PAPA BENEDETTO XVI UN ANNO DOPO. UN COMMENTO PROTESTANTE
di Maria Bonafede, moderatora della Tavola valdese
Un pontificato si valuta alla sua conclusione e non al suo inizio. E di papa
Ratzinger abbiamo visto solo i primi passi. Come
protestanti possiamo
soltanto registrare che ha parlato molto il papa "pastore" e poco il
papa
"teologo" conosciuto negli anni in cui reggeva il Dicastero vaticano
per la
dottrina della fede. Ma oggi il cammino ecumenico ha
bisogno soprattutto di
una riflessione teologica: le differenze tra le chiese - in primo luogo
quelle tra cattolici, protestanti ed ortodossi - non sono uno spiacevole
accidente della storia. Non sono neanche alle nostre spalle. Le differenze
esprimono modi diversi di intendere la Chiesa e i suoi ministeri; modi
diversi di rispondere alla vocazione cristiana oggi. Sono temi teologici,
non pastorali.
Abbiamo l'impressione che quando il papa ha parlato di ecumenismo,
pensasse
soprattutto agli ortodossi; io stessa ho partecipato ad un'udienza con i
rappresentanti delle chiese dell'Alleanza riformata mondiale, quelle per
intenderci di tradizione calvinista. Nel complesso i passi in avanti restano
pochissimi; su questioni decisive come l'ospitalità eucaristica, le
posizioni di papa Benedetto XVI sono apparse chiuse quanto quelle di papa
Wojtyla. Ed è ovvio che il
cammino ecumenico ne risenta: uniti nello studio
della Bibbia e nella preghiera; divisi nell'eucarestia.
Non è una
contraddizione?
D'altra parte il papa ha insistito molto su temi etici, come la
sacralità e
l'inviolabilità della vita umana, dal concepimento alla morte naturale. Ed
anche su questi temi permangono importanti differenze, soprattutto con il
mondo protestante. Noi protestanti affermiamo il valore della vita e ci
impegniamo a difenderla. Siamo contrari all'aborto ma difendiamo la legge
che lo prevede; siamo per la vita ma molti di noi sono convinti che, in
alcuni casi, l'eutanasia possa essere una scelta civile e carica di dignità.
Insomma, discutiamo: non è una concessione al relativismo. È un modo diverso
di accostarsi ai problemi etici. È la coscienza della gravità delle
questioni in campo che interrogano la nostra fede, la nostra libertà e la
nostra responsabilità. Di fronte a noi stessi, al nostro prossimo ed al
Signore. Al contrario, nel mondo cattolico, e ancora nel corso di questo
pontificato, su questi temi si ragiona in termini di assoluti
categorici. E
qui veniamo a un terzo problema, quello della laicità
dello Stato.
Papa Ratzinger ha parlato spesso di laicità positiva:
che cosa vuol dire?
Siamo d'accordo se si intende affermare il principio della libertà
religiosa. Per tutti, ovviamente. Per le maggioranze ma anche per le
minoranze. E questo in Italia significa qualcosa, nel
senso che rimanda a
scelte politiche ancora incompiute e alle quali speriamo che il prossimo
Parlamento possa finalmente dare corso.
Non siamo d'accordo se si vuole dire che quando lo Stato rivendica la sua
autonomia decisionale tradisce il principio di laicità. Lo stato laico
riconosce e prende atto delle diverse opzioni etiche
che si danno nella
società. Ma poi sceglie per il bene comune, senza
assumere una visione
religiosa che finirebbe per prevaricare sulle altre. Per noi è una questione
decisiva.
In conclusione è stato un anno ecumenicamente in
"stand-by". Non è la prima
volta. Le ragioni dell'ecumenismo sono comunque più
forti delle difficoltà a
promuoverlo. (NEV 16/2006)