I GIUBILEI DEL NOVECENTO un libro di Marcello Vigli PAPATO E POTERE DA INIZIO SECOLO AL GIUBILEO DEL 2000 DATANEWSEditrice, Via di S. Erasmo 22, 00184 Roma - Tel. 0670450318-19 Fax 0670450320 - E-mail: datanews@tiscalinet.it L. 22.000 INDICE Parte prima Il Novecento dei Giubilei 1. Papato, Stati, ordine internazionale 2. Papato e cultura 3. Papato, Chiese e religioni 4. Papato, secolarizzazione e democrazia Parte seconda I giubilei del Novecento 1. Papato e liberalismo (1900) 2. Papato e crisi modernista (1925) 3. Papato e fascismo (1933) 4. Papato e anticomunismo (1950) 5. Papato e Concilio (1975) 6. Papato e restaurazione (2000) INTRODUZIONE Al tramonto del suo lungo pontificato Giovanni Paolo II, nell'enciclica Ut unum sint del 1995, ha invitato i cristiani, cattolici e non, a "ripensare lo stile e il modo di esercitare il ministero papale". Tra i contributi di quanti in questi anni hanno risposto direttamente o indirettamente all'invito, assume un particolare significato e una grande rilevanza l'intervento del cardinale Carlo Maria Martini al Sinodo europeo dei vescovi dell'ottobre 1999. Con la sua proposta di rilancio di una gestione collegiale del governo della Chiesa, attraverso "uno strumento più universale ed autorevole" dell'attuale Sinodo generale, sembra che possa avviarsi un processo reale di ripensamento del potere del Papato. Un contributo a questo ripensamento può venire da una riflessione sullo stile e sui modi in cui è stato esercitato dai nove papi che hanno guidato la Chiesa cattolica in questo ultimo secolo, nel confronto con un mondo che, nelle sue rapide trasformazioni, ha visto affermarsi, trionfare e deperire il mito della modernità, nascere e tramontare ideologie e istituzioni. Il liberalismo, egemone all'inizio del secolo, quando questo sta per finire torna alla ribalta favorito dalla profonda crisi del comunismo e della socialdemocrazia, vincitori, nella seconda metà del secolo, sui fascismi e sul nazismo nati nei paesi a democrazia debole per resistere alla loro avanzata. Scienza e tecnologia hanno radicalmente trasformato il rapporto tra l'uomo e la natura e avviato una mutazione antropologica di cui non è facile prevedere gli esiti. L'Europa "culla" della cristianità, al centro delle dinamiche internazionali all'inizio del Novecento, è ridotta al ruolo di comprimaria dopo essersi lacerata in due guerre che, nate al suo interno, hanno coinvolto l'intero pianeta e si sono concluse con il fungo di Hiroshima. Popoli e continenti, da essa considerati terra di conquista, sono oggi protagonisti nella cultura e nella politica. Le donne denunciano la loro secolare emarginazione come cittadine del mondo e rivendicano l'attuazione dell'uguaglianza e la valorizzazione delle differenze. Con questa accelerazione della storia, radicalmente nuova nei confronti di quando il tempo era scandito in sequenze secolari, la Chiesa cattolica è stata costretta a misurarsi. Al suo interno e nelle sue relazioni con l'esterno si sono posti problemi nuovi e i problemi vecchi hanno assunto forme nuove. Ieri, idee e valori potevano sembrare assoluti e un'istituzione apparire indefettibile; oggi, interrogati dall'incalzare degli eventi, rivelano tutta la loro relatività e precarietà: la loro storicità. Contemporaneamente, proprio l'accelerazione del tempo storico, che si è verificata nel Novecento, consente di cogliere meglio l'interazione tra il divenire della società civile e le dinamiche interne alla Chiesa cattolica. Costretta a subire i ritmi dello sviluppo sociale, ha cercato sempre di non esserne travolta, sforzandosi di mantenere un suo tempo interno, come si addice ad una struttura che si proclama di origine divina. Lo esige la sua particolare organizzazione che si vuole funzionale a garantire l'intangibilità del suo patrimonio teologico, dichiarato espressione di una verità rivelata, e ad assicurare la continuità della sua struttura istituzionale, anch'essa considerata di natura metastorica seppure immersa nella storia. Lo rende, però, difficile la dialettica centro/periferie, clero/laicato, profezia/istituzione, autenticità evangelica/realismo politico in presenza di un'ineliminabile interazione con il mondo esterno. Su questo duplice fronte si sono sviluppati gli sforzi che i papi hanno compiuto per continuare ad assolvere alla funzione di guidare la Chiesa e per promuoverne l'aggiornamento in funzione della missione salvifica che essa, nella sua autorappresentazione, dice di avere. Nella struttura gerarchica della Chiesa cattolica il Papato è senza dubbio, infatti, il fulcro dei dinamismi dell'intera realtà ecclesiale, pur se è errato far coincidere questa con quello. Ripercorrere le tappe del rapporto dei diversi papi con le trasformazioni intervenute in cent'anni negli assetti geopolitici del pianeta, con le dinamiche sociali e istituzionali dei diversi paesi e con l'accelerata modificazione delle culture egemoni e subalterne e delle religioni è pertanto essenziale e preliminare alla verifica dei diversi modi di governare il loro intrecciarsi con le dinamiche interne alla Chiesa cattolica. Da sempre i papi traggono infatti prestigio e potere alI'interno della Comunità ecclesiale dal ruolo conquistato nei loro rapporti con i potenti della terra. È utile perciò distinguere una pur sommaria ricognizione degli esiti di questo rapporto da una rassegna, altrettanto sommaria, del dispiegarsi degli interventi del papa nelle dinamiche interne della Comunità ecclesiale e dell'istituzione ecclesiastica: entrambe attraverso i fatti più che attraverso le parole, i documenti, i discorsi. Diversi sono i tempi dei due processi: la Chiesa cattolica ha i suoi ritmi di sviluppo, che non coincidono con quelli del mondo ad essa esterno. In questo secolo essi possono esser scanditi sulla regolarità con cui si è tornati a celebrare i giubilei, che ben poco hanno finora significato per il mondo esterno. Per la verifica quindi delle dinamiche intraecclesiali nel loro rapporto con il governo centrale, rappresentato dal papa e dalla Curia romana, la scansione dei giubilei del Novecento può rappresentare una periodizzazione interessante, anche perché il giubileo cattolico è stato inventato per celebrare il primato papale. Indetto per la prima volta nel 1300 da Bonifacio VIII per riaffermare la centralità della Sede apostolica nella diaspora religiosa del tardo Medioevo e per rafforzare la superiorità del potere religioso su quello politico - da lui confermata tre anni dopo con la bolla Unam Sanctam - il giubileo è stato riproposto nei secoli successivi con intenti analoghi, prima ogni cinquanta anni e dal secolo XV a cadenza venticinquennale. Dopo circa un secolo di assenza - nel 1800 e nel 1850 non è stato indetto, nel 1875 fu indetto ma celebrato senza solennità: non fu aperta neppure la "porta santa" - nel Novecento ne è ripresa con regolarità la celebrazione per ricordare che al centro della Chiesa c'è il Papato. Con il Grande giubileo del 2000 Giovanni Paolo II intende, però, raggiungere un obiettivo più ambizioso: restituire un significato reale alla scansione "cristiana" del tempo, adottata a partire dal Medioevo dall'occidente romano-germanico, e sanare la rottura emblematicamente sancita dalI'adozione, pur se abortita, del calendario giacobino durante la Rivoluzione francese. Sanata formalmente la rottura, nei fatti l'era cristiana è diventata negli ultimi due secoli la scansione che l'occidente, diventato nel frattempo euroatlantico, ha imposto all'intero pianeta, lasciando il Papato ai margini della storia. La cadenza degli anni santi rappresenta pertanto una periodizzazione "oggettiva" per analizzare il divenire delle soluzioni date all'interno della Chiesa dal suo potere centrale ai problemi di adattamento posti dalle radicali trasformazioni intervenute in cent'anni. In quest'ottica si possono individuare diverse fasi. Una, fino al 1958, si potrebbe chiamare del "ritorno alla cristianità" perseguito tenacemente da Pio X, Pio XI e Pio XII e coincide con i primi quattro giubilei del secolo. Un'altra, tra il 1960 e il 1978, rappresenta il "tempo del dialogo" e si conclude con il quinto giubileo ed è caratterizzato dal Concilio Vaticano II, diventato una discriminante assoluta. Promosso da Giovanni XXIII, il papa della profezia, è stato concluso da Paolo VI, considerato da molti il primo papa moderno. Una terza si configura come la intransigente "riaffermazione della identità cattolica" promossa da Giovanni Paolo II che, con il Grande giubileo del 2000, intende archiviare le spinte innovatrici del Concilio ed esaltare, invece, i successi nel cammino percorso dal Papato per tornare ad essere al centro dei processi storici. Ripercorrere queste tappe può anche servire per dare un senso alla stagione del pentitismo ecclesiale, inaugurata da Paolo VI e ampiamente sviluppata da Giovanni Paolo II, e per trasformarla in momento di purificazione della memoria. Recuperare la memoria che durante il Novecento "non sempre è stato così" nella Chiesa, può servire a confermare l'intuizione del teologo gesuita Bernhard Häring che, nel chiedere in un libro del 1993 Perché non fare diversamente?, risponde che "si poteva fare diversamente". |