La spiritualità degli atei
ENZO BIANCHI
Ormai in Italia il confronto tra credenti cattolici e non cristiani,
agnostici o atei è sempre più segnato da conflittualità e polemiche
che a volte diventano derisione e disprezzo reciproco. Va detto con
franchezza: siamo lontani dallo spirito espresso da Paolo VI con
parole ormai dimenticate: "Noi dedichiamo uno sforzo pastorale di
riflessione per cercare di cogliere negli atei nell´intimo
del loro
pensiero i motivi del loro dubbio e della loro negazione di Dio".SEGUE
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E´ vero che oggi l´ateismo militante non è più attestato come negli
anni sessanta, ma l´orizzonte agnostico, oggi ancor più esteso di
allora, richiede in realtà lo stesso sforzo da parte dei cristiani per
tessere un dialogo che si nutra di ricerca comune, di ascolto,
di
dibattito tra vie diverse. Invece da una parte, quella dei credenti,
le posizioni sono sovente difensive perché nutrite di paura e di
vittimismo, mentre da parte di alcuni non cristiani si arriva a
deridere la fede, ad affermare che proprio i cristiani sono incapaci
di avere un´etica, che la fede è fomentatrice di integralismo,
intolleranza e violenza. Veementi attacchi anticristiani da una parte,
dall´altra mancanza di ascolto e persino
demonizzazione del "non
credente", giudicato "incapace di moralità".
E così, qua e là echeggia una parola di Dostoevskij:
"Se Dio non
esiste, tutto è permesso!", considerando chi non crede come persona
priva di spiritualità e di morale. Ma allora, è praticabile un dialogo
convinto, rispettoso, capace di essere anche fecondo? E´ possibile che
i non credenti si confrontino con i cristiani sulle domande attorno al
senso della vita? E´ possibile che il cammino di "umanizzazione",
essenziale all´umanità per non cadere nella barbarie,
sia percorso
insieme? Ma affinché questo cammino si apra occorrono alcune urgenze
che cerco di delineare.
Agnostici e atei non credono in Dio, non si sentono coinvolti da
questa presenza perché non la sentono reale, ma sono consapevoli che
invece le religioni che professano Dio fanno parte della storia umana,
della società, del mondo. Come essi non trovano
ragioni per credere,
altri invece le trovano e sono felici: gli uni pensano che questo
mondo basti loro, gli altri sono soddisfatti di avere la fede. Ma
proprio questo fa dire che l´umanità è una, che di essa
fanno parte
religione e irreligione e che, comunque, in essa è possibile, per
credenti e non credenti, la via della spiritualità. Spiritualità non
intesa in stretto senso religioso, ma come vita interiore profonda,
come fedeltà-impegno nelle vicende umane, come ricerca di un vero
servizio agli altri, attenta alla dimensione estetica e alla creazione
di bellezza nei rapporti umani. Spiritualità, soprattutto, come
antidoto al nichilismo che è lo scivolo verso la barbarie: nichilismo
che credenti e non credenti dovrebbero temere maggiormente nella sua
forza di negazione di ogni progetto, di ogni principio
etico, di ogni
ideologia. Purtroppo questo nichilismo viene sovente
definito
relativismo, finendo per confondere il linguaggio del dialogo e del
confronto e portando all´incomprensione reciproca. Ed è lo stesso
nichilismo che, paradossalmente, può assumere la forma del fanatismo
in cui ci sono certezze assolute, dogmatismi, intolleranza che
accecano fino a rendere una persona disposta a morire e a far morire.
No al nichilismo, dunque, ma allora emerge l´urgenza di riconoscere la
presenza di una spiritualità anche negli atei e negli agnostici,
capaci di mostrare che, se anche Dio non esiste, non per questo ci si
può permettere tutto: persone che sanno scegliere cosa fare in base a
principi etici di cui l´uomo in quanto tale è capace. E la grande
tradizione cattolica chiede ai cristiani di riconoscere che l´uomo,
qualsiasi essere umano, proprio perché, secondo la nostra fede, è
creato a immagine e somiglianza di Dio, è "capax
boni", capace di
discernere tra bene e male in virtù di un indistruttibile sigillo
posto nel suo cuore e della ragione di cui è dotato. I non credenti
sono capaci di combattere l´orrore, la violenza, l´ingiustizia; sono
capaci di riconoscere "principi" e "valori", di formulare
diritti
umani, di perseguire un progresso sociale e politico attraverso
un´autentica umanizzazione.
Si tratta, per tutti, di essere fedeli alla terra,
fedeli all´uomo,
vivendo e agendo umanamente, credendo all´amore,
parola sì abusata
oggi e sovente svuotata di significato, ma parola unica che resta
nella grammatica umana universale per esprimere il "luogo" cui
l´essere umano si sente chiamato. Credenti e non credenti non possono
essere insensibili ad affermazioni che percorrono come un adagio i
testi biblici e che sono stati ripresi dalla tradizione: "Solo l´amore
è più forte della morte... Solo l´amore resterà per l´eternità...".
Del resto la fede – questa adesione a Dio sentito come
una presenza
soprattutto a causa del coinvolgimento che il cristiano vive con Gesù
Cristo – non sta nell´ordine del "sapere" e
neppure in quello
dell´acquisizione: si crede nella libertà,
accogliendo un dono che non
ci si può dare da sé. Analogamente gli atei, nell´ordine
del sapere
non possono dire "Dio non c´è": è, infatti, un´affermazione
che
possono fare solo nell´ambito della convinzione.
Vorrei che noi cristiani potessimo ascoltare atei e agnostici,
potessimo confrontarci con loro, senza inimicizie, soprattutto
attraverso un confronto delle nostre spiritualità, di ciò che in
profondità ci muove nel nostro agire. Lo spirito dell´uomo
è troppo
importante perché lo si lasci nelle mani di fanatici e
di intolleranti
oppure di spiritualisti alla moda. Certo, ogni religione si nutre di
spiritualità, ma c´è posto anche per una spiritualità senza religione,
senza Dio.
Ma nella specifica situazione italiana dovremmo prestare attenzione
anche ad un altro elemento, facendo tesoro di un aneddoto storico.
Mussolini confidò un giorno al suo ministro degli
Esteri: "Io sono
cattolico e anticristiano!". Eredi di questa posizione se ne possono
trovare tuttora in Italia: persone non credenti né in Cristo né nel
suo vangelo, ma pronti a difendere valori culturali "cattolici". Non
è
questo che intendo quando parlo di spiritualità degli atei: penso
invece a un sentire che rende possibile un confronto
proprio sui
valori del Vangelo, sul suo messaggio umanizzante a servizio
dell´uomo.
Credo ci sia posto per una spiritualità degli agnostici e dei non
credenti, di coloro che sono in cerca della verità
perché non
soddisfatti di risposte prefabbricate, di verità definite una volta
per tutte. E´ una spiritualità che si nutre dell´esperienza
dell´interiorità, della ricerca del senso e del senso
dei sensi, del
confronto con la realtà della morte come parola originaria e con
l´esperienza del limite; una spiritualità che conosce l´importanza
anche della solitudine, del silenzio, del pensare, del meditare. E´
una spiritualità che si alimenta dell´alterità: va incontro agli
altri, all´altro e resta aperta all´Altro
se mai si rivelasse. Ne La
Peste, Camus scriveva: "Poter essere santi senza
Dio è il solo
problema concreto che io oggi conosco". Oggi potremmo parafrasare
questa affermazione dicendo che il solo autentico
problema è essere
impegnati in una ricerca spirituale al fine di fare della vita umana
un´opera d´arte, un cammino di piena umanizzazione. Sì, in
Francia
pensatori come Luc Ferry o André
Comte-Sponville, non cristiani e non
credenti, propongono nella lotta contro la barbarie incipiente una
spiritualità anche per gli atei. Da noi in Italia, invece, alcuni
paiono esercitarsi a offendere la fede dei credenti e
a negarsi
reciprocamente la capacità di etica universale, di umanesimo... Io
resto testardamente convinto che, in quanto esseri umani, non siamo
estranei gli uni agli altri e che siamo pertanto chiamati ad
ascoltarci e a cercare insieme.
L´autore è fondatore
e priore della Comunità
Monastica di Bose
( da “Repubblica” del 28 febbraio 2007)