L'"EUROPA CRISTIANA" PUO' RECITARE IL PADRE NOSTRO?
di Giulio Girardi
Anno C - 29 luglio 2001 - XVII Domenica del Tempo Ordinario (Gen 18,20-21.23-32; Sal 137; Col 2,12-14; Lc 11,1-13)
"Padre, perdona i nostri peccati, perchè anche noi perdoniamo ad ogni nostro debitore"
Vorrei partire, in questa reinterpretazione del Padre Nostro, dalla tesi, spesso enunciata per esempio da Giovanni Paolo II, delle "radici cristiane dell'Europa". Voglio supporre che la comunità europea si riconosca per un momento come cristiana e che come tale decida di recitare il Padre Nostro. Di questa preghiera però la comunità europea, che è prima di tutto una comunità economica, valorizzerà particolarmente l'aspetto "commerciale": "rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori."
Ma per pronunciare senza formalismi questa invocazione, la comunità europea dovrebbe cominciare col riconoscere i suoi debiti e i suoi crediti: i debiti di cui deve chiedere la remissione ed i crediti che deve rimettere. Ma l'impresa non è facile. La definizione del debito di un popolo o di un continente non è neutrale: dipende dalla scelta di campo di chi la formula, che può guardare la storia dal punto di vista dei gruppi e dei popoli dominanti oppure dal punto di vista degli oppressi, per esempio dei popoli indigeni coscientizzati e ribelli.
Allora, prima di chiedere che le siano rimessi i suoi debiti, la comunità europea deve pregare così: "Padre, aiutaci a scoprire quali sono, dal tuo punto di vista, i nostri debiti." Il Padre risponderà: Mio figlio, tuo fratello Gesù ve lo ha detto: " Il mio punto di vista è quello dei miei figli emarginati, che soffrono la fame, la sete, la malattia, la miseria, che però hanno fame e sete di giustizia e si mobilitano per realizzarla. Il mio punto di vista coincide, per esempio, con quello degli indigeni coscientizzati e ribelli. Oggi chi ascolta loro ascolta me.
- Ma che cosa hanno da dirci gli indigeni sui nostri debiti?
- Moltissimo. Essi vi ricordano che avete saccheggiato le loro terre e le loro risorse, che avete costruito la vostra ricchezza condannandoli alla povertà, che avete costruito la vostra grandezza distruggendo la loro. Allora, il vostro debito? È immenso, impagabile. Dovete contribuire a ricostruire la vita che avete distrutto per secoli, che continuate a distruggere oggi. Vi pare poco?
- Ma Padre, ti stiamo appunto chiedendo di rimettere i nostri debiti.
- Bella pretesa! Per rimetterveli, dovrei sapere che li riconoscete questi debiti; chiamiamoli con il loro nome, questi crimini. Per rimetterveli, dovrei sapere che ne siete pentiti: mi risulta invece che ne siete fieri, che siete fieri della civiltà che avete costruito sul crimine e di cui rivendicate la superiorità. Per perdonarvi i vostri delitti, dovrei sapere che ne siete pentiti e che state cercando di riparare, di ricostruire qualcosa di ciò che avete distrutto. Ma di questo tentativo non vedo nessuna traccia.
- Ma sì, Padre, una traccia dovresti vederla. Stiamo rimettendo ai Paesi più poveri il loro debito, ed è in nome di questo nostro impegno che chiediamo a te di rimettere i nostri debiti.
- Mi dispiace, ma tra le due cose non vi è nessun rapporto. Voi chiedete che vi sia rimesso un debito che esiste, che è fortissimo, che è un delitto del quale, per di più, non siete pentiti. Come contropartita offrite la "remissione" di un debito che non esiste, che è il frutto delle vostre secolari depredazioni. Chiamate debito dei Paesi poveri, quello che è in realtà un debito vostro, un debito dei ricchi usurpatori.
Basta. Le vostre preghiere mi ripugnano, non riesco ad ascoltarle. Sono costruite sulla menzogna, non sulla verità. Sono costruite sull'egoismo, non sull'amore. Tornerò ad ascoltarvi quando voi ascolterete i vostri fratelli e le vostre sorelle indigeni; quando cesserete di disprezzarli e di opprimerli; quando cesserete di perpetrare contro di loro il delitto di Caino, moltiplicato per centinaia di anni e per milioni di vittime. Tornerò ad ascoltarvi quando voi ascolterete il grido delle vostre sorelle e dei vostri fratelli indigeni. Quel grido è il mio.
(da "Adista" n. 51 del 5-7-2001)
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