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Appello
del Movimento Internazionale Noi Siamo Chiesa-IMWAC
al Sinodo dei vescovi della Chiesa cattolica
romana sull’Eucaristia
Come aderenti a “Noi Siamo Chiesa”
da sempre abbiamo cercato di vivere intensamente la centralità dell’Eucaristia
nella nostra partecipazione alla vita della comunità cristiana. Con gioia
quindi abbiamo accolto l’indizione, decisa da Giovanni Paolo II e confermata da
Benedetto XVI, di un Sinodo dei vescovi dedicato all’Eucaristia; ed abbiamo
approfondito anche i testi ufficiali legati al tema – l’enciclica Ecclesia de Eucharistia prima, i Lineamenta e l’Instrumentum laboris preparatori del Sinodo poi.
E’ a partire da questo atteggiamento
che esprimiamo la nostra delusione per la rigidità dottrinale e la scarsa
sensibilità pastorale che sono contenute nei testi emanati. E’ prevalsa, ci
pare, una linea che vuole definire ed imporre (guardando più al Concilio di
Trento che non allo spirito del Vaticano II) piuttosto che conoscere, capire ed
incoraggiare. I documenti che alleghiamo motivano le nostre perplessità e
la nostra sofferenza per quella che rischia di essere una grande occasione
mancata.
Anche l’Instrumentum laboris, che pure fa trapelare osservazioni, disagi e
problemi della vita comunitaria dei cattolici nel mondo sull’Eucaristia, tende
ad indicare risposte nella direzione del già detto e definito. Dobbiamo inoltre
lamentare che le osservazioni che anche noi – aderendo all’esplicito invito
della segreteria del Sinodo – abbiamo inviato a Roma, non sono state prese
in considerazione, nonostante quanto affermato nella prefazione del
documento vaticano che afferma di avere fatto “una sintesi fedele dei
contributi pervenuti”.
La nostra Chiesa rischia, pur
dopo tanti documenti autorevoli, congressi eucaristici, incontri e
riflessioni ad ogni livello in tutto il mondo, di ritrovarsi al punto di
partenza: certamente con una maggiore diffusa tensione devozionale ma,
forse, incapace di mostrare realmente come l’Eucaristia possa diventare momento
centrale per la vita delle comunità cristiane e per l’evangelizzazione.
Si apre ora il Sinodo: noi speriamo che
questa occasione non vada perduta, e perciò chiediamo accoratamente ai padri
sinodali che essi non lo considerino solamente come una solenne, magari
enfatica, ratifica di un percorso già terminato. Anche mediante uno strumento,
ormai dai più considerato inadeguato, come l’attuale Sinodo dei vescovi, i
partecipanti ad esso potrebbero esprimere la volontà di cercare di guardare in
faccia la realtà avendo cuore e mente radicati nell’Evangelo.
A questo scopo – dalla base del
popolo di Dio ed in sintonia con molte attese e necessità oggettive della
vita della Chiesa cattolica romana – ci permettiamo di riassumere, in grande
sintesi, i punti principali delle nostre riflessioni.
Sacrificio o
memoria di Cristo che crea fraternità ed esige testimonianza?
L’insistenza – come fa l’Instrumentum laboris – su “sacrificio
della croce”, “sacrificio dell’altare” o “sacrificio della messa” trasmette di
fatto a molti credenti l’idea di un Dio offeso, che esige una riparazione per
gli oltraggi a lui arrecati dagli uomini e che perciò, per placare
Con molti teologi e teologhe,
noi riteniamo che questa idea “sacrificale” vada abbandonata. La celebrazione
eucaristica andrebbe invece presentata – il che del resto viene suggerito da
una lettura
attenta delle Scritture – come memoria di tutta la vita di Gesù: una vita
offerta in dono per gli altri fino alla fine, caratterizzata dall’accoglienza
dei peccatori e dalla predicazione del Regno, conclusa dalla
crocifissione ordita e decisa dal potere politico e religioso, e infine
misteriosamente coronata dal Padre che ha resuscitato il Figlio fedele.
La celebrazione eucaristica,
inoltre, ci fa drammaticamente ricordare l’abbandono che, al termine della sua
vita, Gesù subì da parte dei suoi apostoli (escluso Giovanni) e, soprattutto,
il tradimento che subì da parte di Giuda, e poi di Pietro; tradimento che è
sempre stato presente nella storia della Chiesa di ieri e di oggi e che perciò
dovrebbe suggerire toni non trionfalistici e maggiore umiltà.
Vorremmo, ancora, che il Sinodo sottolineasse
quali punti qualificanti dell’Eucaristia: la convivialità, la fraternità
dell’incontro, la riflessione sulla Parola, l’annuncio della salvezza che viene
da Dio, la condivisione del pane spezzato, la coerente decisione di impegnarsi
per la giustizia nel mondo.
Ugualmente auspichiamo che,
mentre si professa il mistero dell’Eucaristia, e si crede che in essa il Cristo
risorto sia realmente presente, si lasci piena libertà nella spiegazione
filosofica e teologica di tale mistero, appunto perché il “modo” di tale
“presenza” non è spiegato dalle Scritture. Questa convergenza nell’affermare la
“presenza”, e la libertà nella spiegazione del suo possibile “come” è, del
resto, quanto prevede l’accordo ecumenico raggiunto a Lima nel 1981 nel
documento “Battesimo, Eucaristia, ministeri”, sottoscritto anche dai teologi
cattolici.
Insistere invece, come fa l’Instrumentum laboris, sul dogma della
“transustanziazione” per spiegare la presenza di Cristo nell’Eucaristia,
innesca e rafforza una mentalità quasi magica, e, per altro verso, materialista
e giuridicista, che vede Gesù discendere sull’altare nel momento stesso in cui
il sacerdote pronuncia le parole “Questo è il mio corpo, questo è il mio
sangue…”. Ciò a scapito dell’invocazione allo Spirito Santo, degli altri
momenti dell’Eucaristia e, ovviamente degli aspetti “conviviali”.
Perciò ci lasciano più che
perplessi tutte le forme di devozione consuete del culto eucaristico
(adorazioni, processioni…) in cui la sacralizzazione dell’Eucaristia ha un
ruolo evidente. Molti teologi e pastori condividono questo disagio, ma l’Instrumentum laboris ignora questa
sensibilità.
Convivio ed
assemblea o rito gerarchico e sacralizzato ?
L’Eucaristia esiste veramente se
c’è una vera comunità riunita nel nome di Cristo, se essa non prevede
esclusioni, se si propone la fraternità tra chi vi partecipa, se comporta
testimonianza nella vita a favore della pace e della giustizia. Eucaristie
ritualmente “vere” possono essere spiritualmente “false” (ricordiamoci delle
parole di Paolo ai Corinti). Quindi ci sembra di poter affermare: anche
accettando l’attuale posizione ufficiale per quanto riguarda la presidenza
dell’Eucaristia (sacramento dell’ordine, imposizione delle mani, successione
apostolica) la nostra Chiesa difficilmente potrebbe ignorare le parole di Karl
Rahner:
“Questo diritto
(alla parola di Dio ed ai sacramenti, CIC § 213) è diritto divino poiché si iscrive nella natura stessa
dell’Eucaristia, e, in caso di conflitto, supera la legittima premura della
Chiesa per un clero di cura delle anime
che sia celibatario”.
Ci sembra perciò che, di fronte
alla carenza di presbiteri ordinati secondo le norme ora vigenti, in futuro si
dovrà necessariamente ricorrere, oltre che a preti uxorati e a viri probati, anche alla presidenza
delle donne. L’esclusione di queste ultime è fondata su motivazioni
insostenibili da ogni punto di vista – biblico, teologico, storico, ecumenico –
come bene hanno messo in evidenza i più recenti studi di teologhe e di teologi,
e la prassi di alcuni gruppi ecclesiali.
Sempre a proposito della
presidenza dell’Eucaristia, una domanda si impone, inevitabile: perché rinviare
ancora, per un malinteso senso di rispetto della tradizione, decisioni, già ora
urgenti, che comunque in un futuro non lontano la nostra Chiesa, ispirata
dallo Spirito e dalla richiesta dei credenti, non potrà non prendere?
A parte la presidenza
dell’Eucaristia, nell’assemblea eucaristica ci sono altre esclusioni, imposte
dalla Gerarchia ecclesiastica, che sempre di meno vengono comprese. Ci
riferiamo, in particolare, ad una contraddizione lacerante: i documenti
ufficiali ribadiscono che i divorziati risposati sono pienamente parte della
comunità ecclesiale, ma poi vengono esclusi dalla comunione eucaristica.
Eppure, ben diversa era la prassi ecclesiale dei primi secoli, e diversa è
anche oggi la prassi delle Chiese ortodosse.
Ancora: la comunità si deve
riappropriare della riflessione sulla Parola di Dio che non può essere compito
esclusivo del presbitero. Ciò già avviene, nonostante i divieti, in modo
abbastanza diffuso; ma dovrebbe diventare una prassi generalizzata che,
debitamente attuata, arricchisca tutti e tutte. Perché l’Instrumentum laboris non ha approfondito questo momento centrale
dell’Eucaristia?
I singoli membri e l’assemblea
eucaristica nel suo insieme dovrebbero poter manifestare, pur seguendo
un’impostazione predeterminata, le loro sofferenze, le loro gioie, il loro
vissuto quotidiano, i
loro propositi, i loro dubbi, le loro angosce. Ci si deve poi preoccupare
che sia possibile la comprensione dei simboli e dei segni da parte di tutti, a
partire dai bambini.
In definitiva ogni celebrazione
eucaristica dovrebbe essere “immersa” nel tempo e nello spazio e non codificata
rigidamente in ogni più piccolo particolare; e dunque si dovrebbe lasciare alle
autorità diocesane, ai singoli presbiteri ed alle comunità la libertà di
rendere l’Eucaristia più partecipata e più ricca. Insomma: l’Assemblea
eucaristica dovrebbe essere occasione per “amarsi gli uni gli altri, perché da
questo sapranno che siete miei discepoli” (Gv 13, 35); per “correggersi l’un
l’altro” (Rom 15, 14); e per “salutarsi gli uni gli altri con il bacio della
pace” (Rom 16, 16).
Ospitalità
eucaristica come fondamento del percorso ecumenico o come ostacolo ?
Ci sembra che il cammino
ecumenico, che ha fatto passi in avanti dopo il Concilio Vaticano II, si sia
ora fermato. Uno degli ostacoli principali deriva dalla “impossibilità” di
celebrare insieme l’Eucaristia (= intercomunione). La posizione cattolica
ufficiale afferma che tale celebrazione sarà possibile solo dopo la raggiunta
concordanza sulle questioni dottrinali ed ecclesiali; invece, per chi fa parte
del cosiddetto popolo ecumenico, composto anche da molti cattolici, essa è un
mezzo che, da subito, può servire grandemente ad una forte convergenza,
pur permanendo irrisolte, intanto, le divergenze confessionali, che non toccano
però la volontà di “fare questo in memoria di me” come Gesù chiese a tutti i
suoi discepoli e discepole.
Comunque, perché almeno
l’ospitalità eucaristica non può essere attuata da subito, come medicina
corroborante per spingere finalmente le Chiese a riconoscersi e ad incontrarsi?
Infatti, non sono le Chiese che invitano all’Eucaristia, ma è Cristo che invita
alla Sua mensa. Egli è venuto per sanare gli ammalati e non i sani, e per
chiamare al banchetto storpi e zoppi. Egli invita i cristiani e le Chiese alla
Sua mensa, a due sole condizioni: la consapevolezza di essere peccatori, e il
desiderio di essere fedeli al suo testamento. Perché dunque le Chiese
dovrebbero porre delle condizioni per e su l’Eucaristia che Gesù non ha
posto?
Non siamo soli a voler andare in
questa direzione. Nel 2003 gli istituti ecumenici di Bensheim, Strasburgo e
Tubinga hanno dimostrato i motivi per cui l’ospitalità eucaristica reciproca
(tra cattolici e luterani, ad esempio) sia teologicamente responsabile ed in
molti casi pastoralmente necessaria, nonostante le differenze ancora esistenti
nella comprensione teologica e nella prassi delle Chiese.
La nostra
Eucaristia è partecipe della prospettiva di liberazione di Gesù?
Ci sembra che la verifica sull’effettiva
coerenza del grande numero di assemblee eucaristiche, che si tengono ogni
settimana nel mondo, sia essenziale per comprovare se in esse si cerca di
portare a compimento la storia della salvezza invertendo i canoni del “mondo”,
che prevede banchetti per i ricchi Epuloni mentre i poveri devono accontentarsi
degli avanzi. La cattolicità, all’inizio del terzo millennio, non può evitare
di chiedersi se ed in quale misura all’assemblea eucaristica schiavi e padroni
e uomini e donne siedono da uguali; se essa celebra con Maria la festa dei
poveri e dei disperati cantando il Magnificat; e se si accoglie la amorosa
presenza di Dio che aiuta a cambiare la piramide dei poteri e a costruire
un nuovo ordine familiare, sociale, economico e politico fondato sulla non
violenza, sul dialogo fiducioso con il nemico e sulla resistenza alla
provocazione.
Concordiamo, in questo, con
“Il dramma della fame che tormenta centinaia
di milioni di esseri umani, le malattie che flagellano i paesi in via di sviluppo, la
solitudine degli anziani, i disagi dei disoccupati, le traversie degli immigrati. Sono mali che segnano – seppure in
misura diversa – anche le regioni più opulente. Non possiamo illuderci:
dall’amore vicendevole e, in particolare, dalla sollecitudine per chi è
nel bisogno saremo riconosciuti come veri discepoli di Cristo (Gv 13,35;
Mt 25,31-46). E’ questo il criterio in base al quale sarà comprovata
l’autenticità delle nostre
celebrazioni eucaristiche”.
International Movement We Are Church-IMWAC
Roma, 4 ottobre 2005