IN NOME DEL DIO MISERICORDIOSO. Un incontro alla festa dell'Aid el Fitr a Sesto S.Giovanni. 5 dicembre 2002 Ho il privilegio di partecipare alla preghiera della festa di rottura del digiuno di una delle più grandi realtà musulmane in Italia. Un’esperienza intensa, estremamente significativa: davanti a me migliaia di volti di uomini che invocano il nome di Allah. Ripetono quel nome in una litania, una preghiera intensa che mi coinvolge mio malgrado. Osservo quelle labbra che sussurrano un suono a loro tanto caro, gli occhi di molti sono socchiusi, inginocchiati o seduti su piccoli tappeti per la preghiera, si muovono discretamente. La sala è gremita di persone. Mi dicono più di quattromila. L’Imam invita l’assemblea a venire avanti, proprio come facciamo anche noi nelle nostre chiese. La motivazione però è ben diversa: bisogna ridurre al massimo gli spazi vuoti per dare a tutti la possibilità di inginocchiarsi. In fondo alla sala tanti uomini non hanno spazio per sedersi. A piedi nudi, accovacciati per terra, dei credenti invocano Dio, quell’unico Dio che è padre di tutti i popoli, che piange di fronte alle divisioni, ai conflitti religiosi, alle ingiustizie. Insieme a me altri membri della delegazione cristiana per il dialogo. Al mio fianco il sindaco di Sesto San Giovanni, Giorgio Oldrini, che saluterà cordialmente la comunità donando parole di accoglienza e solidarietà. E poi c’è don Giampiero Alberti, che porta i saluti della diocesi. Un debito al suo lavoro va pagato. Oggi, se noi siamo qui, è in parte grazie alle relazioni di amicizia e fiducia che don Giampiero ha tessuto con la comunità islamica nel corso degli ultimi sette anni. Noi siamo neofiti e lui ci introduce in questa realtà che conosce ormai intimamente. Il Discorso del presidente della casa della cultura islamica di Sesto e di Milano è un invito al dialogo, un’invocazione di pace. "Non dobbiamo avere paura del dialogo, anche il profeta lo ricercava, dobbiamo invece temere le analisi politiche dopo l’11 settembre. Questa tragedia non è figlia dell’Islam né della nostra cultura. Ha invece origine nella poca spartizione delle ricchezze nel mondo, nella poca diffusione della democrazia, nello sfruttamento di popoli nel mondo. Le reazioni alle ingiustizie possono avere qualsiasi colore e origine. L’Islam è la religione della pace. Non può essere convoglio di odio e vendetta. Noi come comunità stabilita in Europa lotteremo con tutte le nostre energie per educare le nostre generazioni future ad essere sorgente di sapienza e di pace nel rispetto totale delle leggi vigenti, delle regole dell’integrazione e della convivenza. Di fronte ai doveri noi immigrati non dobbiamo esigere nessuna limitazione. Siamo alla pari di qualsiasi cittadino europeo, tuttavia per quanto riguarda i diritti, di continuo sperimentiamo delimitazioni. Le leggi dovrebbero essere fatte con meno impatto sulle popolazioni immigrate per farle sentire parte integrante di questo Paese". Il discorso continua sull’immigrazione. Si racconta la fatica per arrivare ad occupare un posto sociale dignitoso. E mentre il presidente parla, osservo gli occhi dell’assemblea, occhi intensissimi, sguardi attenti. Alcuni volti portano il segno della fatica descritta dalle parole dell’oratore. Molti sono precocemente invecchiati, altri sono giovanissimi. Corpi muscolosi, generalmente magri, mani callose; tra loro però ci sono anche studenti, persone perfettamente integrate, dirigenti, non solo clandestini dunque… Gente affabile e generosa che ci accoglie, ci saluta cordialmente, ci offre dolci, regali ed amicizia…Mi sento a casa in questo luogo accogliente e sento su di noi il sorriso di Dio. A Milano esistono due grosse realtà musulmane. Una più disponibile al dialogo, l’altra più diffidente. Alcuni responsabili musulmani già da tempo si confrontano con altre realtà religiose a Milano. Hanno contribuito con entusiasmo e serietà alla nascita di un’organizzazione milanese chiamata "Religioni per la Pace". Più volte hanno condiviso con noi momenti di confronto e di preghiera. E’ durante una plenaria di "Religions for Peace", che è partita la proposta musulmana di invitare alcuni rappresentanti delle diverse religioni alla loro festa di rottura del digiuno. Un invito coraggioso e generoso che spiazza le obiezioni di chi sembra avere difficoltà ad aderire all’appello per il dialogo promosso da Brunetto Salvarani. Più volte, negli ultimi mesi, ho sentito criticare l’iniziativa di una giornata di dialogo con argomentazioni che vanno dalla disparità del dialogo (siamo sempre noi cristiani a muoverci, a fare attività, ai musulmani non interessa nulla), alla difficoltà di pensare ad iniziative ufficiali laddove non ci sono esperienze locali. Obiezioni serie, che tuttavia a volte suonano come alibi per non sentire il soffio della novità di Dio, che interroga le nostre realtà ed apre opportunità per costruire davvero un contesto di pace e fiducia. Il dialogo non è semplice. Le difficoltà sono molteplici, la conoscenza dell’altro è inesistente. L’idea però di una giornata di dialogo era proprio finalizzata a dedicare un preciso momento dell’anno all’incontro. Nessuno vuole ridurre il dialogo ad una giornata! Lo stadio di Sesto San Giovanni che accoglie la festa di ID aL FITR, è gremito di gente vestita elegantemente, allegra e sorridente. Sono i musulmani, quei musulmani che suscitano spettri e paure in molti . Si parla di Islam spesso dimenticando che dietro questa parola, questa realtà, ci sono volti, storie, gente che crede con passione e serietà. Storie a volte difficili, di chi ha conosciuto la povertà anche nel nostro paese; ma anche tante vicende felici, di chi invece è riuscito ad integrarsi perfettamente. Difficile identificare tutte le razze presenti: alcuni hanno i tratti orientali, altri sembrano africani, ma ci sono anche tanti italiani. Molti non parlano bene la nostra lingua, altri invece la conoscono perfettamente. Per alcuni ormai l’italiano è la loro lingua materna. . Gente diversa e tuttavia unita dalla fede nel Dio unico clemente e misericordioso… Insieme agli altri membri della delegazione entro in quell’atmosfera di festa. Ci salutano affettuosamente, ci presentano gli esponenti più prestigiosi delle loro comunità, ci fanno sentire importanti e comprendiamo immediatamente di essere in un luogo sacro. Sacro non per l’edificio, un comune stadio, attrezzato per l’occasione con tappeti, ma per la sacralità delle relazioni che si vivono all’interno. L’accoglienza è squisitamente mediterranea. Ci invitano ad un tavolo e prima ancora di prendere accordi sulle modalità dei nostri interventi ci mettono a nostro agio, ci fanno accomodare. Una tazza di tè bollente, succhi di frutta esotici e tanti dolci, molti dei quali li riconosco, sono i nostri dolci, i nostri pasticcini, la nostra biscotteria secca, perfettamente integrata tra i mille dolci al miele e al cocco più esotici. Prima della preghiera, mentre continuiamo a sorseggiare il tè e ad ingolfarci di dolciumi, cerchiamo di decidere chi tra noi della delegazione per il dialogo porterà i saluti alla comunità. Vorremmo che fosse una donna a parlare, ma ci interroghiamo sull’opportunità di questo desiderio. Forse potrebbe essere offensivo e noi non vogliamo offendere i nostri ospiti. Il responsabile della casa della cultura ascolta le nostre riflessione e poi ci rassicura. Saranno ben felici di ricevere i nostri saluti da chiunque li voglia dare, uomo o donna che sia. Per loro non c’è nessun problema, se questo non crea problema a noi. E così lasciamo che Franca Ciccolò Fabris ci rappresenti. Dirà poche parole, per non rubare troppo tempo, parole incisive di chi ha fatto del dialogo, dell’incontro con l’altro, la ragione profonda della sua vita. Franca parlerà della necessità di conoscersi, di parlarsi, di scoprire che dietro ad ogni volto c’è una storia. Verrà applaudita e l’Imam richiamerà amorevolmente l’assemblea a ritrovare il contegno dovuto in un momento di preghiera. Franca dirà anche che siamo un gruppo di cristiani promotori del famoso appello per il dialogo cristiano-islamico lanciato lo scorso anno. Qualche limite le era stato dato in verità. Ci era stato detto di evitare di parlare della giornata del dialogo cristiano islamico. Una proposta che la Cei non ha ritenuto per quest’anno di far propria, pur incoraggiando le realtà locali già attive a muoversi in questa direzione. Questa reticenza istituzionale ha necessariamente avuto delle ricadute locali: l’ufficio per l’ecumenismo e il dialogo della curia milanese, dopo due mesi di alterne vicende, alla vigilia della data prevista, ha semplicemente proposto ai cristiani sensibili all’appello di partecipare, con una piccola delegazione ed eventualmente con un breve messaggio, alla visita che la curia compie in occasione della festa di rottura del digiuno alla comunità islamica, nella quale viene portato il tradizionale messaggio augurale dell’arcivescovo. Poca cosa rispetto alle aspettative di incontri cittadini locali. Non ci scoraggiamo però, le difficoltà non ci spaventano e non vogliamo "affrettare i tempi"; tuttavia non possiamo evitare di sollecitare le nostre realtà a creare momenti di condivisione e conoscenza, un modo necessario per abbattere pregiudizi e fantasmi. Il presidente della casa della cultura islamica, l’Imam , come i vari responsabili si informano sui loro ospiti, ci sorridono amabilmente. Ci spiegano qualcosa della loro festa e noi siamo lì curiosi di apprendere: "Ogni festa islamica viene dopo un periodo di adorazione. Il nostro digiuno è una modalità con cui noi ci mettiamo in completo ascolto di Dio. E’ un tempo per ricordare i pilastri della nostra fede, per concentrarci nella carità e nella preghiera. Ci ricordiamo che il tempo non è nostro, ma di Allah, a lui appartiene ogni giorno della nostra vita. Alla fine del mese di digiuno tutte le famiglie islamiche si ritrovano per una preghiera di ringraziamento. Ecco, voi vi trovate qui. Per noi oggi è un giorno di festa. Vedrete che la preghiera sarà molto breve, come se Allah volesse lasciare spazio alle famiglie per festeggiare, per stare con i bambini per riposarsi e distendersi". Altre informazioni le apprendiamo dalle donne. Incontreremo dopo la preghiera Fatima Abdellhokem, presidente dell’associazione Donne musulmane in Italia, accompagnata da Souheir, la segretaria. Ci spiegano che questa festa è dai loro bambini attesa con trepidazione, come i nostri bimbi aspettano il Natale. La mattina i piccoli ricevono un regalo e poi, per tutta la giornata, sono coccolati ed al centro dei festeggiamenti. Le bambine portano una piccola borsa dove molti adulti fanno scivolare qualche moneta e poi ci sono i dolci, il pranzo comune. Ci spiegano che qui in Italia le famiglie per ritrovarsi assieme , vivendo in case modeste, prenotano un locale, un ristorante, dove si riuniscono per festeggiare. Si prepara il cibo fin dalla sera prima per essere totalmente libere quel giorno. Ci descrivono alcuni dei loro piatti tradizionali e si dichiarano disponibili ad organizzare un corso di cucina araba per le donne cristiane. Ci parlano poi di un’associazione, una specie di Caritas musulmana. Essa si occupa di gestire la rete di aiuti per coloro che vivono disagi in Italia. Oggi, per tutti coloro che qui in Italia non hanno la famiglia, ci sarà la possibilità di mangiare lì nello stadio. Anche per loro le donne hanno provveduto a cucinare. Ci raccontano anche che ogni persona dona alla comunità un contributo di 5 euro per la fine del digiuno. Quei soldi serviranno per aiutare i bisognosi. Sono un’offerta diversa dalla carità dovuta. Queste donne parlano perfettamente l’italiano. Scopriamo che molte, le più giovani, sono nate in Italia. Alcune sono cittadine italiane. Ripenso ad una frase non troppo felice della lettera del cardinale alla comunità islamica: "la festa di Id al Fitr, con la quale concludete il mese di Ramadan, mi offre l’opportunità di salutarvi in qualità di Vescovo della terra che vi ospita". Quanto poco conosciamo di questa realtà. Molti tra loro sono cittadini e noi li consideriamo ancora stranieri, ospiti. Salutiamo le donne scambiandoci i rispettivi recapiti e promettendoci di ricercarci per promuovere assieme altre attività. Stringo la mano di Fatima, mentre l’abbraccio. La sua ruvidezza mi rivela la fatica di una vita di lavoro. I saluti si prolungano. Nessuno sembra aver voglia di andar via. Più tardi in metropolitana, con Franca Fabris e Vittorio Bellavite (un cattolico del movimento "Noi siamo Chiesa", anche lui parte della delegazione) commentiamo l’esperienza appena vissuta. Ci raccontiamo alcune delle tante sensazioni provate. Ci scopriamo un po’ più ricchi e ci accompagna lo sguardo sorridente di Dio. Lidia Maggi, pastora battista ( da "Riforma", dicembre 2002) |