo Chiesa). Ma ci fu una immediata convocazione dei vescovi austriaci a Roma ed il Papa li invitò esplicitamente a fermarsi. In Spagna nel luglio del 2002 con un preciso pronunciamento “Somos Iglesia” è stata definita fuori dalla comunità ecclesiale, ma  i nostri amici spagnoli hanno continuato per la loro strada.

Questa è la logica burocratica e gerarchica, che impedisce, blocca il dialogo dal basso verso l’alto, cioè da noi, da un movimento che parte dal popolo di Dio e si rivolge alle strutture.

Con amarezza dobbiamo dire che non è stato buono neppure il rapporto con il Card, Martini, che si è lasciato coinvolgere da logiche di tipo ecclesiastico, per cui ci ha ostacolato,  non ci ha mai risposto. Sul problema dei divorziati-risposati: silenzio. Sul problema della nomina del successore, noi abbiamo fatto proposte, dopo aver fatto ricerche sulla storia della Chiesa dove per secoli i Vescovi non sono stati nominati dal Papa, ma sono stati espressione del clero e del popolo, in forme anche molto diverse e contraddittorie: mai risposto. Mai incontrato. La cosa  è finita lì.

Con il Card. Tettamanzi inizialmente la cosa è stata un po’ diversa: gli abbiamo scritto gli auguri per la nomina, pur facendo presente di non essere d’accordo sul metodo della nomina: prima  ci ha risposto ringraziandoci, poi più niente.

Nell’ottobre 2003 abbiamo scritto un documento su “Percorso della pastorale triennale della diocesi”, che con nostra sorpresa è stato ritenuto particolarmente felice non solo nei nostri circuiti underground, ha alimentato la ricerca a partire dal Vangelo, ma nei confronti dell’autorità diocesana non ha avuto alcuna conseguenza. Silenzio continuo.

Riguardo alla Legge 40 abbiamo scritto che saremmo andati a votare: nessuna risposta.

Nel decennale di Noi Siamo Chiesa nello scorso febbraio (ed anche prima) abbiamo mandato dei libri a decine di Vescovi. Solo pochissimi hanno risposto, e la maggior parte con parole di cortesia formale.   

C’è anche un ascolto all’interno della Chiesa, trasversale, dal basso al basso, nei confronti del tessuto delle nostre comunità religiose, delle parrocchie, delle congregazioni  religiose. Abbiamo rapporti ottimi con alcuni dei migliori teologi che sono della nostra area: Paolo De Benedetti, Barbaglio, Cereti, Piana, Rosanna Virgili e tanti altri – cioè con esponenti che riflettono sul Vangelo e non sul Codice di Diritto Canonico.

Le tematiche che solleviamo sono presenti  in tutto il tessuto del mondo cattolico, hanno possibilità di essere ascoltate, di sollevare e proporre soluzioni a tematiche di sofferenza. Nel nostro piccolo,  se non avessimo il problema della comunicazione si potrebbe fare un salto in avanti nella direzione dell’ascolto di queste nostre proposte.

Discuteremo come andare all’assemblea ecclesiale di  Verona di ottobre, perché non sia solo un’operazione di immagine, ma sia qualcosa che comprenda soprattutto quella  parte della Chiesa che più si rifà al Concilio, che è  impegnata nel sociale, nei gruppi biblici ……….

Lunedì 27 ci sarà un incontro in cui si discuterà “Chiesa e Stato – laicità e laicismo”. Sarà presente Mons. Coccopalmerio, Vescovo della diocesi di Milano, responsabile giuridico del rapporto Stato e Chiesa a livello della CEI . Grazie al decanato di Città Studi interverrò come rappresentante di “Noi Siamo Chiesa” , portando una  critica al Concordato, all’interventismo politico della Conferenza episcopale in questo periodo; una critica portatrice di un ascolto della base, per un messaggio che parli alle coscienze e non al ceto politico.

(N.d R. All’incontro poi Mons. Coccopalmerio non ha partecipato per reazioni nate nella curia diocesana alla partecipazione dell’esponente di “Noi Siamo Chiesa”)

 

Giovanni Colombo

Devo parlare 10 minuti su “Chiesa  e politica”, allora iniziamo dalla   primavera del 95: con la rottura Buttiglione e Partito Popolare si ha la  definitiva archiviazione del partito cristiano. Con il convegno di Palermo si ha la rottura dell’unità politica dei cattolici – la Chiesa non si mischia nella politica – si auspicano luoghi di confronto tra i cattolici impegnati in politica.

Da lì, con la gestione Ruini viene praticato un altro schema: la Chiesa si mostra molto compatta, Ruini ha davvero una forte capacità di controllo sui Vescovi, a partire dalle nomine – un controllo totale sulle Associazioni, vedere quello che è successo con CL: a Rimini si è rappresentata una bella operazione ad uso mediatico, una stretta di mano sul palco per far capire che tutto è sotto controllo.

Da quel momento parte il discorso di un progetto culturale cristianamente ispirato, con la costituzione di alcuni tavoli come cultura-scienza, vita-famiglia, vita-sociale, dove il mondo cattolico ricompattato secondo quella logica si rapporta alla politica in maniera diretta, chiedendo ai politici che in quel momento hanno responsabilità istituzionali un impegno preciso su alcuni di quei temi sensibili. I cattolici impegnati non vengono neanche ascoltati, ma viene chiesto di essere degli esecutori.

Non importa che l’interlocutore politico sia cattolico, basta sia “sensibile” – anzi, la storia insegna che dal “principe laico” si ricava più che dal “principe cattolico”, perché scatta quell’attenzione particolare del laico verso il mondo cattolico per tenerselo buono, quindi le concessioni sono ancora maggiori.

Noi che siamo cresciuti come cattolici adulti, che nel mondo politico siamo abituati a fare le nostre scelte, siamo fuori da questo schema.

Suor Elisa prima ha detto “Facciamo il nostro percorso”. Io l’ho capita così: leggo i documenti ufficiali – informo di quello che sto facendo io . Non è granchè, ma è il modo per vivere oggi un po’ il “nesso”. Il prossimo libro che scriverò sarà un’autobiografia “Da cristiano ad umano”.

 

Federico Zanda

Faccio parte della parrocchia di San Giovanni in Laterano, sono da  quindici anni nel Consiglio Pastorale Parrocchiale e sono stato cinque anni nel Decanato e dieci anni nel Consiglio Pastorale Diocesano.

Il card. Martini definiva il consiglio pastorale “Il momento in cui posso ascoltare le persone” e privilegiava un ascolto legato molto alla testimonianza. Dovrebbero essere dei momenti privilegiati in cui i Vescovi si “convertono”. Penso ai grandi Vescovi dell’America Latina, che hanno ascoltato quanto raccontato dalla gente e convertito la loro vita.

Parto dall’esperienza di 15 anni nel Consiglio Parrocchiale. Il problema è che vengono nominate “persone possibilmente rappresentative di gruppi”; c’è carenza di effettiva partecipazione, di ascolto dei problemi reali che ci sono. In base all’ordine del giorno le decisioni sono molto limitate, c’è il rischio che il Parroco dica “Faccio io”. E poi, la litigiosità: invece che accettare le differenze è facile che si creino degli scontri, ma per motivi marginali. Non si crede veramente nel valore dell’ascolto e nel valore di far parlare il popolo di Dio. Nel Decanato la mentalità è un po’ leghista, non ci si arrischia ad uscire dal mondo delle parrocchie. C’è da dire che anche noi laici siamo troppo abituati ad obbedire…..

Consiglio Diocesano: oto anni martiniani e due di Tettamanzi, un bel cambiamento.

L’aspetto più positivo del Consiglio Diocesano era lo stile della “comunione fra consiglieri”, momento distensivo quando si mangiava insieme: poi il momento finale del “Caminetto” alla sera, di effettivo dialogo sufficientemente paritario.

La difficoltà poi era quella di trasformare il tutto in effettiva ricaduta sulla pastorale della diocesi, per la burocrazia curiale ecc. C’è una forza profetica nell’ascolto. Ascoltarsi introduce a tutti i livelli un radicale cambiamento, ma bisogna ascoltarsi avendo davanti l’essere umano completo, senza nessun tipo di pregiudizio.

 

Rosangela Vegetti

Da 30 anni mi occupo di informazione religiosa, e ne ho vissute parecchie. Effettivamente, il mondo della comunicazione non può non  trasmettere e riflettere quelle dinamiche del processo di trasformazione vissute in questo trentennio, passando attraverso mezzi diversi – da periodici di varia periodicità a radiotelevisione, adesso internet…. Tutto un arco di esperienze di comunicazione in questo settore.

Non sappiamo ancora veramente cosa siano i mezzi di comunicazione – sono dei mezzi, non sono loro dei contenitori, dei portatori di verità. Benedetto XVI ha detto l’altro giorno che i giornalisti devono dire la verità – io mi sono  spaventata – “Ma che verità do io?” è una cosa su cui dovrei discutere molto.

Quando si pensa a “media cattolici” viene in mente Avvenire, poi Famiglia Cristiana. Ma in realtà abbiamo migliaia di testate, dalla Libreria Editrice Vaticana fino all’ultimo bollettino parrocchiale o agli SMS che qualcuno può lanciare per fare convocazioni ad incontri, per trasmettere notizie. Oggi abbiamo un arco imponente, fra editrici nazionali ed internazionali, con testate di portata diversa. Ad esempio, tutti gli istituti religiosi hanno una loro testata, in fondo, ciascuno ha il suo carisma; vi si trovano fior di giornalisti professionisti che scrivono, gli stessi religiosi o religiose hanno acquisito delle competenze professionali e si producono bollettini di qualità, non sono più delle banalità e ciascuno contiene  qualcosa, portando anche il vissuto del territorio in cui si trova. Allora non posso più genericamente dire che l’ascolto non ci sia.

Poi mi si dice che però i film sono così noiosi… E’ poco noto che a Roma c’è un Centro per la Formazione di Operatori di organi e di strumenti di comunicazione, internazionale e di qualità assolutamente mondiale. Allora, perché con tutti gli strumenti che abbiamo siamo in fondo così poveri di comunicazione e di informazione?

Si è fatta molta strada dal dopoguerra, quando le suorine di San Paolo viaggiavano con le sporte piene di libri e hanno fatto capire – ad una popolazione con il 40% di analfabetismo – che era importante  imparare a leggere e che valeva la pena di leggere qualcosa in più dell’immaginetta che il Parroco distribuiva nelle grandi occasioni.

Tornando all’ascolto: ci devono essere degli interlocutori. Noi automaticamente pensiamo sempre che gli interlocutori siano Ruini e la sua squadra. Ma non sono solo loro. Perché la difficoltà per me che scrivo è pensare che chi mi legge possa essere da uno vicino ai lefevriani ad una persona totalmente digiuna di cose di chiesa, benché battezzata e che a sentir nominare Ruini non sa chi sia. Avendo davanti a me un arco così ampio, io devo cercare di dare qualcosa che almeno a livello di linguaggio sia comprensibile. Perché noi abbiamo la sensazione di vivere sempre degli spicchi, come se la nostra chiesa fosse il nostro spicchio. Io devo tener conto di quello che mi dice Ruini e di quello che, per esempio, la settimana scorsa ha detto Cacciari, il quale ha fatto un prospetto panoramico della situazione storica in cui versa la Chiesa, che mi ha fatto un po’ tremare le vene e i polsi, perchè effettivamente, anche se poi diciamo che lo Spirito Santo agirà, abbiamo a che fare con una Chiesa che storicamente è in un tempo completamente nuovo, dato che non vive più dei conflitti aperti, ma il suo contraltare è l’assoluta indifferenza, quindi non ho neanche più termini di discussione e confronto.

Adesso un portale della Diocesi rafforzerà un settore per fornire materiali di rassegna stampa a quei Parroci che vogliono fare il proprio bollettino. Infatti ora si torna all’idea che i bollettini servono per creare momenti di dialogo, approfondimenti, quindi sono utili.

La difficoltà della Chiesa istituzionale è quella di concepire lo spazio della dimensione di fede e della religione nella propria esistenza. Siamo passati da un periodo in cui c’era l’obbedienza e la delega totale, al momento della  contestazione ed allora si contestava a raffica qualunque cosa, al momento in cui la religione è stata intesa come un fatto privato e quindi anche le testate e le informazioni dovevano essere molto generaliste, poi ognuno si educava con scelte proprie e allora anche in questo caso c’erano alcune testate particolarmente specialistiche e riprendevano forza alcune testate di carattere devozionale.

Pensate che i mezzi di comunicazione più diffusi sono quelli legati ai Santuari, perché è l’affettività che entra in gioco, e poi non sono neppure tanto banali.

In tutto questo, anche la Facoltà Teologica anni fa ha fatto un convegno sugli aspetti psicologici della fede, perché nella globalizzazione e frantumazione della persona ci sono dentro tutte le componenti. Il problema dell’ascolto  è molto complesso.

Nella chiesa oggi si verificano situazioni di mancanza di ascolto. Un’esperienza che ho recentemente vissuto me l’ha dimostrato: mi è stato chiesto di fornire supporti  ed esempi di donne di “potere” a convalida di un impianto teorico già preordinato. Quando ho avanzato dei dubbi sulla validità di tale metodo, sono stata  definita non adeguata al compito: non sono state ascoltate le mie perplessità. D’altra parte ho visto anche esperienze molto ricche nell’ambito dell’ascolto, come il prossimo forum delle religioni a Milano: un esempio profetico dell’ascolto tra Battisti, Comunità Ebraica, Diocesi, Casa della Cultura Islamica e Comunità Sufi, preparata dalle intere chiese, dalle basi. Il Card.Martini aveva istituito un momento di discussione aperta e libera con i giornalisti e l’iniziativa si era rivelata un vero momento di ascolto. Poi i giornalisti hanno subito un ricambio, l’iniziativa si è esaurita; i nuovi giornalisti, oggi, alle conferenze stampa si mostrano disinformati, non interessati: la comunicazione non passa.

 

Mons. Giampiero Crippa

Sono stato delegato dall’Arcivescovo ad organizzare la partecipazione della diocesi all’Assemblea ecclesiale  di Verona. Premetto che sono venuto ad ascoltare. Vi  raccomando di non mollare, ma  non dovete andare per la vostra strada da soli, perché dentro la chiesa si soffoca, ma fuori si rischia di morire. Nella Curia milanese si sentono molte delle cose che si dicono qui. Ho chiesto il coordinamento dei gruppi e delle associazioni per la mia lunga esperienza e per la stima che le associazioni stesse mi hanno dimostrato. La chiesa deve essere unita, altrimenti non può testimoniare e l’ascolto deve avvenire non solo nei luoghi istituzionali ma  anche in luoghi come questo, con gruppi di cui non bisogna avere paura. Invece spesso la chiesa non ascolta. Ho suggerito che per Verona si rifletta sulla lettera di S.Pietro, cap.3°,15, che consiglia di usare dolcezza e rispetto, retta coscienza, anche se nella sofferenza. Rispetto per la laicità, dolcezza cioè senza imposizioni. Troverete in me sempre un interlocutore disposto ad ascoltare, soffrire e pregare con voi..

 

 

 

 

 

Mauro Castagnaro

- Il problema dell’ascolto secondo me oggi consiste nel come far sì che siano ascoltate voci che solitamente non si ascoltano.

- C’è uno scarto tra il tema di Verona, la speranza, e l’immagine che la chiesa dà oggi, che è paura, preoccupazione di rassicurare.La speranza dà respiro, incoraggia a rischiare, invece la chiesa si ripiega in posizione difensiva.

- Oggi sono sempre di più coloro che si sentono fuori dalla chiesa. Come dare voce a questo disagio? Si potrebbe organizzare per settembre un momento nazionale in cui questi pezzi di chiesa possano avanzare proposte e finalmente farsi sentire su tante tematiche che ora non sono considerate, per esempio quelle del dialogo interreligioso, dell’ecumenismo, delle persone omosessuali….

 

 

Conclusione di Teresa Ciccolini

Cercheremo di fare il possibile per scrostare le rigidità di un’organizzazione, quella di Verona, che non lascerà passare nessuno che non sia previsto e per dare il nostro contributo.

 

 

Milano 18 marzo 2006