Cartignano, diocesi di Saluzzo, 6-5-05

Sua Santità Benedetto XVI,


a scriverle è un semplice cristiano, che in tutta semplicità intende
rivolgerle una domanda, nella speranza che almeno il contenuto delle mie
parole possa giungere fino a lei.

Sono stato ordinato presbitero il 4 ottobre 1997, sono stato invitato a
studiare al Pontificio Istituto Biblico e abbondantemente utilizzato,
appena tornato in diocesi, anche nell'insegnamento. Il 17 giugno 2001 ho
presieduto per l'ultima volta l'Eucaristia. Il 2 febbraio 2002 mi sono
sposato.
Obbedendo alle indicazioni vaticane abbiamo scelto di risiedere non
nella mia diocesi di origine, anche se questo implica di vivere lontano
dai nonni, che nell'attuale società italiana aiutano molto a crescere i
nipoti, e di cercare un lavoro "nuovo", non collegato alla mia
esperienza pastorale, a trenta anni, con un titolo di studio non
riconosciuto dallo stato italiano e senza esperienza lavorativa. Ho
presentato domanda di dispensa dall'obbligo celibatario, chiarendo che
non rinnegavo nulla della mia fede e della mia chiamata a servire la
Chiesa, e che avrei continuato a servirla se mi fosse stato concesso di
farlo in uno stato di equilibrio affettivo personale; mi è stato
ufficiosamente risposto che otterrò tale dispensa al compimento dei
quaranta anni, tra altri sei. Nel frattempo, cerchiamo di crescere come
coppia nell'ascolto della Parola di Dio e nella frequentazione dei
sacramenti, senza prendervi parte.
Proprio per questo ho potuto contattare diverse realtà parrocchiali,
rendendomi conto di quanta sete di Parola esista nella stessa Chiesa,
una Parola che sappia trasmettere l'amore misericordioso di Dio e non
una giustizia vendicativa che ha un gusto molto umano. In alcuni casi mi
è stato chiesto, da parrocchie e da gruppi anche a livello diocesano, di
mettermi a disposizione per spezzare il pane della Parola, e l'ho fatto
con gioia, motivato da quella vocazione di servizio ai fratelli e a Dio
che continuo a sentire mia. Altre parrocchie, l'ho saputo con certezza,
avrebbero voluto rivolgermi una domanda simile ma non hanno osato per
via della mia condizione.
Per questo mi permetto di rivolgerle una richiesta: conceda, ai preti
sposati che lo desiderino, di rimettersi a disposizione della Chiesa
almeno nei servizi più laicali. Non mi era richiesta l'ordinazione per
insegnare Scrittura, perché il mio matrimonio dovrebbe impedirmelo?
Perché questi doni dello Spirito, concessi a tanti cristiani, non
dovrebbero essere utilizzati per il bene dei fratelli? Mi si risponderà
che non tutti i sacerdoti che hanno lasciato il ministero sarebbero
persone adatte ed equilibrate, che molti ne approfitterebbero per
diffondere dottrine scorrette almeno sul celibato, ma ritengo che le
chiese locali possano tranquillamente svolgere il proprio compito di
discernimento, abilitate in questo dallo Spirito Santo e conoscendo bene
le persone in causa.
Se poi il problema fosse la mancata piena comunione con la Chiesa
cattolica, ci si conceda di rientrarvi, di essere riammessi ai
sacramenti sia pure al termine di un tempo di penitenza pubblica. Non
era ciò che veniva concesso nella prima Chiesa agli omicidi, adulteri e
apostati? Noi non abbiamo certo rinnegato la nostra fede.
D'altronde, se i quaranta anni di età e dieci di ordinazione fossero una
garanzia di ripensamento per evitare scelte avventate, mi pare che a
questo punto se volessi lasciare mia moglie e i nostri due figli (col
terzo in arrivo), la mia scelta avrebbe ben poco di cristiano.

Le auguro un pontificato lungo e fruttuoso, aperto agli stimoli e
suggerimenti buoni provenienti da qualunque fonte e anche se non fossero
già in linea con i suoi intendimenti, e in grado di dialogare con tutti.


Angelo F., presbitero