La comunione sui binari di Rosario Giuè Nella vita della Chiesa può accadere che dei preti possano andare con capimafia latitanti, già condannati per gravi crimini e che nel loro covo celebrino la messa. Non una volta, ma più volte. E può accadere che tutto ciò avvenga senza essere motivo di alcuna censura ecclesiastica. Forse può essere causa di un po’ di imbarazzo, ma nulla di più. Non ravvisando in tale condotta nessuna violazione canonica, nessuno scandalo, non vi è obbligo di alcuna ammonizione pubblica. Anzi può avvenire che i sacerdoti protagonisti di tali atti possano essere elogiati per avere esercitato al meglio e fino in fondo il loro ministero di misericordia a favore della pecorella mafiosa e smarrita. Può essere, addirittura, che acquistino più prestigio in alcuni ambienti ecclesiali e sociali e che siano invitati in varie occasioni. Essi non hanno posto nessun problema alla Chiesa in quanto, secondo una logica ecclesiocentrica, non ne hanno messo in discussione alcun aspetto formale. Questi preti (qui non importa la loro identità), non avendo intaccato nessun dogma, anzi essendosi mostrati espressione di un modello di Chiesa fortemente tradizionalista, potranno rimanere al loro posto. Lo stesso può accadere nel caso di ecclesiastici condannati con l’accusa di avere frodato le pubbliche istituzioni. In tali circostanze spesso si fa quadrato intorno all’interessato per difenderlo dai "nemici della Chiesa". Al massimo tutto è avvolto da un sacrale silenzio. Ma, ciò che più conta, non scatta alcun provvedimento canonico dal momento che nessun ordine ecclesiastico è stato messo in discussione, nessuna comunione ecclesiale sarebbe stata spezzata con tali comportamenti. E così gli interessati potranno rimanere nei loro uffici fino alla naturale scadenza. Se invece accade che un parroco si impegni fortemente e pubblicamente con il movimento no global e ne frequenti i rappresentanti, prenda parte a manifestazioni contro la discriminazione delle persone omosessuali, sostenga la liceità dell’uso dei contraccettivi magari per difendersi dall’Aids, allora quel sacerdote può essere rimosso dal suo ufficio. E’ quanto è capitato a don Vitaliano della Sala, parroco di S. Angelo a Scala, un disperso paesino della provincia di Avellino, ma poteva capitare in Sicilia. L’Abate territoriale di Monteveglio gli contesta di frequentare "associazioni" e persone ben note per la diffusione di idee in contrasto con la dottrina e l’insegnamento della Chiesa, cioè dei comunisti, di parlare un linguaggio "da carrettiere", di avere indossato la maglietta con l’immagine di Che Guevara insieme al colletto di prete. Lo si accusa di avere criticato dei cardinali e di avere affermato che importanti ecclesiastici sono stati compromessi con regimi dittatoriali. Nelle motivazioni del decreto di rimozione gli si rimprovera di avere celebrato l’eucaristia con un pastore valdese. E, sentite, gli si rimprovera di avere celebrato l’Eucaristia senza il permesso dell’Ordinario "sui binari di una stazione nel suo viaggio con i giovani dei centri sociali diretti a Praga". Come si vede non si contestano al sacerdote in questione fatti o comportamenti infamanti. Gli si contestano idee. Non è accusato che di "reati" di opinione. Con le sue idee e le sue prese di posizione in pubblico avrebbe creato turbativa e scandalo fino ad attentare all’unità della fede e alla comunione ecclesiale. Perciò le autorità ecclesiastiche hanno deciso che la rimozione urgente dall’ufficio di parroco è un provvedimento ormai inevitabile per il bene delle anime, per l’unità e per il ravvedimento dell’interessato. Questo è il quadro: se si va a celebrare messa nel covo dei boss, si è giustificati perché si agisce per redimere l’errante. Se si è critici, se si cercano altre strade per cercare di rendere più vicino Colui che si è rivestito delle carni dell’uomo ed è presente come escluso, povero, calpestato, irregolare, come tribolato, come straccione, discriminato, come minoranza, come invisibile, tutto ciò è secondario e importa poco. Qui il ministero della misericordia c’entrerebbe poco o nulla. In ogni caso non si apprezza l’assenza di ipocrisia e il tentativo di fare un tratto di strada con l’uomo, si sottolinea l’aver creato situazioni difficili da gestire dal punto di vista ecclesiastico. Che dire? Nella Chiesa del terzo millennio ci si dovrà domandare se considerare grave o, se si preferisce, più grave andare a celebrare messa nel covo di un capomafia o manifestare contro la discriminazione delle persone omosessuali e celebrare l’Eucaristia sui binari con i giovani no global. Forse è in gioco la coscienza che la Chiesa ha oggi di sé e vuole avere per il futuro. E’ in questione il modello di comunità cristiana che si vuole rappresentare nel mondo. Si discute non soltanto dei modelli di ministero del prete, ma dello stesso contenuto della "missione". Bisogna decidere come camminare oggi e domani sui binari della storia. Si dovrà rispondere: chi sono, davvero i "lontani"? E’ della stesso contenuto della testimonianza del Vangelo che si parla. Forse una risposta più impegnativa potrà venire anche dal prossimo conclave. Intanto ognuno potrà pensarci sistemando i pastori nel presepe. Da "la Repubblica" del 5 dicembre 2002 |