(durante la conferenza stampa del 5 dicembre 2005 di presentazione dell’Appello di dodici teologi “La beatificazione di Giovanni Paolo II: appello alla chiarezza”)
La canonizzazione di Giovanni Paolo II troverebbe certo un largo consenso
in un’ ampia parte della Chiesa,
rappresentata da quelle folle che dopo la sua morte, scandirono
insistentemente: “Santo subito!”. Ma
essa provocherebbe un profondo
turbamento in altri settori della Chiesa, per la figura di un papa, che non ha
compreso il loro impegno, che li ha repressi
ed emarginati, che ha soffocato la loro libertà di ricerca e di
pensiero.
Non
si tratta certo di un turbamento da intendere come reazione puramente emotiva, ma della sofferenza di quanti hanno visto fraintesa e
condannato il loro sforzo di vivere coerentemente il progetto di Gesù. Essi ed esse non parlano, come tanti pensano,
sulla base di presupposti ideologici, ma a partire dalla loro esperienza di
vita. Così il papa che ha perdonato, tra l’ammirazione di tutto il mondo, il
suo attentatore, il suo assassino, non è riuscito a perdonare quanti hanno creduto giusto disobbedire alla Chiesa
per obbedire a Cristo e al suo vangelo.
Queste riserve sulla
figura e l’opera di Giovanni Paolo II non intendono certo negare la sua
grandezza, il suo impegno per la pace,
l’affermazione della chiesa del mondo. Ma
alcuni cristiani temono che una sua eventuale canonizzazione possa farne
un modello anche negli aspetti meno evangelici della sua pastorale
All’origine
dell’incomprensione e della repressione, che crediamo di dover segnalare, vi è indubbiamente l’esperienza pastorale e
politica di Karol Wojtyla nella chiesa e
nella società polacca. Una società e una chiesa segnate
dalla crudele oppressione prima nazista e poi comunista. La lotta, spesso eroica, di questo popolo e di
questa Chiesa era diretta principalmente
contro il regime comunista, nei cui confronti
la chiesa .rappresentava la forza principale della resistenza; nei cui
confronti essa si batteva in particolare per difendere la sua libertà, la sua
dottrina, i suoi riti.
Karol
Wojtyla considerò
Sulla base di questa immagine conservatrice ed anticomunista il vescovo di Cracovia interpretò il Concilio Vaticano II, in senso opposto alla linea maggioritaria, preoccupata del rinnovamento e del dialogo; interpretò quindi in senso conservatore ed anticomunista il progetto di chiesa lanciato dal Concilio.
Nasce di qui l’ostilità di Giovanni Paolo II e della curia romana, formata a sua immagine e somiglianza, non solo al marxismo, ma a tutte le teologie e alle iniziative pastorali sospettate, a torto od a ragione (ma per lo più a torto) di essere corrotte dall’influsso marxista.
Questo fraintendimento di idee e di persone lo portò a reprimere la libertà di ricerca teologica ,
nello stesso momento in cui rivendicava
la libertà della Chiesa contro i regimi comunisti; fraintendimento che lo indusse a commettere gravi ingiustizie nei confronti di persone e
di movimenti, che, ispirandosi al Vangelo e al concilio VaticanoII, hanno operato per il rinnovamento della Chiesa.
Vorrei ora segnalare
alcune ricerche teologiche ed alcuni aspetti della pastorale di Giovanni Paolo II, che
illustrano concretamente il dramma evocato
finora in termini generali.
Questo dramma è vissuto in
particolare dai teologi della liberazione, schierati nel pensiero e nell’azione dalla parte dei poveri. Essi vennerocondannati, rimossi dall’insegnamento, ridotti al silenzio, emarginati, perché
accusati, ingiustamente, del peccato di
marxismo
La teologia della
liberazione ispirò in particolare la
chiesa popolare nicaraguense, chiesa dei poveri. Essa venne duramente condannata
da Giovanni Paolo II, senza nessun riconoscimento per tante persone, in
particolare giovani, impegnate a costruire una nuova società, anche esponendo
la loro vita; senza nessun riconoscimento per una rivoluzione che cercava di
ispirarsi alla scelta dei poveri.
Invece, di fronte a questa
rivoluzione Giovanni Paolo II e la gerarchia locale con il suo appoggio, presero
posizione per la borghesia locale; per la controrivoluzione armata, per l’impero
statunitense, cui in nome dell’anticomunismo venivano condonati i delitti commessi in tutto il mondo.
La condanna della chiesa popolare fu
pronunciata con particolare asprezza dal Papa in un discorso tenuto di fronte
ad una folla di nicaraguensi., accorsi per sentire da lui una parola di
speranza. In questo discorso Giovanni
Paolo II difese energicamente l’autorità dei vescovi, notoriamente schierati
contro la rivoluzione ; ma cercò di
tacitare il popolo , ingiungendogli ripetutamente “silenzio, silenzio silenzio.”
La sintesi di quel discorso fu “parlino i vescovi, il popolo taccia. (cosa che
non accadeva mai quando le folle lo acclamavano.)
Durante questo discorso fu particolarmente doloroso per la popolazione il silenzio del papa
di fronte alle
mamme che gli chiedevano una preghiera per i loro figli morti qualche giorno
prima in combattimento. Probabilmente
il papa non volle pregare per quei defunti, discriminati anche dopo la morte,
temendo che questa preghiera venisse interpretata come un’approvazione della
lotta rivoluzionaria. Silenzio questo che inflisse una grave ferita al cuore di
quelle mamme in lutto. Esse aspettavano
dal papa una parola paterna di consolazione e di affettuosa
partecipazione, che un amore sincero avrebbe certamente suggerito..Mesi ed
anni dopo si poté constatare che quella
ferita non si era rimarginata.
La condanna della Chiesa popolare colpì anche i
sacerdoti che, interpretando il loro ministero alla luce del Vangelo, avevano preso il rischio di impegnarsi al fianco del loro popolo.
Nella
sua seconda visita in Nicaragua, il papa proclamò con evidente soddisfazione la
morte del marxismo e quindi della teologia della liberazione. Qualificò poi il periodo del governo sandinista come “notte oscura”: formula che ,ripresa dalla propaganda,
contribuì alla vittoria elettorale del partito liberale, cioè dei ricchi del paese.
L’incomprensione del Papa
e della curia romana nei confronti delle rivoluzioni popolari e della teologia
della liberazione si è espressa in modo doloroso , e direi anche scandaloso nei
confronti di Mons. Romero, totalmente identificato con la lotta del suo popolo,
fino alla morte.; che fu ricevuto a Roma con freddezza e diffidenza...
Mi sono soffermato sulla
teologia della liberazione, perché essa è un’espressione emblematica del difficile rapporto tra la gerarchia e d il popolo di Dio sotto questo
pontificato.. Ma
esistono molti altri settori in cui
Penso al
rifiuto di riconoscere il ruolo della
donna nella chiesa, manifestato in particolare nei confronti della
teologia femminista. Penso al rifiuto di riconoscere l’autodeterminazione
religiosa dei popoli indigeni, manifestato con la valorizzazione della
evangelizzazione coercitiva e quindi della conquista; così anche la diffidenza
nei confronti della Chiesa indigena. e
della teologia indigena. A queste
condanne si connettono le critiche rivolte dal Vaticano ai vescovi impegnati
nella promozione dei popoli indigeni,
come Samuel Ruiz, vescovo di San Cristóbal de Las Casas, in Messico e Leonidas Proaño, vescovo di Riobamba, in Ecuador. Penso ancora alla
condanna del pluralismo religioso ed all’emarginazione delle religioni non cristiane, intesa a riaffermare
l’autorità della Chiesa cattolica come unica vera religione.
Si aggiunga finalmentel’emarginazione
degli omosessuali, delle lesbiche, dei divorziati e delle divorziate, delle coppie
di fatto, delle coppie omosessuali,.
esclusi senza comprensione dalla comunione ecclesiale.
In una parola, se l’amore
è il segno più autentico della fedeltà al vangelo, possiamo riconoscere in
questa pastorale il segno della fedeltà al vangelo, da proporre come modello a
tutti i cristiani?