Giovanni Paolo II è morto. Bilancio di
un pontificato controverso
di François Houtart*
02 Apr 2005
La vista di un uomo anziano, stanco, malato, che continua nonostante tutto a
farsi carico di un compito immane, desta un senso di rispetto, simpatia o
pietà. L'attaccamento di immense folle popolari, in tanti paesi del mondo,
continua a essere impressionante. Una personalità che unisce a un vasto sapere
la conoscenza di numerose lingue, un comportamento sportivo, un reale coraggio
fisico, una profonda spiritualità, la fedeltà nell'amicizia e una grande forza
di persuasione suscita ammirazione. Ma un bilancio deve comportare altre
prospettive, e un diverso tipo di analisi.
Ripercorrere
alcune delle linee di fondo del pontificato di Giovanni Paolo II non è impresa
di poco conto, dati i numerosi anni da lui trascorsi al governo della Chiesa
cattolica (poco meno di un quarto di secolo), i quasi cento viaggi
internazionali, una dozzina di encicliche, innumerevoli discorsi, gli incontri
con tante personalità e centinaia di beatificazioni e canonizzazioni. E tutto
questo, in un periodo storico che ha visto il consenso di Washington orientare
l'economia mondiale verso il neoliberismo, con le conseguenti catastrofi
sociali.
Il periodo
del crollo del muro di Berlino, dell'avvento del pensiero unico e del fiorire
dei movimenti di protesta su scala mondiale, per non parlare dell'attacco
terroristico contro gli Stati uniti, o delle guerre che rafforzano il dominio
del sistema mondiale oggi in atto. La missione che Giovanni Paolo II si è
assegnato alla testa della Chiesa cattolica era duplice: restaurare una Chiesa
scossa dal concilio Vaticano II, e rafforzarne la presenza nella società, onde
consentirle di attuare il suo compito di evangelizzazione.
Il
cardinale Karol Wojtyla aveva partecipato attivamente al concilio Vaticano II.
Aveva sostenuto la modernizzazione dell'immagine della Chiesa cattolica,
appoggiando molte delle riforme adottate dall'Assemblea del vescovi. E tuttavia
osservava con preoccupazione, dalla natia Polonia, le conseguenze del concilio
su una Chiesa che si stava riformando in profondità, non senza traumi e
conflitti interni. Vicino all'Opus Dei, che lo aveva accolto in occasione di
alcuni suoi viaggi all'estero, guardava con riprovazione non soltanto a taluni
sviluppi eccessivi in campo liturgico (introduzione di testi o di musiche
profane), ma anche a numerose applicazioni concrete delle decisioni
conciliari.
Lo
rafforzava nei suoi convincimenti la sua appartenenza al cattolicesimo polacco,
culturalmente egemonico in quella società: solido, ma spesso semplicistico nei
contenuti, vigoroso nella sua spiritualità caratterizzata dal culto per la
Vergine Maria, rigido nella sua morale, cemento della nazione e anima della
resistenza al comunismo. Tutto questo doveva condurre l'eletto del Conclave a
intraprendere una restaurazione dottrinale, morale e istituzionale della Chiesa
cattolica. Sul piano dottrinale, non c'è quasi un tema che non sia stato
affrontato, se non da lui personalmente, dagli organi della Santa Sede. La
fede, il magistero, l'autorità dottrinale della gerarchia ecclesiastica, la
collegialità tra i vescovi per il funzionamento della Chiesa universale, la
liturgia, il sacerdozio, il ruolo delle donne nella Chiesa, l'ecumenismo o i
rapporti tra le Chiese cristiane, le religioni non cristiane, la dottrina
sociale ...
Accanto a
precisazioni interessanti figurano ammonimenti, richiami dottrinali o anche
esplicite condanne che rappresentano altrettanti colpi di freno, con misure
disciplinari sempre più restrittive, in luogo dell'accompagnamento pastorale di
un difficile processo di riforme che doveva consentire alla Chiesa, in un mondo
sempre più complesso, di trasmettere meglio il messaggio evangelico. Sono stati
sospesi, ad esempio, gli adattamenti liturgici iniziati da alcune Chiese locali
asiatiche, in particolare in India, volti a dare alla fede un'espressione più
adeguata a quel contesto culturale.
Il
documento Dominus Jesus, attinente alla funzione salvifica universale di Gesù,
ha posto termine al tentativo di ripensare i rapporti con le grandi religioni
d'Oriente: il testo in questione è stato interpretato da alcuni responsabili
religiosi e politici asiatici come una giustificazione del proselitismo nelle
società che stanno faticosamente recuperando la propria identità culturale,
segnatamente attraverso la religione.
Diversi
teologi hanno subìto condanne, quali il divieto di insegnare o di pubblicare;
al cingalese Tissa Balasuriya è stata inflitta la scomunica per aver pubblicato
un libro considerato troppo ambiguo sulla verginità di Maria e sul concetto di
peccato originale. Certo, nel campo dei
rapporti con le varie confessioni cristiane e con le altre religioni vi sono
state alcune manifestazioni suggestive, come gli incontri di Assisi nel 1986 e
nel 2002, il digiuno dell'ultimo giorno del Ramadan nel 2001, e così via. Ma
l'intransigenza dottrinale e gli ostacoli creati verso forme di collaborazione
più istituzionali, in particolare con il Consiglio ecumenico delle Chiese,
hanno opposto un limite invalicabile a taluni progressi.
Se il papa
ha chiesto perdono per le colpe di molti membri della Chiesa cattolica - ai
tempi delle crociate e dell'Inquisizione, o ancora per comportamenti razzisti e
antisemiti - non ha mai sollevato la questione delle responsabilità
dell'istituzione in quanto tale. Quanto alla collegialità episcopale - uno
dei punti forti del concilio Vaticano II - Giovanni Paolo II l'ha
chiaramente subordinata all'autorità romana. I sinodi generali o continentali
si sono spesso trasformati in organi di registrazione della linea pontificia,
se non in semplici occasioni di sfogo senza grandi conseguenze. Per la
pubblicazione dei loro documenti si richiedeva l'approvazione preventiva del
papa; e a volte sono state persino imposte alcune modifiche.
La
Teologia della liberazione è stata oggetto di una repressione specifica.
Nata in
America latina, ha trovato espressione anche in Africa, soprattutto tra i
teologi protestanti, così come in Asia, in India, nelle Filippine e nella Corea
del Sud. È una riflessione su Dio - come tutte le teologie - che
assume come punto di partenza la condizione dei poveri e degli oppressi,
rendendo esplicito il suo carattere contestuale - cosa che altre correnti
rifiutano generalmente di fare, velando così la relatività del discorso. Per
stabilire con chiarezza il suo punto di partenza nella complessità delle
situazioni sociali contemporanee, la Teologia della liberazione, che attinge la
sua ispirazione al Vangelo, esige la mediazione di un'analisi sociale.
Ma questo
pensiero travalica largamente il campo dell'etica sociale e ritrova, attraverso
lo sguardo degli sfruttati, il senso della persona di Gesù, reinserito nel
contesto storico della Palestina del suo tempo. Si sviluppano così una
spiritualità e una gamma di espressioni liturgiche in cui ci si rende conto
della vita dei poveri, e si guarda con severità a una Chiesa troppo spesso
compromessa con i poteri oppressivi. Questa teologia parla di liberazione, al
presente, come espressione dell'amore di Dio per il suo popolo. E dunque
appariva pericolosa per l'ordine, sia sociale che ecclesiastico.
La
reazione di Roma è stata durissima.
Era facile
accusare questa corrente teologica di marxismo, dato che è fondata
sull'esistenza delle strutture di classe. Una prospettiva del genere, come ha
detto il cardinale Joseph Ratzinger, responsabile della Congregazione per la
dottrina della fede, doveva condurre direttamente all'ateismo. Numerosi teologi
hanno quindi subito il divieto di insegnamento e di pubblicazione. I Centri
didattici hanno ricevuto l'ordine di proibire qualsiasi insegnamento in cui si
parlasse di questa dottrina. La teologia della liberazione ha dovuto cercare
rifugio presso qualche centro di studio o di formazione ecumenico, o nelle
università laiche. Nel 1996, lo stesso Giovanni Paolo II, in occasione del suo
viaggio in Nicaragua, dichiarò che una volta morto il marxismo, la teologia
della liberazione non aveva più motivo di esistere.
Quanto alle
questioni morali, è nota l'insistenza del papa sul rispetto per la vita fin dal
suo concepimento, così come la sua radicale opposizione all'aborto, alla
contraccezione, al divorzio, all'eutanasia, ma anche alla pena di morte.
Certo, il
positivismo scientifico, gli effetti genocidi delle scelte dei poteri economici
o il relativismo di un certo pensiero post-moderno rappresentano una
minaccia per la vita. Ma l'attaccamento del pontefice a una filosofia della
natura superata dalle conoscenze contemporanee, la sua riluttanza a prendere in
considerazione le condizioni sociali e psicologiche concrete degli esseri
umani, così come le drammatiche conseguenze - come nel caso dell'Aids in
Africa - di talune posizioni dogmatiche, hanno finito per far perdere alla
Chiesa cattolica buona parte della sua credibilità.
La dottrina
sociale rimane un campo privilegiato dell'attenzione di Giovanni Paolo II. I
documenti su questo tema sono innumerevoli. In nome del Vangelo, il papa ha
condannato con estrema durezza gli abusi e gli eccessi del capitalismo, e ha
persino denunciato - a Cuba - il neoliberismo e i suoi effetti
perversi. Ma se nell'enciclica Centesimus Annus ha condannato il socialismo nella
sua essenza, in quanto veicolo di ateismo, quando ha stigmatizzato il
capitalismo selvaggio lo ha fatto denunciando le sue pratiche, non la sua
logica. E laddove si fa riferimento, in questo stesso documento, a un'«economia
sociale di mercato», non si menzionano le pratiche «selvagge» attuate nei
paesi del Sud e nell'Est europeo da quegli stessi agenti economici che si
richiamano a questo modello.
Allo stesso
modo, i frequenti e insistenti appelli alla «globalizzazione della
solidarietà» non sfociano mai in una denuncia delle cause profonde della
povertà e delle disuguaglianze. Peraltro, uno degli strumenti dell'elaborazione
e della diffusione della sua dottrina sociale è la Commissione Giustizia e
pace, istituita dal concilio Vaticano II: ma la presenza di Michel Camdessus,
ex direttore del Fondo Monetario Internazionale (Fmi), nominato
nel 2000 suo consigliere, basta da sola a far dubitare del ruolo di questa
Commissione come portavoce dei poveri e degli oppressi...
Per
l'attuazione del suo fondamentale progetto di restaurazione dottrinale e
morale, Giovanni Paolo II aveva bisogno di un'istituzione in grado di portarlo
avanti.
La sua
politica di nomine episcopali si è quindi orientata in questo senso. In
numerose diocesi, i nuovi vescovi, su ispirazione della Santa Sede, hanno
iniziato a esercitare un controllo sui centri di formazione, smantellando
l'opera pastorale dei loro predecessori e introducendo congregazioni religiose
o organizzazioni cattoliche conservatrici. In America latina, il Consiglio
episcopale latinoamericano (Celam), che aveva svolto un ruolo di punta
nel rinnovamento, organizzando, nel 1968, la Conferenza di Medellín per
l'applicazione del concilio Vaticano II nel subcontinente, fu trasformato a
poco a poco in un organismo di restaurazione. Le conferenze episcopali furono
riorientate attraverso nuove nomine.
In tutto il
mondo, centinaia di diocesi attraversarono penosi processi di transizione
pastorale, non senza drammi personali per coloro che avevano creduto in una
Chiesa profetica e in un'istituzione più umana. Solo alcune diocesi di più
antica cristianità furono in grado di preservare la propria autonomia, frenando
il dilagare delle nomine di segno conservatore. Nel 1982, quattro anni dopo
l'elezione di Giovanni Paolo II, l'Opus Dei acquisì uno status di prelatura
personale, al di sopra della giurisdizione dei vescovi. Il suo fondatore fu
canonizzato nel 2002, a soli 27 anni dalla sua morte; molti dei suoi membri
vennero nominati vescovi, spesso in diocesi importanti, e alcuni furono fatti
cardinali.
Ma la sua
influenza si fece sentire soprattutto nell'amministrazione centrale della
Chiesa cattolica (la curia), dove i suoi membri occupano cariche
importanti in numerosi settori e beneficiano di «promozioni» interne. L'«Opera
di Dio» potrebbe giocare un ruolo di rilievo anche nella designazione del
successore dell'attuale papa. Giovanni Paolo II ha inoltre rafforzato la Curia
romana, un apparato il cui mantenimento richiede mezzi considerevoli, che i
contributi del fedeli non bastano ad assicurare.
Ma la Santa
Sede dispone di un ingente patrimonio, in particolare grazie ai Patti
lateranensi (1929), mediante i quali l'Italia fascista risarcì il
Vaticano della perdita dell'antico stato pontificio. Questo capitale fondiario
e finanziario produce elevati redditi. Ma sotto l'attuale pontificato, le
istituzioni bancarie del pontificato hanno dato luogo a clamorosi scandali, tra
cui quello del Banco Ambrosiano. Scandali che sono costati centinaia di milioni
di dollari alla Chiesa cattolica.
Ma il
pubblico è stato scarsamente informato di queste vicende, che si pongono in
plateale contrasto con lo spirito del Vangelo. Tutti i poteri - giudiziari,
politici, economici e mediatici - hanno congiurato per tacitarle, nel
timore di mettere a repentaglio un'istanza morale che ai loro occhi costituisce
una garanzia dell'ordine sociale. Giovanni Paolo II, vescovo di Roma, avrebbe
dovuto ritirarsi a 75 anni, come sono invitati a fare tutti i vescovi a partire
dal concilio Vaticano II.
Il
suo rifiuto ha rafforzato il potere di un'amministrazione sempre più
conservatrice.
Nuovo
«prigioniero del Vaticano», il papa è divenuto così vittima di una curia i cui
maggiori esponenti, da lui stesso nominati, hanno portato la restaurazione a un
punto tale da provocare reazioni crescenti persino negli ambienti moderati
della Chiesa. La «nuova evangelizzazione» promossa da Giovanni Paolo
II è caratterizzata da due principali orientamenti: da un lato quello dell'Opus
Dei, volto a evangelizzare attraverso il potere, facendo della spiritualità un
segno di eccellenza sociale; dall'altro, quello dei vari movimenti carismatici,
esigenti in materia di comportamenti personali, con una tendenza a valorizzare
aspetti di tipo affettivo, ma generalmente poco inclini a integrare una
dimensione sociale.
D'altro
canto, le comunità ecclesiali di base nate in America latina, caratterizzate
dall'autogestione, in cui a prendere la parola erano i poveri, sono state
emarginate e talvolta distrutte: ai sacerdoti che vi esercitavano la funzione
di consulenti si imponeva il trasferimento, o si vietava addirittura l'accesso
ai locali parrocchiali. E intanto si creavano sotto l'egida clericale altri
gruppi con lo stesso nome. Quanto al ruolo dei laici nella Chiesa, benché
valorizzato nei testi, è stato il larga misura relegato a un livello
subalterno, a meno che si trattasse di organizzazioni incondizionate quali
l'Opus Dei.
D'altra
parte - e questo è un esempio che colpisce - la Gioventù Operaia
Internazionale (Gcoi), nonostante il sostegno di varie conferenze
episcopali, è stata emarginata, con l'abrogazione del suo status di
organizzazione internazionale cattolica, mentre una Federazione concorrente è
stata creata di sana pianta. Queste tendenze si collocano in un contesto tipico
di dissociazione culturale, che si manifesta nelle correnti filosofiche così
come in parte delle scienze umane, nella produzione artistica e nella ricerca
religiosa, ove l'accento è posto sull'individuo. Paradossalmente, la nostra
epoca è contrassegnata a un tempo dal predominio del mercato e da un
irrigidimento autoritario ai vertici delle istituzioni.
Sradicare
il comunismo ateo
I numerosi
viaggi di Giovanni Paolo II da un capo all'altro del mondo hanno indubbiamente
rivelato la sua eccezionale energia, e sono stati molto apprezzati in numerosi
ambienti popolari, soprattutto nel Sud, oltre che - logicamente - in
Polonia, e in generale da parte dei nuclei cattolici più ferventi. Ma più che
di una vera presa di contatto con le realtà dei luoghi visitati, si è trattato
innanzitutto di diffondere il pensiero di Roma. L'evento ha prevalso sul
messaggio. Se le visite pontificie hanno suscitato emozione, il più delle volte
sono servite a rafforzare l'ala conservatrice del cattolicesimo.
La
restaurazione della Chiesa cattolica dopo il concilio Vaticano II si è dunque
tradotta, per Giovanni Paolo II, in una ridefinita solidità dottrinale, in un
codice morale tutto d'un pezzo e in un'autorità fuori discussione, al servizio
di un progetto modernizzato nella forma, ma fondamentalmente conservatore. Un
orientamento del genere era necessario, secondo il papa, per affrontare le
forze ostili della società. Perciò Giovanni Paolo II ha adottato come
riferimento la figura di Pio XII, e ha aperto il suo processo di beatificazione
accanto a quello di Giovanni XXIII, che la vox populi aveva già da tempo
elevato agli altari. Nella Gaudium et Spes, il concilio Vaticano II descrive il
ruolo della Chiesa non già come esercizio di un potere, ma come ispirazione
morale.
La volontà
di condividere le gioie e le speranze dell'umanità, che sembrava nascere da un
ottimismo al limite del realismo, era il frutto di un'ispirazione
programmatica. Il nuovo papa non ha tardato a tradurre questo spirito in una
duplice battaglia contro le forze ostili al messaggio cristiano: il comunismo
ateo e il secolarismo occidentale. La lotta tradizionale contro il comunismo
era stata rafforzata dalla proclamazione dell'ateismo quale «religione di
stato» nei paesi dell'Est europeo, ma anche, più concretamente, dalla
repressione delle libertà e dalle persecuzioni religiose.
Giovanni
Paolo II, guidato dall'esperienza della Polonia, riteneva che per sradicare il
comunismo occorresse mobilitare i cattolici, sia all'interno della Chiesa - e
da qui la condanna alla teologia della liberazione - sia all'esterno,
attraverso un'azione diretta. Laddove il comunismo era al governo, il papa
incoraggiava la creazione di un contro-potere. Con le sue visite in Polonia ha
promosso una mobilitazione religiosa, e assicurato - anche sul piano finanziario,
tramite il Banco Ambrosiano - l'appoggio a Solidarnosc. Nei paesi in cui era
sul punto di prendere il potere, i cattolici dovevano essere arruolati in un
fronte d'opposizione. Fu così che in Nicaragua si arrivò nel 1983 allo scontro
con il Fronte sandinista. Nell'omelia tenuta a Managua, il papa condannò la
Chiesa popolare e il «falso ecumenismo» dei cristiani impegnati nel
processo rivoluzionario.
E fece
appello all'unità, sotto l'egida di un episcopato particolare reazionario (l'arcivescovo
di Managua, Mons. Miguel Obando y Bravo, sarà nominato cardinale dopo la visita
pontificia). Tutto questo portò a una forte repressione ecclesiastica, e
sconcertò profondamente i cristiani dei ceti popolari, venuti a celebrare a un
tempo la loro rivoluzione e la visita del loro papa. Il viaggio a Cuba segue la
stessa linea. Nell'idea di Giovanni Paolo II, quest'isola era l'ultimo bastione
del comunismo in Occidente, ormai a fine corsa. L'aggressività - in parte
anche a causa del suo stato di salute - non era più all'ordine del giorno.
E
dato che a suo modo di vedere, la rivoluzione cubana rappresentava una
parentesi nella storia, non la menzionò in quanto tale, ma si limitò a
sottolinearne gli effetti, tutti in negativo.
E al suo
ritorno a Roma, dichiarò che la sua visita avrebbe avuto lo stesso effetto del
viaggio compiuto dieci anni prima in Polonia. Per la lotta anticomunista c'era
bisogno non solo di una Chiesa forte e disciplinata, ma anche di alleanze con
altre forze, in campo economico e politico. Da qui i numerosi compromessi con
il potere americano, per cui molte delle sue organizzazioni cattoliche, in
Europa e a Roma, hanno canalizzati fondi, sia ufficiali che segreti, in favore
di Solidarnosc.
E
da qui anche la tolleranza nei confronti di regimi dittatoriali di destra, come
quelli del Cile, dell'Argentina o delle Filippine.
Gli
artefici di queste discutibili relazioni sono stati promossi da Giovanni Paolo
II ai vertici di importanti organi della Santa Sede, prima tra tutte le
Segreteria di Stato. Da qui infine l'intervento in favore del generale Augusto
Pinochet. E sul piano simbolico, la beatificazione, proclamata nel 1998, del
cardinale Stepinac, che era stato molto vicino al regime fascista della Croazia
durante la seconda guerra mondiale. Il secolarismo occidentale, caratterizzato
dal relativismo, dal consumismo e dall'edonismo, è stato il secondo avversario
di Giovanni Paolo II. Il quale ha ricordato con forza i valori dell'amore per
il prossimo, della solidarietà, della moderazione nell'uso dei beni materiali.
Ma ancora
una volta, lo ha fatto in una quadro dottrinale e morale talmente rigido che il
messaggio è rimasto purtroppo in larga misura incompreso, e in definitiva poco
efficace. Purtroppo, perché l'umanità contemporanea aspira alla spiritualità, è
alla ricerca di un senso; e le lotte sociali sono il segnale di un profondo
desiderio di giustizia, a fronte di una globalizzazione economica e culturale
distruttiva. Richiamo astratto ai valori sociali Un'altra preoccupazione di
Giovanni Paolo II è stata quella di perseguire la pace.
Si è
opposto alla guerra del Golfo, ha messo in guardia contro quella del Kosovo, ha
dichiarato le sue riserve sull'attacco all'Afghanistan, ha rivendicato il
diritto dei palestinesi a uno stato. Un suo leitmotiv costante è la
pace tra i popoli, fondata sulla giustizia nei loro rapporti. Si è dimostrato
attento alle sofferenze delle vittime, condannando ad esempio l'embargo contro
l'Iraq e contro Cuba, che sottopone la popolazione a restrizioni devastanti.
Tutte posizioni ispirate alla fedeltà al Vangelo.
Purtroppo,
questi richiami ai valori sono rimasti il più delle volte astratti, dato che il
papa non ha mai esplicitato le cause reali delle guerre e le loro connessioni
con l'imperialismo economico. Peraltro, l'alleanza di fatto tra la Santa Sede e
i poteri economici e politici dell'Occidente continua ad esistere, sulla base
di una logica istituzionale (la riproduzione sociale dell'istituzione
ecclesiastica), e ha fatto perdere al discorso contro le guerre gran parte
della sua credibilità.
In
questo campo, lo strumento privilegiato della Santa Sede è il servizio
diplomatico.
Contrariamente
a quanto spesso si crede, questo servizio non è un organo del Vaticano in
quanto stato, bensì della Santa Sede, cioè della Chiesa; e ha avuto un
considerevole sviluppo grazie a Giovanni Paolo II. Non solo è l'elemento più
costoso, ma anche quello socialmente più compromettente, e simbolicamente più
contraddittorio rispetto all'ispirazione evangelica, in quanto segno di potere
(privilegio di uno stato) ed espressione di ricchezza (l'insediamento
di nunziature a fianco delle ambasciate).
Nessuno può
dubitare che Giovanni Paolo II, il prelato sportivo, l'ex operaio
dello stabilimento Solvay di Cracovia, dilettante di teatro e moralista
dell'Università cattolica di Lublino, il sacerdote dalla personalità mistica,
il pastore dei Carpazi sia destinato a rimanere nella storia come un gigante
dell'era contemporanea: il papa di un quarto di secolo che ha trasformato
profondamente l'umanità, il papa della globalizzazione.
Ma per aver
voluto ricostruire una Chiesa più solida in un mondo più umano, questo papa ha
finito per distruggere un gran numero di forze vive emergenti, che portavano
l'impronta di una visione evangelica e profetica. La luce spirituale e morale
di cui voleva essere portatore si è trasformata in istanza politica. Il governo
centrale della Chiesa, che avrebbe dovuto essere al servizio del «popolo di
Dio», è divenuto un apparato reazionario, alleato di fatto dei poteri
oppressori. Il suo appello alla giustizia e alla pace non ha assunto una
dimensione profetica commisurata all'immenso sfruttamento, oggi più che mai
globalizzato, ma si è tramutato in una critica dai toni ragionevoli. Ha fatto
leva non già sulla forza del simbolo, ma su quella dell'autorità.
Certo,
Giovanni Paolo II ha restaurato la Chiesa, ma quale Chiesa? Certo, ha
rafforzato il suo posto nella società, ma quale posto?
La
cristianità - aveva detto Harvey Cox, teologo battista, docente a Harvard
- ha bisogno di un papa, ma non come potere, bensì in quanto espressione
simbolica dell'unità. L'umanità ha bisogno di un richiamo alla speranza, sulla
base di analisi della realtà e di progetti per il futuro. Non si può dire che
il bilancio del pontificato abbia risposto a questa duplice attesa.
Dovrebbe
essere questa la sfida del successore di Giovanni Paolo II, che potrà fondarsi
a tal fine su una grandissima speranza e sulle forze vive, che fortunatamente
sono tuttora presenti sull'intero pianeta.
François
Houtart
(*Direttore del Centro tricontinentale e della rivista Alternatives Sud,
Belgio)
Fonte: "Le Monde Diplomatique"