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Contact during the Bishops’ Synod 2005 in Rome:

Gigi De Paoli ++39-06-56470668, mob. ++39-3384679696

Vittorio Bellavite ++39-02-70602370, mob. ++39-3331309765

Dr. Martha Heizer ++43-650-4168500 or ++43-650-4168501 (mob.)

Prof. Dr. Norbert Scholl ++49-160-92222653 (mob.)

 

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Appello del Movimento Internazionale Noi Siamo Chiesa-IMWAC

 al Sinodo dei vescovi della Chiesa cattolica romana sull’Eucaristia

 

      Come aderenti a “Noi Siamo Chiesa” da sempre abbiamo cercato di vivere intensamente la centralità dell’Eucaristia nella nostra partecipazione alla vita della comunità cristiana. Con gioia quindi abbiamo accolto l’indizione, decisa da Giovanni Paolo II e confermata da Benedetto XVI, di un Sinodo dei vescovi dedicato all’Eucaristia; ed abbiamo approfondito anche i testi ufficiali legati al tema – l’enciclica Ecclesia de Eucharistia prima, i Lineamenta e l’Instrumentum laboris preparatori del Sinodo poi.

 

      E’ a partire da questo atteggiamento che esprimiamo la nostra delusione per la rigidità dottrinale e la scarsa sensibilità pastorale che sono contenute nei testi emanati. E’ prevalsa, ci pare, una linea che vuole definire ed imporre (guardando più al Concilio di Trento che non allo spirito del Vaticano II) piuttosto che conoscere, capire ed incoraggiare. I documenti che alleghiamo motivano le nostre perplessità e la nostra sofferenza per quella che rischia di essere una grande occasione mancata.

 

      Anche l’Instrumentum laboris, che pure fa trapelare osservazioni, disagi e problemi della vita comunitaria dei cattolici nel mondo sull’Eucaristia, tende ad indicare risposte nella direzione del già detto e definito. Dobbiamo inoltre lamentare che le osservazioni che anche noi – aderendo all’esplicito invito della segreteria del Sinodo – abbiamo inviato a Roma, non sono state prese in considerazione, nonostante quanto affermato nella prefazione del documento vaticano che afferma di avere fatto “una sintesi fedele dei contributi pervenuti”.

 

     La nostra Chiesa rischia, pur dopo tanti documenti autorevoli, congressi eucaristici, incontri e riflessioni ad ogni livello in tutto il mondo, di ritrovarsi al punto di partenza: certamente con una maggiore diffusa tensione devozionale ma, forse, incapace di mostrare realmente come l’Eucaristia possa diventare momento centrale per la vita delle comunità cristiane e per l’evangelizzazione.

 

      Si apre ora il Sinodo: noi speriamo che questa occasione non vada perduta, e perciò chiediamo accoratamente ai padri sinodali che essi non lo considerino solamente come una solenne, magari enfatica, ratifica di un percorso già terminato. Anche mediante uno strumento, ormai dai più considerato inadeguato, come l’attuale Sinodo dei vescovi, i partecipanti ad esso potrebbero esprimere la volontà di cercare di guardare in faccia la realtà avendo cuore e mente radicati nell’Evangelo.

 

     A questo scopo – dalla base del popolo di Dio ed in sintonia con molte attese e necessità oggettive della vita della Chiesa cattolica romana – ci permettiamo di riassumere, in grande sintesi, i punti principali delle nostre riflessioni.

 

Sacrificio o memoria di Cristo che crea fraternità ed esige testimonianza?

 

      L’insistenza – come fa l’Instrumentum laboris – su “sacrificio della croce”, “sacrificio dell’altare” o “sacrificio della messa” trasmette di fatto a molti credenti l’idea di un Dio offeso, che esige una riparazione per gli oltraggi a lui arrecati dagli uomini e che perciò, per placare la Sua ira, non può fare a meno di volere la morte di Gesù sulla croce.

 

     Con molti teologi e teologhe, noi riteniamo che questa idea “sacrificale” vada abbandonata. La celebrazione eucaristica andrebbe invece presentata – il che del resto viene suggerito da una lettura

 

 

attenta delle Scritture – come memoria di tutta la vita di Gesù: una vita offerta in dono per gli altri fino alla fine, caratterizzata dall’accoglienza dei peccatori e dalla predicazione del Regno, conclusa dalla

crocifissione ordita e decisa dal potere politico e religioso, e infine misteriosamente coronata dal Padre che ha resuscitato il Figlio fedele.

 

     La celebrazione eucaristica, inoltre, ci fa drammaticamente ricordare l’abbandono che, al termine della sua vita, Gesù subì da parte dei suoi apostoli (escluso Giovanni) e, soprattutto, il tradimento che subì da parte di Giuda, e poi di Pietro; tradimento che è sempre stato presente nella storia della Chiesa di ieri e di oggi e che perciò dovrebbe suggerire toni non trionfalistici e maggiore umiltà.

 

     Vorremmo, ancora, che il Sinodo sottolineasse quali punti qualificanti dell’Eucaristia: la convivialità, la fraternità dell’incontro, la riflessione sulla Parola, l’annuncio della salvezza che viene da Dio, la condivisione del pane spezzato, la coerente decisione di impegnarsi per la giustizia nel mondo.

     Ugualmente auspichiamo che, mentre si professa il mistero dell’Eucaristia, e si crede che in essa il Cristo risorto sia realmente presente, si lasci piena libertà nella spiegazione filosofica e teologica di tale mistero, appunto perché il “modo” di tale “presenza” non è spiegato dalle Scritture. Questa convergenza nell’affermare la “presenza”, e la libertà nella spiegazione del suo possibile “come” è, del resto, quanto prevede l’accordo ecumenico raggiunto a Lima nel 1981 nel documento “Battesimo, Eucaristia, ministeri”, sottoscritto anche dai teologi cattolici.

 

     Insistere invece, come fa l’Instrumentum laboris, sul dogma della “transustanziazione” per spiegare la presenza di Cristo nell’Eucaristia, innesca e rafforza una mentalità quasi magica, e, per altro verso, materialista e giuridicista, che vede Gesù discendere sull’altare nel momento stesso in cui il sacerdote pronuncia le parole “Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue…”. Ciò a scapito dell’invocazione allo Spirito Santo, degli altri momenti dell’Eucaristia e, ovviamente degli aspetti “conviviali”.

 

     Perciò ci lasciano più che perplessi tutte le forme di devozione consuete del culto eucaristico  (adorazioni, processioni…) in cui la sacralizzazione dell’Eucaristia ha un ruolo evidente. Molti teologi e pastori condividono questo disagio, ma l’Instrumentum laboris ignora questa sensibilità.

 

Convivio ed assemblea o rito gerarchico e sacralizzato ?

 

     L’Eucaristia esiste veramente se c’è una vera comunità riunita nel nome di Cristo, se essa non prevede esclusioni, se si propone la fraternità tra chi vi partecipa, se comporta testimonianza nella vita a favore della pace e della giustizia. Eucaristie ritualmente “vere” possono essere spiritualmente “false” (ricordiamoci delle parole di Paolo ai Corinti). Quindi ci sembra di poter affermare: anche accettando l’attuale posizione ufficiale per quanto riguarda la presidenza dell’Eucaristia (sacramento dell’ordine, imposizione delle mani, successione apostolica) la nostra Chiesa difficilmente potrebbe ignorare le parole di Karl Rahner:

                  “Questo diritto (alla parola di Dio ed ai sacramenti, CIC § 213) è diritto divino poiché si                  iscrive nella natura stessa dell’Eucaristia, e, in caso di conflitto, supera la legittima                                 premura della Chiesa per un clero di cura delle  anime che sia celibatario”.

 

      Ci sembra perciò che, di fronte alla carenza di presbiteri ordinati secondo le norme ora vigenti, in futuro si dovrà necessariamente ricorrere, oltre che a preti uxorati e a viri probati, anche alla presidenza delle donne. L’esclusione di queste ultime è fondata su motivazioni insostenibili da ogni punto di vista – biblico, teologico, storico, ecumenico – come bene hanno messo in evidenza i più recenti studi di teologhe e di teologi, e la prassi di alcuni gruppi ecclesiali.

 

     Sempre a proposito della presidenza dell’Eucaristia, una domanda si impone, inevitabile: perché rinviare ancora, per un malinteso senso di rispetto della tradizione, decisioni, già ora urgenti, che comunque in un futuro non lontano la nostra Chiesa, ispirata dallo Spirito e dalla richiesta dei credenti, non potrà non prendere?

 

      A parte la presidenza dell’Eucaristia, nell’assemblea eucaristica ci sono altre esclusioni, imposte dalla Gerarchia ecclesiastica, che sempre di meno vengono comprese. Ci riferiamo, in particolare, ad una contraddizione lacerante: i documenti ufficiali ribadiscono che i divorziati risposati sono pienamente parte della comunità ecclesiale, ma poi vengono esclusi dalla comunione eucaristica. Eppure, ben diversa era la prassi ecclesiale dei primi secoli, e diversa è anche oggi la prassi delle Chiese ortodosse.

 

     Ancora: la comunità si deve riappropriare della riflessione sulla Parola di Dio che non può essere compito esclusivo del presbitero. Ciò già avviene, nonostante i divieti, in modo abbastanza diffuso; ma dovrebbe diventare una prassi generalizzata che, debitamente attuata, arricchisca tutti e tutte. Perché l’Instrumentum laboris non ha approfondito questo momento centrale dell’Eucaristia?

 

      I singoli membri e l’assemblea eucaristica nel suo insieme dovrebbero poter manifestare, pur seguendo un’impostazione predeterminata, le loro sofferenze, le loro gioie, il loro vissuto quotidiano, i

 

loro propositi, i loro dubbi, le loro angosce. Ci si deve poi preoccupare che sia possibile la comprensione dei simboli e dei segni da parte di tutti, a partire dai bambini.

 

      In definitiva ogni celebrazione eucaristica dovrebbe essere “immersa” nel tempo e nello spazio e non codificata rigidamente in ogni più piccolo particolare; e dunque si dovrebbe lasciare alle autorità diocesane, ai singoli presbiteri ed alle comunità la libertà di rendere l’Eucaristia più partecipata e più ricca. Insomma: l’Assemblea eucaristica dovrebbe essere occasione per “amarsi gli uni gli altri, perché da questo sapranno che siete miei discepoli” (Gv 13, 35); per “correggersi l’un l’altro” (Rom 15, 14); e per “salutarsi gli uni gli altri con il bacio della pace” (Rom 16, 16).

 

Ospitalità eucaristica come fondamento del percorso ecumenico o come ostacolo ?

 

       Ci sembra che il cammino ecumenico, che ha fatto passi in avanti dopo il Concilio Vaticano II, si sia ora fermato. Uno degli ostacoli principali deriva dalla “impossibilità” di celebrare insieme l’Eucaristia (= intercomunione). La posizione cattolica ufficiale afferma che tale celebrazione sarà possibile solo dopo la raggiunta concordanza sulle questioni dottrinali ed ecclesiali; invece, per chi fa parte del cosiddetto popolo ecumenico, composto anche da molti cattolici, essa è un mezzo che, da subito, può servire grandemente ad una forte  convergenza, pur permanendo irrisolte, intanto, le divergenze confessionali, che non toccano però la volontà di “fare questo in memoria di me” come Gesù chiese a tutti i suoi discepoli e discepole.

 

     Comunque, perché almeno l’ospitalità eucaristica non può essere attuata da subito, come medicina corroborante per spingere finalmente le Chiese a riconoscersi e ad incontrarsi? Infatti, non sono le Chiese che invitano all’Eucaristia, ma è Cristo che invita alla Sua mensa. Egli è venuto per sanare gli ammalati e non i sani, e per chiamare al banchetto storpi e zoppi. Egli invita i cristiani e le Chiese alla Sua mensa, a due sole condizioni: la consapevolezza di essere peccatori, e il desiderio di essere fedeli al suo testamento. Perché dunque le Chiese dovrebbero porre delle condizioni per e su l’Eucaristia che Gesù non ha posto?

 

     Non siamo soli a voler andare in questa direzione. Nel 2003 gli istituti ecumenici di Bensheim, Strasburgo e Tubinga hanno dimostrato i motivi per cui l’ospitalità eucaristica reciproca (tra cattolici e luterani, ad esempio) sia teologicamente responsabile ed in molti casi pastoralmente necessaria, nonostante le differenze ancora esistenti nella comprensione teologica e nella prassi delle Chiese.

 

La nostra Eucaristia è partecipe della prospettiva di liberazione di Gesù?

 

      Ci sembra che la verifica sull’effettiva coerenza del grande numero di assemblee eucaristiche, che si tengono ogni settimana nel mondo, sia essenziale per comprovare se in esse si cerca di portare a compimento la storia della salvezza invertendo i canoni del “mondo”, che prevede banchetti per i ricchi Epuloni mentre i poveri devono accontentarsi degli avanzi. La cattolicità, all’inizio del terzo millennio, non può evitare di chiedersi se ed in quale misura all’assemblea eucaristica schiavi e padroni e uomini e donne siedono da uguali; se essa celebra con Maria la festa dei poveri e dei disperati cantando il Magnificat; e se si accoglie la amorosa presenza di Dio che aiuta a cambiare la piramide dei poteri e a costruire un nuovo ordine familiare, sociale, economico e politico fondato sulla non violenza, sul dialogo fiducioso con il nemico e sulla resistenza alla provocazione. 

 

      Concordiamo, in questo, con la Lettera apostolica Mane nobiscum Domine, con la quale papa Wojtyla il 7 ottobre 2004 indiceva l’Anno dell’Eucaristia. Il testo, al paragrafo 28, elenca le tante povertà del nostro mondo che le “comunità diocesane e parrocchiali” dovrebbero cercare di lenire:

             “Il dramma della fame che tormenta centinaia di milioni di esseri umani, le malattie che                flagellano i paesi in via di sviluppo, la solitudine degli anziani, i disagi dei disoccupati, le              traversie degli    immigrati. Sono mali che segnano – seppure in misura diversa – anche le       regioni più opulente. Non possiamo illuderci: dall’amore vicendevole e, in particolare, dalla      sollecitudine per chi è nel bisogno saremo riconosciuti come veri discepoli di Cristo (Gv    13,35; Mt 25,31-46). E’ questo il criterio in base al quale sarà comprovata l’autenticità delle         nostre celebrazioni eucaristiche”.

 

                                                           International Movement We Are Church-IMWAC

Roma,  4 ottobre 2005