Martini-Marino : dialogo sui grandi problemi dell’etica
(“Espresso” del 21-4-’06)
Carlo Maria
Martini: ''Caro professor Marino, ho letto con molto interesse e
partecipazione il suo libro ''Credere e curare''. Mi
ha colpito da una parte il suo amore per la professione medica e il suo
interesse dominante per il malato e dall'altra la sua obiettivita'
di giudizio, il suo equilibrio nel trattare problemi di frontiera, la' dove le esigenze mediche si incontrano
e talora sembrano scontrarsi con le esigenze etiche. Ho visto come lei non
vuole rinunciare ne' alla sua oggettivita'
professionale di medico ne' alla sua coscienza di uomo e anche di credente.
Tutto cio' mi pare molto importante per quel ''dialogo sulla vita'' che
interessa giustamente tanto i nostri contemporanei, soprattutto per quei casi
limite in cui gli ardimenti della scienza e della tecnica destano da una parte
meraviglia e gratitudine e dall'altra suscitano preoccupazione per la specie
umana e la sua dignita'. Tutto questo rende
necessario e urgente un ''dialogo sulla vita'' che non parta da preconcetti o da posizioni
pregiudiziali ma sia aperto e libero e nello stesso tempo rispettoso e responsabile''.
Ignazio Marino: ''Vedo
anch'io molte ragioni per un dialogo oggettivo, approfondito e sincero sul tema
della vita umana. Viviamo infatti un momento storico
particolare in cui il progresso scientifico ha rivoluzionato la posizione
dell'essere umano nei confronti della vita, della malattia e della morte. Oggi, diversamente da ieri, si puo'
nascere in molti modi diversi, si puo' essere curati
con terapie straordinarie e mantenuti per lungo tempo, in un reparto di
rianimazione, in uno stato che puo' essere chiamato
''vita'' semplicemente dal punto di vista delle funzioni fisiologiche. La morte
e' sempre piu' considerata
come un evento eccezionale da evitare e non il naturale traguardo a cui giunge
inevitabilmente ogni vita umana.
Questi cambiamenti influenzano non solo il corso della
nostra esistenza ma anche il modo di concepire la vita, la malattia e la morte.
Per questo non e' possibile ignorare gli innumerevoli quesiti etici che
emergono dai continui cambiamenti legati alle nuove tecnologie e alle possibilita' che la scienza mette a disposizione degli
uomini.
Il dialogo su questi temi e il confronto tra uomini di
diversa formazione e con differenti ruoli all'interno della societa'
puo' contribuire
alla circolazione di idee e posizioni volte ad individuare punti di incontro e
non di divisione. Su temi cosi' delicati, infatti, il rischio e' di cadere in facili
contrapposizioni e strumentalizzazioni che non portano alcun vantaggio se non
quello di creare fratture nella societa'. Invece, se
il ragionamento viene condotto onestamente e con
spirito di sincera apertura, e' possibile individuare percorsi comuni o per lo
meno non troppo divergenti''.
· L'inizio della vita
Martini: ''Sono
pienamente d'accordo sulle sue premesse. La' dove per
il progresso della scienza e della tecnica si creano zone di frontiera o zone
grigie, dove non e' subito evidente quale sia il vero bene dell'uomo e della
donna, sia di questo singolo sia dell'umanita'
intera, e' buona regola astenersi anzitutto dal giudicare frettolosamente e poi
discutere con serenita', cosi'
da non creare inutili divisioni. Penso che potremmo iniziare qualche
esperimento di un simile dialogo partendo dall'inizio della vita e in
particolare da quella prassi, oggi sempre piu'
comune, che si chiama ''fecondazione medicalmente assistita''
e alla sorte degli embrioni che vengono utilizzati a
questo scopo. Su cio' vi sono non poche divergenze di pareri e anche incertezze
di vocabolario e di prassi. Vuole chiarire un poco questo punto, sulla base
della sua competenza?''.
Marino: ''Oggi e'
possibile creare una vita in provetta, ricorrendo alla fecondazione
artificiale. In presenza di problemi di fertilita' all'interno di una coppia, la fecondazione
artificiale puo' servire allo scopo di completare una
famiglia con un figlio. Tuttavia, questa pratica si e' diffusa in Italia e in
molti altri paesi del mondo senza una regolamentazione
prevista dalla legge. La scienza e le sue applicazioni mediche hanno camminato piu' rapidamente dei legislatori e, per questo motivo, ora
ci troviamo ad affrontare il problema di migliaia di embrioni
umani congelati e conservati nei frigoriferi delle cliniche per l'infertilita', senza che si sia deciso quale dovra' essere il loro destino.
L'attuale legge italiana, per evitare di perpetuare la
produzione di embrioni di riserva che non vengono
utilizzati, ha scelto una via semplicistica: crearne solo tre alla volta e
impiantarli tutti nell'utero della donna. Ma questo
numero, se si ragiona su base scientifica, dovrebbe essere flessibile e
determinato caso per caso, secondo le condizioni mediche della coppia. Pero', la scienza viene in aiuto per suggerire delle alternative alla creazione e al congelamento degli embrioni.
Esistono delle tecniche piu' sofisticate di quelle utilizzate oggi, che prevedono il
congelamento non dell'embrione ma dell'ovocita allo
stadio dei due pronuclei, cioe'
nel momento in cui i due corredi cromosomici, quello femminile e quello
maschile, sono ancora separati e non esiste ancora un nuovo Dna.
In questa fase non e' possibile sapere che strada
prenderanno le cellule nel momento in cui inizieranno a riprodursi: potrebbero
dare origine ad un bambino come a due gemelli monozigoti.
Non c'e' l'embrione, non c'e' un nuovo patrimonio genetico e
quindi non c'e' un nuovo individuo. Dal punto di vista biologico non
c'e' una nuova vita. Possiamo allora pensare che essa non ci sia nemmeno dal
punto di vista spirituale e quindi che non esistano problemi nel valutare
l'idea di seguire questa strada anche da parte di chi ha una fede?''.
Martini: ''Capisco come
questi fatti angustino molte persone, soprattutto quelle piu'
sensibili ai problemi etici. E insieme sono convinto
che i processi della vita, e quindi anche quelli della trasmissione della vita,
formano un continuum in cui e' difficile individuare i momenti di un vero e
proprio salto di qualita'. Questo fa si' che quando si tratta della vita umana, occorre un grande rispetto e un grande riserbo su tutto cio' che in qualche modo la manipola o la potrebbe
strumentalizzare, fin dai suoi inizi.
Ma cio' non vuol dire che non si
possano individuare momenti in cui non appare ancora alcun segno di vita umana
singolarmente definibile. Mi pare questo il caso che lei propone dell'ovocita allo stadio dei due protonuclei.
In questo caso mi sembra che la regola generale del rispetto puo' coniugarsi
con quel trattamento tecnico che lei suggerisce. Mi pare anche che quanto lei propone
permetterebbe il superamento di quel rifiuto di ogni
forma di fecondazione artificiale che e' ancora presente in non pochi ambienti
e che produce un doloroso divario tra la prassi ammessa comunemente dalla gente
e anche sancita dalle leggi e l'atteggiamento almeno teorico di molti credenti.
Ritengo comunque opportuna una distinzione tra
fecondazione omologa e fecondazione eterologa. Ma mi
sembra che un rifiuto radicale di ogni forma di
fecondazione artificiale fosse basato soprattutto sul problema della sorte
degli embrioni. Nella proposta che lei illustra tale problema potrebbe trovare
un superamento''.
· La fecondazione eterologa
Marino: ''Lei ha
accennato anche alla distinzione tra fecondazione omologa ed eterologa. Il problema e' molto discusso. Infatti, se il
desiderio di una coppia di creare una famiglia non puo'
essere compiuto a causa di problemi di infertilita' o per la presenza di malattie genetiche in uno
dei due potenziali genitori, perche' non ricorrere al
seme o all'ovocita di un individuo esterno alla
coppia? Non potrebbe rappresentare una soluzione per riuscire ad andare
incontro a quel desiderio di famiglia? Il patrimonio genetico conta comunque di piu'? Riflettendo su questo tema, la mia prima valutazione sarebbe in
favore della fecondazione eterologa, se questa e'
l'unico mezzo per avere un figlio e se per la donna e' importante avere una
gravidanza. Pero' mi sono confrontato anche
con chi sostiene che la fecondazione eterologa non di
rado introduce un disequilibrio nella coppia tra il genitore biologico, che
trasmette al figlio parte del proprio Dna e l'altro.
Alcuni studi pubblicati su riviste scientifiche e
condotti in paesi dove la fecondazione eterologa e'
ammessa, hanno evidenziato che si puo' effettivamente
creare un nucleo familiare psicologicamente sbilanciato a favore del genitore
che ha trasmesso al figlio una parte del proprio patrimonio genetico, come se
in qualche modo un genitore valesse piu' dell'altro.
Un'altra questione riguarda la trasparenza: il bambino che nasce da una
fecondazione eterologa dovrebbe esserne informato? E, se la risposta e' affermativa, e' giusto seguire un
percorso che puo' creare traumi psicologici, anche se
nasce dal desiderio di avere un figlio? Vietare per legge il ricorso alla
fecondazione eterologa significa limitare la liberta' dei cittadini o va interpretata come una tutela
per il futuro di chi verra' dopo di noi?''.
Martini: ''Le obiezioni
di natura psicologica che lei ha ricordato sono appunto tra i motivi che hanno
bloccato non pochi sul fatto di procedere sulla via della fecondazione eterologa, anche se cio' puo' comportare sofferenze per alcuni. Si aggiunge dal
punto di vista etico la protezione del rapporto privilegiato che col matrimonio
si viene ad istituire tra un uomo e una donna.
Personalmente tuttavia rifletto anche sulle situazioni
che si vengono a creare con le varie forme di adozione
e di affido, dove al di la' del patrimonio genetico
e' possibile instaurare un vero rapporto affettivo ed educativo con chi non e'
genitore nel senso fisico del termine. Sarei dunque prudente nell'esprimermi su
quei casi che lei ricorda, dove non e' possibile ricorrere al seme o all'ovocita all'interno della coppia. Tanto piu'
la' dove
si tratta di decidere della sorte di embrioni altrimenti destinati a perire e
la cui inserzione nel seno di una donna anche single sembrerebbe preferibile
alla pura e semplice distruzione.
Mi pare che siamo in quelle zone grigie di cui parlavo
sopra, in cui la probabilita' maggiore sta ancora
dalla parte del rifiuto della fecondazione eterologa,
ma in cui non e' forse opportuno ostentare una certezza che attende ancora
conferme ed esperimenti''.
· La ricerca sulle cellule staminali
embrionali
Marino: ''I problemi
connessi con gli embrioni hanno suscitato aspre discussioni anche sull'utilizzo
a scopo di ricerca delle cellule staminali prelevate
dagli embrioni stessi. Il referendum sulla procreazione medicalmente assistita
del giugno 2005 chiedeva, tra le altre cose, di abrogare l'articolo della legge
40 in cui si vieta l'utilizzo di queste cellule staminali. Dal punto di vista scientifico e' ipotizzabile,
anche se non ancora confermato, che le cellule staminali
embrionali siano le piu'
adatte ai fini di ricerca, per individuare terapie per curare malattie molto
gravi, dal morbo di Parkinson all'Alzheimer
ecc. Esistono altri tipi di cellule staminali,
prelevate da tessuti adulti o dal cordone ombelicale, che gia'
oggi vengono utilizzate con qualche successo. Quasi tutti i ricercatori
concordano sul fatto che non sia necessario creare embrioni con il solo scopo
di prelevarne le cellule staminali: si possono infatti acquistare linee cellulari per condurre le
ricerche, e, inoltre, studi molto recenti condotti sui topi hanno dimostrato la
possibilita' di ottenere cellule che abbiano le
stesse caratteristiche delle staminali embrionali
senza dover creare degli embrioni. Resta in sospeso la questione che riguarda
gli embrioni conservati nelle cliniche per l'infertilita'
e che con ogni probabilita' non verranno
mai utilizzati da nessuna coppia. La loro fine e' certa, ma e' meglio lasciarli
morire nel freddo oppure utilizzare le preziose cellule per scopi di ricerca?
In una visione di ortodossia religiosa, si tratta di
vite e come tali non possono essere soppresse per prelevare le cellule a scopo
terapeutico, anche se un giorno quegli embrioni saranno comunque distrutti. Si
tratterebbe della diversita' tra uccidere e il
lasciar morire. Questo punto e' eticamente
superabile? Non e' opportuno chiedere la donazione delle cellule staminali embrionali da destinare ai laboratori per
sostenere la ricerca a favore di malattie oggi incurabili?''.
Martini: ''Innanzi tutto
sono impressionato dalla prudenza con cui lei parla dell'efficacia terapeutica
delle cellule staminali. Mi pare di capire che siamo
ancora nel campo della ricerca e che quindi non e' onesto propagandare certezze
sull'efficacia curativa di queste cellule prima che cio' sia stato debitamente
provato. Mi rallegro anche per il fatto che non e' piu' ritenuto necessario creare degli embrioni con lo scopo
di produrre le cellule staminali e che sono stati eleborati metodi alternativi che non pongono problemi alla
coscienza. Č un motivo in piu' per avere fiducia in quella intelligenza che il Signore ha dato all'uomo perche' superi i problemi che la vita pone. Č nel nome di
questa stessa intelligenza che non vedo possibile pensare a
una utilizzazione di cellule staminali embrionali per
la ricerca. Cio' sarebbe contro
tutti i principi esposti finora''.
· Gli embrioni congelati esistenti
Marino: ''La sua
risposta mi permette di allargare la riflessione alla sorte degli embrioni
esistenti anche al di la' di quanto sopra ipotizzato.
Quando essi non vengono utilizzati, che cosa sarebbe
etico fare? Attualmente non e' stata individuata una
soluzione, se non quella di abbandonare le provette nei congelatori. Ma e' eticamente corretto ed accettabile tollerare che migliaia di embrioni umani restino congelati nelle cliniche per l'infertilita', attendendo semplicemente che si spengano nel
freddo con il passare degli anni? Non potrebbero per esempio essere destinati a
donne single che desiderano avere una gravidanza? Oppure a coppie
con problemi legati a malattie genetiche che non possono ricorrere alla
fecondazione artificiale normale per evitare il rischio di trasmissione del
difetto genetico?''.
Martini: ''Mi pare che
qui siamo di fronte a un conflitto di valori, piu'
evidente nel caso della donna single che desidera avere una gravidanza, ma
esistente anche, per i motivi che ho detto sopra, per coppie che per gravi
ragioni mediche non possono ricorrere alla fecondazione artificiale normale. La' dove c'e' un conflitto di valori, mi parrebbe eticamente piu' significativo propendere per quella soluzione che permette a
una vita di espandersi piuttosto che lasciarla morire. Ma
comprendo che non tutti saranno di questo parere. Solamente vorrei evitare che
ci si scontrasse sulla base di principi astratti e
generali la' dove invece siamo in una di quelle zone
grigie dove e' doveroso non entrare con giudizi apodittici''.
· Adozioni per single
Marino: ''Ci sono poi
altri problemi, connessi allo sviluppo della vita, in particolare alla cura che
la societa' deve avere per i bambini che non hanno
una famiglia. In questi casi si apre la possibilita'
e l'utilita', anzi quasi la necessita'
di un'adozione. Oggi in Italia le adozioni non sono ammesse per i single e, piu' in generale, la legislazione e' molto complessa e
rende difficile ogni tipo di adozione. Mi chiedo se,
dal punto di vista etico, sia preferibile che un bambino orfano o abbandonato
dai genitori passi la vita in un istituto o sulla strada piuttosto che avere
una famiglia composta da un solo genitore? Siamo
sicuri che sia questa la strada giusta per garantire la migliore crescita
possibile a quel bambino? Del resto, se un genitore rimane vedovo, anche alla
nascita del primo figlio, nessuno pensa che il bambino non debba continuare a
vivere nel suo nucleo familiare anche se il genitore e' solo uno. O ancora, la
Chiesa sostiene che in presenza di un feto, in
qualunque circostanza si debba invitare la donna a portare a termine la
gravidanza, anche se il padre e' assente o contrario, e quindi si trattera' di sostenere una madre che nei fatti sara' single. Perche' allora non sostenere anche le adozioni per i single, una volta
accertata la motivazione, i mezzi e le capacita' del
potenziale genitore di assicurare una crescita serena al bambino
adottato?''.
Martini: ''Lei si pone
domande serie e ragionevoli su un tema complesso, sul quale non ho sufficiente
esperienza. Ma penso che il punto di partenza e' la
condizione che lei esprime in chiusura. Occorre cioe'
assicurare che chi si prende cura del bambino adottato abbia le giuste
motivazioni e abbia anche i mezzi e le capacita' per
assicurarne una crescita serena. Chi e' in tale condizione? Certamente
anzitutto una famiglia composta da un uomo e una donna
che abbiano saggezza e maturita' e che possano
assicurare una serie di relazioni anche intrafamiliari
atte a far crescere il bambino da tutti i punti di vista. In mancanza di cio' e' chiaro che anche altre persone, al
limite anche i single, potrebbero dare di fatto alcune garanzie
essenziali. Non mi chiuderei percio' a una sola possibilita', ma
lascerei ai responsabili di vedere quale e' la migliore soluzione di fatto, qui
e adesso, per questo bambino o bambina. Lo scopo e' di assicurare il massimo di
condizioni favorevoli concretamente possibili. Percio',
quando e' data la possibilita' di scegliere, occorre
scegliere il meglio''.
· Aborto
Marino: ''Uno dei temi piu' difficili da affrontare, su cui ci si interroga in
continuazione proprio per la sua delicatezza e complessita',
e' l'aborto. In Italia, lo Stato ha regolato la materia,
sforzandosi di coniugare il principio dell'autodeterminazione delle donne con
la liberta' di coscienza dei medici che possono
scegliere l'obiezione. In questi anni in Italia abbiamo potuto constatare gli effetti della legislazione sull'aborto. Per
quanto ciascuno di noi riconosca che l'aborto costituisce sempre una sconfitta,
nessuno puo' negare che la
legge ha permesso di ridurre il numero complessivo degli aborti e di tenere
sotto controllo quelli clandestini, evitando di mettere a rischio la vita delle
donne esposte a gravi disastri come le perforazioni dell'utero fatte dalle
''mammane'' per indurre l'aborto. Di fronte a casi estremi come una donna che
ha subito una violenza, una gravidanza in un'adolescente di undici
o dodici anni, una donna senza le possibilita'
economiche di allevare un bambino, come si pone la Chiesa? Se
si ammette il principio della scelta del male minore e, come suggerisce la
Chiesa cattolica, quello di affidare la risposta all'intimo della propria
coscienza (conscientia perplexa:
quella condizione in cui un uomo o una donna a volte si trovano ad affrontare
situazioni che rendono incerto il giudizio morale e difficile la decisione),
non sarebbe eticamente corretto spiegare apertamente
questo punto di vista? E sostenerlo anche
pubblicamente?''.
Martini: ''Il tema e'
molto doloroso e anche molto sofferto. Certamente bisogna anzitutto voler fare
tutto quanto e' possibile e ragionevole per difendere e salvare ogni vita
umana. Ma cio' non toglie che si possa
e si debba riflettere sulle situazioni molto complesse e diversificate che
possono verificarsi e ragionare cercando in ogni cosa cio'
che meglio e piu' concretamente serve a proteggere e
promuovere la vita umana. Ma e' importante riconoscere che la prosecuzione
della vita umana fisica non e' di per se' il principio primo e assoluto. Sopra di esso sta quello della dignita'
umana, dignita' che nella visione cristiana e di
molte religioni comporta una apertura alla vita eterna che Dio promette
all'uomo. Possiamo dire che sta qui la definitiva dignita'
della persona. Anche chi non avesse questa fede, potrebbe pero'
comprendere l'importanza di questo fondamento per i credenti e il bisogno comunque di avere delle ragioni di fondo per sostenere
sempre e dovunque la dignita' della persona umana. Le
ragioni di fondo dei cristiani stanno nelle parole di Gesu', il quale affermava che ''la vita vale piu' del cibo e il corpo piu' del
vestito'' (cfr Matteo
6,25), ma esortava a non avere paura ''di quelli che uccidono il corpo, ma non
hanno potere di uccidere l'anima'' (cfr Mt 10,28). La vita fisica va dunque rispettata e difesa, ma
non e' il valore supremo e assoluto.
Nel vangelo secondo Giovanni Gesu' proclama: ''Io sono la
risurrezione e la vita: chi crede in me, anche se muore, vivra'''
(Gv 6,25). E san Paolo aggiunge: ''Io
ritengo che le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla
gloria futura che dovra' essere rivelata in noi'' (Rom 8, 18). V'e' dunque una dignita'
dell'esistenza che non si limita alla sola vita fisica, ma guarda alla vita
eterna. Cio' posto, mi sembra che anche su un tema
doloroso come quello dell'aborto (che, come lei dice, rappresenta sempre una
sconfitta) sia difficile che uno Stato moderno non intervenga almeno per
impedire una situazione selvaggia e arbitraria. E mi
sembra difficile che, in situazioni come le nostre, lo Stato non possa non
porre una differenza tra atti punibili penalmente e atti che non e' conveniente
perseguire penalmente. Cio' non vuol dire affatto
''licenza di uccidere'', ma
solo che lo Stato non si sente di intervenire in tutti i casi possibili, ma si
sforza di diminuire gli aborti, di impedirli con tutti i mezzi soprattutto dopo
qualche tempo dall'inizio della gravidanza, e si impegna a diminuire al
possibile le cause dell'aborto e a esigere delle precauzioni perche' la donna che decidesse comunque di compiere questo
atto, in particolare nei tempi non punibili penalmente, non ne risulti
gravemente danneggiata nel fisico fino al pericolo di morte. Cio' avviene in particolare, come lei ricorda, nel caso
degli aborti clandestini, e quindi e' tutto sommato positivo
che la legge abbia contribuito a ridurli e tendenzialmente a eliminarli.
Comprendo che in Italia, con l'esistenza del Servizio
Sanitario Nazionale, cio' comporta una certa
cooperazione delle strutture pubbliche all'aborto. Vedo tutta la difficolta' morale di questa situazione, ma non saprei al
momento che cosa suggerire, perche' probabilmente
ogni soluzione che si volesse cercare comporterebbe degli aspetti negativi. Per
questo l'aborto e' sempre qualcosa di drammatico, che non puo'
in nessun modo essere considerato come un rimedio per la sovrapopolazione,
come mi pare avvenga in certi paesi del mondo.
Naturalmente non intendo comprendere in questo giudizio anche quelle situazioni
limite, dolorosissime anch'esse e forse rare, ma che possono presentarsi di fatto, in cui un feto minaccia gravemente la vita della
madre. In questi e simili casi mi pare che la teologia morale da sempre ha sostenuto il principio della legittima difesa e del male
minore, anche se si tratta di una realta' che mostra
la drammaticita' e la fragilita'
della condizione umana.
Per questo la Chiesa ha anche dichiarato eroico ed
esemplarmente evangelico il gesto di quelle donne che hanno scelto di evitare
qualunque danno recato alla nuova vita che portano in seno, anche a costo di
rimetterci la vita propria. Non riesco invece ad applicare tale principio della
legittima difesa e/o del male minore agli altri casi estremi da lei ipotizzati,
ne' mi avvarrei del principio della conscientia perplexa, che non so
bene che cosa significa. Mi pare che anche nei casi in cui una donna non puo', per diversi motivi, sostenere la cura del suo
bambino, non devono mancare altre istanze che si
offrono per allevarlo e curarlo. Ma in ogni caso ritengo che vada rispettata
ogni persona che, magari dopo molta riflessione e sofferenza, in questi casi
estremi segue la sua coscienza, anche se si decide per qualcosa che io non mi
sento di approvare''.
Compensi per la donazione di organi?
Marino: ''C'e' un
argomento che mi tocca da vicino, dato che da piu' di
venticinque anni mi occupo di trapianti di organo. Grazie ai trapianti oggi
migliaia di persone, altrimenti destinate a morte certa, guariscono e conducono
un'esistenza piena da tutti i punti di vista. Il limite principale ad una
maggiore diffusione di questa terapia e' legato all'insufficiente numero di
donazioni e quindi di organi da trapiantare, e di
conseguenza molte persone muoiono in lista d'attesa.
Per aumentare il numero di donatori, in alcuni paesi e
principalmente in Gran Bretagna, e' stata avanzata l'ipotesi
di stabilire un compenso per le famiglie che accettano di donare gli organi del
proprio parente dopo la morte. Il dubbio e' se sia eticamente
corretto proporre vantaggi materiali o denaro in cambio della donazione degli
organi. Si potrebbe in questo modo probabilmente aumentare il numero delle
donazioni e dei trapianti e rispondere cosi' alle
esigenze dei malati che attendono in lista un organo che salvera'
loro la vita. Eppure questa ipotesi contiene in se il
presupposto per un comportamento non equo. Non si rischia di instaurare una
situazione in cui solo i meno abbienti, incentivati da
un compenso, saranno disposti a donare gli organi mentre i piu'
ricchi si limiteranno a riceverli? E la donazione, proprio in
quanto tale, non dovrebbe sempre e solo basarsi sul principio
dell'uguaglianza?''.
Martini: ''Personalmente
sento molto cio' che lei afferma in conclusione, cioe' l'importanza del principio dell'uguaglianza e i
pericoli gravissimi di una ipotesi di retribuzione per gli organi. Mi pare che
la strada e' invece quella di propagandare il piu'
possibile il principio della donazione e far crescere la coscienza collettiva
su questo punto. C'e' davvero da auspicare che non vi sia piu'
chi muoia in lista d'attesa, mentre vi sono organi disponibili''.
· Hiv e Aids
Marino: ''La questione
dell'uguaglianza ci porta direttamente ad interrogarci su problemi e malattie
che affliggono milioni di persone in tutto il mondo, soprattutto nei paesi piu' poveri e svantaggiati per i quali l'idea di
uguaglianza rimane un sogno molto lontano se non una mera utopia. Come non
pensare subito all'Aids? Circa 42 milioni di persone nel
mondo sono portatrici del virus dell'Hiv. Nel
solo 2005 secondo i dati riferiti dalle agenzie dell'Onu,
3 milioni di persone sono morte di Aids mentre si sono
registrati 5 milioni di nuovi infetti. Il 60 per cento dei portatori del virus
vive nei paesi piu' poveri dell'Africa Sub-Sahariana, con un'incidenza media
nella popolazione tra il 5 e il 10 per cento e punte che arrivano sino al 25-30
per cento in alcuni paesi come il Botswana o lo Zimbabwe.
L'Hiv e' la piaga di un
continente che genera non solo ammalati ma orfani, poverta',
impossibilita' di migliorare le condizioni di vita.
Nel mondo occidentale, oggi il virus viene tenuto
sotto controllo grazie ai progressi nelle terapie farmacologiche
che permettono ad un sieropositivo di condurre un'esistenza del tutto normale,
con un'aspettativa di vita paragonabile a quella delle persone non affette dal
virus. Fino a pochi anni fa, il costo annuale per i farmaci
di una persona sieropositiva si aggirava intorno a dieci mila euro, una cifra
proibitiva che poteva essere sostenuta soltanto dai paesi dove era presente un
sistema sanitario nazionale. Oggi i prezzi, in regime di concorrenza,
hanno subito un crollo, fino ad attestarsi a meta'
2003 su 700 euro per i farmaci di marca (prodotti dalle multinazionali
farmaceutiche) e intorno a 200 euro per i generici di fabbricazione indiana,
brasiliana e tailandese. Nonostante questi importanti passi avanti, in molti
paesi africani la spesa procapite in sanita' non supera i 10 dollari l'anno per
cui, nei fatti, l'accesso ai farmaci e alle terapie per contrastare
l'Aids e' negato e il virus continua a diffondersi. Sappiamo che l'Aids si puo' in parte contrastare con la prevenzione e l'utilizzo
dei profilattici. Come e' accettabile non promuovere
l'utilizzo del profilattico per contribuire a controllare la diffusione del
virus? Č o non e' un dovere dei governi fare scelte e prendere decisioni su
questo tema? E, rispetto alla dottrina ufficiale della Chiesa cattolica, non si
tratterebbe comunque di optare per un male minore e
contribuire alla salvezza di tante vite umane?''.
Martini: ''Le cifre che
lei cita destano smarrimento e desolazione. Nel nostro mondo occidentale e'
assai difficile rendersi conto di quanto si soffra in
certe nazioni. Avendole visitate personalmente, sono stato testimone di questa
sofferenza, sopportata per lo piu'
con grande dignita' e quasi in silenzio. Bisogna fare
di tutto per contrastare l'Aids. Certamente l'uso del
profilattico puo' costituire in certe situazioni un
male minore. C'e' poi la situazione particolare di
sposi uno dei quali e' affetto da Aids. Costui e' obbligato a proteggere
l'altro partner e questi pure deve potersi proteggere. Ma la questione e'
piuttosto se convenga che siano le autorita'
religiose a propagandare un tale mezzo di difesa, quasi ritenendo che gli altri mezzi moralmente sostenibili, compresa
l'astinenza, vengano messi in secondo piano, mentre si rischia di promuovere un
atteggiamento irresponsabile. Altro e' dunque il principio del male minore,
applicabile in tutti i casi previsti dalla dottrina etica, altro e' il soggetto
cui tocca esprimere tali cose pubblicamente. Credo che la prudenza e la
considerazione delle diverse situazioni locali permettera'
a ciascuno di contribuire efficacemente alla lotta contro l'Aids senza con
questo favorire i comportamenti non responsabili''.
· La fine della vita
Martini: ''Ma credo che
e' giunto il momento per il nostro dialogo di passare ad un'altra serie di
problemi che riguardano la vita, e precisamente quelli che si riferiscono alla
fine di essa. Č necessario vivere con dignita', ma
per questo morire anche con dignita'. Ora, come lei
sa, qui si pongono, soprattutto in Occidente, problemi molto gravi''.
Marino: ''Lei pensa
certamente anzitutto all'eutanasia, una parola attorno a cui si crea sempre
molta confusione attribuendole diversi significati. Per questo preferisco non
parlare in astratto, ma esprimermi in maniera molto concreta. Si puo' o no ammettere che una
persona induca volontariamente la morte di un'altra, sebbene gravemente
ammalata e in preda a dolori fisici devastanti, per alleviare questo dolore? Di
fronte ad una situazione irreversibile in cui la morte e' inevitabile, ritengo
sia assolutamente necessaria la somministrazione di farmaci come la morfina,
che alleviano il dolore e accompagnano il malato con
maggiore tranquillita' nel passaggio dalla vita alla
morte. Č quanto viene fatto, in queste drammatiche
circostanze, in tutte le rianimazioni negli Stati Uniti. Io stesso, pur
soffrendone perche' un medico vorrebbe sempre poter
salvare la vita dei suoi pazienti, lavorando negli Stati Uniti ho deciso
diverse volte di sospendere tutte le terapie. Č un momento doloroso per la
famiglia e, le assicuro, anche per il medico ma e' una onesta
accettazione che non si puo' fare piu'
nulla se non evitare di prolungare sofferenze inutili e lesive della dignita' del paziente.
L'Italia e' ancora gravemente carente
in proposito, in assenza di una legge che regolamenti la materia al
punto che se io eseguissi lo stesso tipo di procedimento nel nostro paese
potrei essere arrestato e condannnato per omicidio,
mentre si tratta solo di non accanirsi con terapie senza senso. Non sono invece
d'accordo nel somministrare una sostanza velenosa per provocare l'arresto del
cuore del malato e quindi indurre la morte. E, pur
condannando il gesto, non sono tuttavia certo che si possa condannare la
persona che lo compie.
Faccio un esempio: in un recente film vincitore del
premio Oscar, dal titolo ''One Million Dollar Baby'', viene
descritto il dramma di una donna ridotta in stato semivegetativo dopo un grave
incidente sportivo, che chiede ad un uomo, il suo principale punto di
riferimento nella vita, di aiutarla a porre fine alla sua sofferenza fisica e
psicologica. L'uomo inizialmente rifiuta poi accetta perche' ritiene che quello
sia un atto d'amore estremo verso l'essere umano a cui si tiene di piu'. Pur non riuscendo a giustificare l'idea della
soppressione di una vita, mi chiedo, in situazioni simili, come si puo' condannare il gesto di una persona che agisce su richiesta di un ammalato e per puro sentimento d'amore? E d'altra parte e' lecito ammettere il principio di non
condannare una persona che uccide?''.
Martini: ''Sono
d'accordo con lei che non si puo' mai approvare il
gesto di chi induce la morte di altri, in particolare se e' un medico, che ha
come scopo la vita del malato e non la morte. Neppure io tuttavia vorrei
condannare le persone che compiono un simile gesto su
richiesta di una persona ridotta agli estremi e per puro sentimento di
altruismo, come pure quelli che in condizioni fisiche e psichiche disastrose lo
chiedono per se'. D'altra parte ritengo che e'
importante distinguere bene gli atti che arrecano vita da quelli che arrecano
morte. Questi ultimi non possono mai esser approvati. Ritengo che su questo
punto debba sempre prevalere quel sentimento profondo di fiducia fondamentale
nella vita che, malgrado tutto, vede un senso in ogni momento dell'esistere
umano, un senso che nessuna circostanza per quanto avversa puo'
distruggere. So tuttavia che si puo' giungere a
tentazioni di disperazione sul senso della vita e a
ipotizzare il suicidio per se' o per altri, e percio' prego anzitutto per me e poi per gli altri perche' il Signore protegga ciascuno di noi da queste
terribili prove. In ogni caso e' importantissimo lo star vicino ai malati gravi,
soprattutto nello stato terminale e far sentire loro che si vuole
loro bene e che la loro esistenza ha comunque un grande valore ed e' aperta a
una grande speranza. In questo anche un medico ha una sua importante missione''.
· Accanimento terapeutico e interruzione delle terapie
Marino: ''Connesso con
questo tema e' quello dell'accanimento terapeutico. La tecnologia attuale e' in
grado di mantenere in vita malati che fino a pochi
anni fa non venivano nemmeno condotti in un reparto di rianimazione. Il
progresso scientifico permette di prolungare artificialmente anche la vita di
una persona che ha perso ogni speranza di ritrovare una condizione di salute
accettabile. Per questo appare urgente affrontare il problema dell'interruzione
delle terapie. Ogni forma di accanimento terapeutico
andrebbe evitata perche' contrasta con il rispetto
della dignita' umana. Per la Chiesa, la sospensione
delle terapie viene considerata come accettazione di
un fatto naturale, di non accanirsi piu'.
Il Catechismo della Chiesa cattolica dice: ''L'interruzione di procedure mediche onerose, pericolose,
straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi puo'
essere legittima. In tal caso si ha la rinuncia all'accanimento terapeutico.
Non si vuole cosi' procurare la morte: si accetta di
non poterla impedire. Le decisioni devono essere prese dal paziente, se ne ha
la competenza e la capacita', o, altrimenti, da coloro che ne hanno legalmente il diritto, rispettando
sempre la ragionevole volonta' e gli interessi
legittimi del paziente''.
Esistono strumenti legali, come il testamento
biologico, che permettono al singolo individuo di indicare con precisione, e in
un momento di tranquillita' emotiva, fino a che punto
si desidera accettare il ricorso a terapie straordinarie. Il testamento
biologico rappresenta uno strumento molto valido per aiutare il medico e la
famiglia a prendere la decisione finale. Dovrebbe basarsi su regole flessibili
e indicare anche una persona di fiducia in grado di interpretare le volonta' di quell'individuo
tenendo conto degli ulteriori progressi della scienza.
Molti paesi lo hanno adottato con buoni risultati. In Italia un disegno di
legge e' stato presentato al Senato da molto tempo ma attende ancora di essere
discusso. Non sarebbe il momento di avviare una riflessione seria e condivisa
per introdurre al piu' presto anche nel nostro paese
una legislazione in merito alla fine della vita, cioe'
a uno dei momenti piu'
importanti della nostra esistenza?''.
Martini: ''Il testo da
lei citato del Catechismo della Chiesa cattolica mi pare esauriente al
proposito. Se si volesse legiferare su questo punto e'
pero' importante che non si introducano aperture alla
cosiddetta eutanasia di cui abbiamo parlato sopra. Per questo sono incerto
anche sullo strumento del testamento biologico. Non ho studiato l'argomento e
non saprei dare un parere decisivo. Ritengo con lei
che una riflessione seria e condivisa sulla fine della vita potrebbe essere
utile, purche' sia appunto seria e condivisa e non si
presti a speculazioni di parte e soprattutto non
introduca in qualche modo aperture a quella decisione sulla propria morte che
ripugna al senso profondo del bene della vita, come sopra si e' detto''.
· La scienza e il senso del limite
Marino: ''In
conclusione, vorrei proporre una riflessione piu'
generale. La conoscenza, il progresso scientifico, l'avanzamento tecnologico creano straordinarie opportunita'
di crescita per il nostro pianeta ma allo stesso tempo mettono nelle mani di
ricercatori e scienziati un grande potere, legato al fatto di essere in grado
di intervenire sui meccanismi che regolano l'inizio della vita e la sua fine.
La scienza corre piu' veloce del resto della societa' e anche dei parlamenti, incaricati di fissare
delle regole ma il piu' delle volte incapaci di
intervenire tempstivamente.
A mio modo di vedere andrebbe richiesta con fermezza
un'assunzione di responsabilita' da parte di ogni scienziato coinvolto in un campo della ricerca che
interviene sull'essenza della vita, sulla sua creazione e sulla sua fine. Fermo
restando che la valutazione razionale e' indispensabile, l'arbitrio del
ricercatore dovrebbe essere disciplinato anche dal senso di responsabilita'
bilanciato dalla valutazione dei rischi e delle conseguenze.
Non si tratta di appellarsi alla fede o alla religione
ma di puntare su una presa di coscienza da parte di ogni
scienziato. Questo non significa voler arrestare il progresso scientifico ma
preservare e rispettare il nostro bene piu' prezioso, ovvero la vita. Ma la storia purtroppo ci insegna che l'appello alla responsabilita'
individuale a volte non basta. Per questo gli scienziati devono fornire ogni
informazione utile e alla fine dovrebbero essere i
parlamenti, o meglio le istituzioni sovranazionali, a
fissare le regole sulla base del comune sentire dei cittadini''.
Martini: ''Tutti siamo
pieni di meraviglia e di stupore, e quindi anche grati a Dio, per il
formidabile progresso scientifico e tecnologico di questi anni che permette e permettera' sempre piu' e meglio
di provvedere alla salute della gente. Insieme siamo
consci, come lei dice, del grande potere che e' nelle mani di ricercatori e di
scienziati e della ferma assunzione di responsabilita'
che deve permettere ad essi di ricercare sempre valutando i rischi e le
conseguenze delle loro azioni. Esse devono sempre contribuire al bene della
vita e mai al contrario. Per questo occorre anche talora sapersi fermare, non
varcare il limite. Io sono inclinato a nutrire fiducia
nel senso di responsabilita' di questi uomini e
vorrei che avessero quella liberta' di ricerca e di
proposta che permette l'avanzamento della scienza e della tecnica, rispettando
insieme i parametri invalicabili della dignita' di
ogni esistenza umana. So anche che non si puo'
fermare il progresso scientifico, ma lo si puo' aiutare ad essere sempre piu'
responsabile. Come lei dice, non si tratta di appellarsi alla fede o alla
religione, ma di puntare sul senso etico che ciascuno ha dentro di se'. Certamente anche leggi buone e tempestive possono aiutare,
ma come lei afferma, la scienza corre oggi piu'
veloce dei parlamenti. Si esige quindi un soprassalto di coscienza e un di piu' di buona volonta' per far si' che l'uomo non divori l'uomo, ma lo serva
e lo promuova. Anche le istituzioni sovranazionali debbono prender coscienza del pericolo che tutti corriamo e
del bisogno di interventi tempestivi e responsabili.
In tutta questa materia occorre che ciascuno faccia la
sua parte: gli scienziati, i tecnici, le universita'
e i centri di ricerca, i politici, i governi e i parlamenti, l'opinione
pubblica e anche le chiese. Per quanto riguarda la Chiesa cattolica, vorrei sottolineare soprattutto il suo compito formativo. Essa e'
chiamata a formare le coscienze, a insegnare il
discernimento del meglio in ogni occasione, a dare le motivazioni profonde per
le azioni buone. A mio avviso non serviranno tanto i divieti e i no,
soprattutto se prematuri, anche se bisognera' qualche
volta saperli dire. Ma servira' soprattutto una
formazione della mente e del cuore a rispettare, amare e servire la dignita' della persona in ogni sua manifestazione, con la
certezza che ogni essere umano e' destinato a
partecipare alla pienezza della vita divina e che questo puo'
richiedere anche sacrifici e rinunce. Non si tratta di oscillare tra rigorismo
e lassismo, ma di dare le motivazioni spirituali che inducono ad amare il
prossimo come se stessi, anzi come Dio ci ha amato e
anche a rispettare e ad amare il nostro corpo.
Come afferma san Paolo, il corpo e' per il Signore e il
Signore e' per il corpo. Il nostro corpo e' tempio dello Spirito Santo che e'
in noi e che abbiamo da Dio: percio' non apparteniamo
a noi stessi e siamo chiamati a glorificare Dio nel nostro corpo, cioe' nella totalita' della
nostra esistenza su questa terra (cfr 1 Cor
6,13.19-20)''.
A cura di Daniela Minerva