MILANO
- 11 febbraio 2006
Decennale di NOI SIAMO CHIESA
Intervento
alla tavola rotonda su “Come organizzare segni di speranza nella nostra
chiesa”
Catti
Cifatte delle Comunità Cristiane di Base
Premessa
E’ importante avere ospitato, come voce
in rappresentanza delle Comunità cristiane
di Base, quella di una donna. In realtà non mi sento solo ospite….ma pienamente
partecipe del Movimento da quando firmai l’Appello al popolo di Dio dieci anni fa. La
partecipazione a NSC per me è diversa dalla partecipazione alla Comunità di
base di Oregina di Genova e al movimento delle Comunità …. Partecipare a NSC
per me costituisce il mantenere un legame con tutti e tutte nella chiesa
cattolica storica, nella diversità del sentire e del valutare: ma anche condividere
un percorso di forte critica alla struttura ecclesiastica e ai luoghi politici
che le stesse gerarchie rappresentano.
Vivere in Comunità per me è invece lavorare
insieme agli amici quasi quotidianamente, dedicare buon parte del mio tempo di
riflessione intima e d’impegno personale e di gruppo. C’è un’altra appartenenza
che mi sta molto a cuore: quella dei gruppi donne delle cdb. In
quest’ultima esperienza molto ricca ho potuto coltivare gli strumenti per
rileggere meglio il mio cammino di donna insieme alle amiche e quindi per
sapermi relazionare con loro ma anche in comunità e con voi.
Però prima di sviluppare le mie
riflessioni sul tema, proprio perché mi sento partecipe appieno, mi posso
permettere una critica sororale, vi voglio subito fare una osservazione. Convenite
con me che una donna sola non basta? critico cioè che a relazionare si scelgano
quasi tutti uomini… oggi qui tra noi l’invito a prendere la parola è nel rapporto
di una a sei, cioè qui oggi il femminile
rappresenta il 14,2 % . Mi domando se vi siete posti il problema?
Mi pare che un movimento che si
riunisce e trova la sua ragione di vita e di prospettiva nella massima
condivisione dell’essere chiesa nel rispetto delle diversità tra i vari
partecipanti, non può auto-limitarsi in
questo modo. In ciò ritrovo più continuità con vecchie strutture che
innovazione per una chiesa altra: mi sembra che questo sia il primo nodo da
sciogliere!
Ma dove sta il problema, non voglio
addentrarmi nell’analisi femminista della condizione della donna, della
relazione di genere, e quindi posso solo semplificare. Per me sta nel fatto che gli uomini sono di
fatto escludenti….e sta nel fatto che le donne non hanno ancora abbastanza coraggio
e forza (intendo forza morale e imposizione positiva) per imporsi nei diversi
contesti; come logica conseguenza alla
soggezione hanno timore. L’abitudine a delegare, ad ascoltare anziché
esprimersi in pubblico, ad essere
passive ed a subire le scelte altrui, ci
limita molto…. Purtroppo non c’è come
negli ambienti ecclesiali che si sente questa condizione limitante.
Il potere sulla organizzazione che
cancella la speranza è prerogativa degli uomini e secondo me qui passa una
delle questioni più significative ed importanti della nostra concezione della
chiesa e della comunità. Per questo condivido il titolo: come organizzare segni
di speranza… sicuramente lo intendo come un titolo inclusivo delle differenze
di genere! Perché sono convinta che con un titolo così: occorre che gli uomini
facciano un passo indietro e che le donne facciano un passo avanti…..Un
percorso di liberazione per donne e uomini per riscoprire una relazione con
pari diritti e doveri nella diversità.
In realtà sono qui a testimoniarvi che
per i nostri gruppi. Nelle Comunità Cristiane di base, grazie a donne e uomini
stimolatori del cambiamento, è iniziato
un percorso di sempre maggiore valorizzazione delle differenze di genere e
condivisione della organizzazione… lo possiamo testimoniare noi donne che, sia
con una nostra ricerca sia nel portare le nostre visioni e le nostre ragioni
nei gruppi misti, cominciamo a sentirci meno escluse e a contare di più sia
nelle decisioni che nelle riflessioni. Ma tutto ciò anche grazie ad un nostro
percorso autonomo, un percorso molto ricco di ricerca teologica, di studio, di
scoperta, di relazione interpersonale,
di rapporto con il corpo, di rapporto con la natura e soprattutto di scambio tra donne.
Anche nel movimento NSC ormai non
possiamo più aspettare altri tempi: impariamo a leggere il segno di un tempo
diverso: oggi gli slogan sono: USCIAMO DAL SILENZIO, FACCIAMO BRECCIA , …
CONTRO-MOSSE , LA PAROLA ALLE DONNE ecc..ecc…ci
dovremmo situare in coerenza con questi slogan!
Una chiesa
altra
La
struttura di potere della chiesa cattolica, intendo la struttura gerarchica non
consente, come è stato evidenziato di sviluppare una “chiesa altra”, anzi
rigetta questa “chiesa altra” che vogliamo: ma allora come nella dinamiche di
gruppo (penso un po’ a tutti i gruppi) il sistema di potere che agisce per escludere
e non consentire una visione diversa (qualunque sia ) non può diventare chiesa.
Si
va quindi alla ricerca di altri contesti: spazi e tempi diversi e
dell’essenziale per confermare la nostra appartenenza al movimento di
Maria e di Gesù di Nazareth, che come afferma Paul Abela nel suo “Credo, ma
diversamente” “Quando parlo dell’essenziale in cui ho fede non mi riferisco
alle formulazioni dogmatiche”. Questa analisi sull’essenziale, questa ricerca
di ciò che include e non esclude serve, eccome se serve ! , proprio per costruire
la comunità
L’ESPERIENZA COMUNITARIA
Non
essere estranei ad un percorso millenario di relazione con il divino, ma
critici ri-lettori e ri-lettrici vuol dire che di fronte a ciò che le scritture
più antiche ci tramandano sappiamo allora individuare delle gerarchie
organizzative ( per così dire).
Allora come organizzare i segni di speranza?
1°
spunto: A mio giudizio la prima indicazione , la più
semplice ed essenziale, per organizzare la nostra speranza è cercare e trovare un
legame tra fratelli e sorelle, il legame è simboleggiato dall’atto di riunirsi
nel nome di Gesù: il riunirsi in comunità intorno alla sua persona.
Come ci dicono i vangeli canonici “Quando
due o tre sarete riuniti nel mio nome io sarò in mezzo a voi”
Non
si chiede di fare riti, né si chiede di pensarla tutti nello stesso modo: l’essenzialità
dell’essere chiesa o comunità (per me questo termine mi è molto più
congeniale) è essere riuniti nel suo
nome: oggi Noi Siamo Chiesa
Ma
non è nemmeno un essere riuniti senza responsabilità o senza valorizzazione
delle differenze: è soprattutto essere capaci di relazione, di contaminazione,
di scambio. Ma devono essere chiari alcuni dati essenziali che ci vengono
indicati dal vangelo:
Tutto
il capitolo 18 del Vangelo di Matteo
sembra essere scritto per indicare i comportamenti comunitari esemplari:
-
individuare il più “grande” tra il gruppo è fuorviante: se non sarete come i fanciulli non entrerete nel regno, significa
anche non fare delle esclusioni tra cristiani, in altre parole non applicare il
diritto canonico: non è essenziale;
-
attenzione a dare “scandalo”: se la tua
mano o il tuo piede ti è di scandalo tagliali e gettai via da te ma
attenzione non si tratta di scandali sessuali (per esempio i preti sposati) ma la denuncia di comportamenti antievangelici: continuare
ad avere privilegi, ad accumulare ricchezze e sontuosità, a gestire il potere
temporale tutto ciò è dare scandalo!;
-
la ricerca della pecora smarrita diventa la ragione unica della nostra appartenenza
comunitaria, quante volte ci siamo cercati e ricercati, cercate e
ricercate, sono nati conflitti e li abbiamo sedati, siamo andati e
ritornati dal gruppo, trent’anni di vita nelle comunità hanno significato una
continua ricerca di noi e di ciascuna o ciascuno di noi come di una cosa
importantissima. I singoli e le singole sono importantissimi/e per la comunità;
-
il perdono e l’accordo tra fratelli e sorelle sono lo spazio ed il tempo per la sua presenza, per la presenza di Gesù,
il tempo dell’accordo deve poter venire
…a volte non sappiamo assaporrlo;
Su
queste cose l’esperienza comunitaria ci insegna che quello che è importante è
costruire la relazione, sia di tipo interpersonale che relazione di
gruppo, anche di gruppo caratterizzato nel suo genere (maschile o femminile)
oppure relazioni intergruppi con il superamento
di gerarchie:
-
a mio parere le
nostre Comunità hanno costituito e possono continuare a costituire lo spazio
collettivo ove si è sperimentata la condivisione evangelica e la liberazione;
-
nelle Comunità è
stata possibile sia una nuova lettura biblica, l’elaborazione di un pensiero e
di una teologia costruita collettivamente, sia il superamento delle differenze
di classe sociale e di cultura;
-
nelle nostre
Comunità donne e uomini hanno sicuramente avuto spazio e parola a prescindere da ruoli e funzioni
precostituite, infatti generalmente le comunità sono state ambiti d’esercizio
di democrazia e partecipazione: infatti sono nati sia gruppi donne che gruppi
uomini;
-
tutto ciò è
avvenuto anche grazie alla scelta di cambiare, di osare la diversità, senza
timore di perdere l’essenziale ma arricchendolo della esperienza di
condivisione;
-
le comunità si sono cimentate nella ricerca
teologica, hanno vissuto una dimensione esperienziale del sacro, hanno spesso
decostruito un simbolico, che come donne definiamo patriarcale, ed anche nella
loro vita hanno superato momenti liturgici e linguaggi separatisti.
2° spunto ) Poi c’è un secondo segno o simbolo di speranza; un’altra
essenzialità. “Vi ricorderete di me quando spezzerete il pane e berrete
il vino insieme” qui i vangeli canonici introducono dei concetti simbolici,
inseriscono una corrispondenza tra corpo e pane e tra sangue e vino.
La
scelta di utilizzare il cibo come legante della comunità, a mio giudizio è
dettata dalla volontà di dare connotati naturali, semplici ed immediati alla
relazione. I simboli scelti da Gesù poi sono materni: donare il proprio corpo e
il proprio sangue è una condizione corporea materna ( la gravidanza).
L’eucarestia
in questo senso non può negare la femminilità anzi ne è una autentica
espressione. Se manca questo
concetto, se non ci facciamo grembo accogliente che condivide il corpo e il
sangue, se non mettiamo al primo posto la condivisione del cibo, del pane e del
vino (e non già il sacrificio discriminante escludente del femminile) non
garantiamo una cosa essenziale dell’essere comunità.
Come
sperimentare questa condivisione :
-
sconfiggere le barriere ideologiche, dottrinali…. Quelli che definiamo gli
steccati
-
sapersi contaminare non solo con gli
estranei (stranieri) ma anche con i gli estraniati ( i messi fuori)
-
scegliere di esprimersi con il corpo tutto intero: la parola, il tatto, i segni
, il cibo, il canto, la rappresentazione, la manualità,
-
scegliere il contatto con la natura, superare i tabù, ricercare gli spazi
naturali
3°
spunto) Inoltre c’è un altro momento
fondamentale, un terzo segno di speranza ritenuto essenziale nei testi
canonici e che indica una presenza e
traccia un futuro accompagnato dalla memoria: “In verità vi dico ogni
qualvolta, in ogni luogo, verrà predicato l’Evangelo si farà memoria di lei e
di ciò che ha fatto”.
L’unzione
di Betania rappresenta da un lato la dedizione e l’amore totale e dall’altro proprio
per questo il segno tangibile della autorevolezza della donna che unge Gesù.
Allora
per prima cosa è indispensabile legare l’evangelo alla memoria di lei, e secondariamente
essere consapevoli che reciprocamente non vi può essere trasmissione
dell’evangelo se non si fa memoria di lei.
Ovviamente
non si tratta solo della memoria di una autorevolissima donna, della “prima
donna” (tra le non nominate) ma si tratta, come per la cena del pane e del
vino, leggere il simbolico che esprime
la femminilità coinvolgente durante tutta la vita degli uomini e delle donne, dalla nascita fino alla morte.
Nel
suo bellissimo libro “In memoria di lei” Elisabeth Schussler Fiorenza ci dice:
“La teologia cristiana femminista e l’interpretazione biblica delle donne
stanno entrambe riscoprendo che l’evangelo cristiano non può essere proclamato
se non vengono ricordate le discepole e quello che hanno fatto. Stanno
ricuperando la cena di Betania come eredità cristiana delle donne al fine di
correggere simboli e ritualizzazioni di una ultima cena tutta al maschile che è
un tradimento del vero discepolato e ministero cristiani”.
4°
spunto) Infine uno degli ultimi
messaggi di Gesù che per noi costituisce un ulteriore segno, una testimonianza ma
anche una promessa è il detto : “Io vi dico che non berrò più di
questo vino fino al quel giorno in cui ne berrò di nuovo insieme a voi nella
casa del Padre”. Questo messaggio , altra essenzialità, è quello che
ci accompagna nella nostra vita perché
ci da la speranza, la forza di continuare…. In ogni modo è una prospettiva:
dall’assenza alla presenza.
La
chiesa cattolica, per capirci quella rappresentata da gerarchie ecclesiastiche,
è oggi di fronte ad un futuro dove questa prospettiva è appannata: c’è la
possibilità, da leggersi come segno dei tempi positivo, che essa si auto-escluda
dalla gran parte del popolo di Dio in cammino, che donne e uomini credenti che
si identificano nel messaggio evangelico essenziale di cui abbiamo citato, non
si riconoscano nelle scelta delle gerarchie e abbandonino la struttura per
ritrovare un modo, modalità di aggregazione di testimonianza nelle
comunità fuori dalle logiche del potere
dominante.
La
costruzione del Regno, il ritrovarsi nella casa del Padre o della Madre è la
prospettiva di una comunità in ricerca, che sperimenta anche la precarietà,
l’assenza del divino certo, la perdita delle sicurezze, il vuoto e la mancanza di Dio, di un Dio
assoluto, unico, potente e alleato con la violenza e la forza. Sì, ci può
essere questa mancanza… cioè in altre parole la prospettiva di un domani di
condivisione del cibo, di ritorno dell’alleanza tra Dio e il suo popolo che
passa necessariamente attraverso il momento in cui si è abbandonati, soli,
sull’orlo del baratro e si riscopre la possibilità dell’amore divino.
Questo
amore divino, la prospettiva di cui parla così efficacemente Gesù nel citare il
voler di nuovo bere il vino insieme, è un amore includente, in cui
uomini e donne insieme accettando ciascuno la propria parzialità, non sono
combattuti tra eros e agape, tra il piacere e il dolore, tra la violenza di
stampo maschile e la remissività di stampo femminile, luoghi degli stereotipi
del vecchio, ma vivranno il nuovo,
la pienezza della persona nella valorizzazione della sessualità e della
scelta di modalità d’esprimere la sessualità di cui il vino come il sangue
diventano simbolo: questa è la prospettiva in cui credere.
Conclusioni
Per
costruire segni di speranza occorre partire da cose concrete e trovare uno
spazio di condivisione; le Comunità sono disponibili alla contaminazione,
aperte alla condivisione : nei loro incontri passati e futuri hanno sempre
sperimentato l’incontro e il confronto…..anche oggi, c’è questa possibilità.
Ripercorrendo in senso inverso le Urgenze che questa
mattina Padre Torres ci ha elencato, vedo come necessario ed anche molto
operativo:
-
ricercare il modo per non discriminare nessuno nella chiesa ( quindi neanche le
donne o gli/le omosessuali);
- costruire
comunità alternative
-
richiamarsi alla lettera di San Paolo ai Galati (3, 28)–“ Perché non c’è più schiavo o libero, greco o giudeo, uomo o donna perché siete uno solo in Cristo Gesù”
;
-
stimolare una autentica rappresentanza laicale
-
organizzare in modo innovativo e democraticamente dal basso la nomina dei
“servitori” ( sia dei presbiteri che dei vescovi)
-
fare in modo che la nomina sia a tempo determinato
-
cambiare la forma d’esercitare l’autorità.
Chiudo
con un detto di Gesù:
“Disse loro: Quando è giunta la sera,
voi dite: bel tempo! Perché il cielo è rosso. E all’alba: oggi burrasca! Perché
il cielo è rosso cupo. Sapete interpretare l’aspetto del cielo, ma non siete in
grado di interpretare il tempo? (Luca da fonte Q - 12,54-56)”