Maggiore collegialità e, in prospettiva, un nuovo Concilio

 

Terminato il Giubileo, il Card. Martini rilancia le sue proposte, intervista al "Corriere" del 13 gennaio

 

 

 

L’arcivescovo di Milano propone più collegialità e un ampio confronto. Sul rapporto con gli ebrei: la via è quella tracciata dalla visita del Papa al Muro del Pianto

"Io, la Chiesa e il sogno di un nuovo Concilio"

Il cardinale Martini: "Neutrali in politica? No, le scelte dei cristiani ci interessano"

MILANO - Il cardinale Martini difende il Giubileo dall’accusa di trionfalismo e rilancia il suo "sogno" di un "sempre maggiore esercizio della collegialità nella Chiesa": dice di aver letto "con molta gioia" le pagine della lettera postgiubilare del Papa che esprimono un analogo auspicio. Non si tratta - precisa l’arcivescovo di Milano - di "attendere a breve un Vaticano III", ma di utilizzare da subito "altre forme concrete di collegialità", senza escludere - sui tempi lunghi - "l’ipotesi ardua ma non impensabile" di un nuovo Concilio generale, dopo quello convocato da Giovanni XXIII (l’annuncio nel 1959, l’apertura nel ’62). Quanto al dibattito sui grandi temi etici e alla campagna elettorale, il cardinale afferma che la Chiesa non è "animata da volontà di dominio" e non vuol percorrere la via della "condanna", ma "educa ai grandi valori in modo che ogni cristiano possa orientarsi da solo". Il Giubileo ha incoraggiato i credenti, ma pare abbia spaventato i non credenti, o almeno alcuni, che hanno parlato di trionfalismo. Come reagisce a questa accusa?
"La taccia di trionfalismo non si addice al Giubileo. Non si addice certo al Giubileo inteso come grandi gesti del Papa, quali la richiesta di perdono e la preghiera al Muro del Pianto, che anzi sono confessioni di peccato. Non si addice neanche ai grandi eventi, intesi come pellegrinaggi di categoria - dai giovani alle famiglie, ai disabili - se non forse per l’enfasi mediatica, cui qualche volta hanno dato luogo: solo in essa si è potuto avvertire un rischio trionfalistico, ma il cammino spirituale e culturale ha sempre contrassegnato questi pellegrinaggi. C’è poi una dimensione decentrata del Giubileo, con le celebrazioni parrocchiali, zonali e i pellegrinaggi alle chiese giubilari - a Milano ne avevamo 23 - che è stata molto intensa e partecipata, ma non ha avuto nessuna risonanza mediatica e perciò non è andata mai a rischio di trionfalismo. C’è infine una dimensione personale, la più diffusa e silenziosa: quella dei cammini dei singoli. Parlare di trionfalismo in generale mi pare dunque inappropriato. Del resto anche l’enfasi dei media può aver avuto un suo significato".
Nella lettera apostolica "Novo millennio ineunte", il Papa dice che bisognerebbe fare "un grande sforzo" per spiegare ai non credenti che la Chiesa non è mossa da volontà di dominio, quando si pronuncia sulla vita e sulle biotecnologie. Di che tipo dovrebbe essere questo sforzo?
"Io sento fortemente quello che il Papa suggerisce: che cioè le nostre opzioni, che hanno a che fare con la dignità umana e con il bene della società, noi le dovremmo sempre proporre con argomenti razionali e convincenti, senza limitarci a dire che quella è la dottrina della Chiesa. Si tratta di uno sforzo comunicativo, che dovrebbe riuscire efficace con chiunque coltivi una sana antropologia. Vi è poi uno sforzo più grande da compiere, per sgombrare la nostra parola da ogni sospetto di dominio: consiste nel vivere il Vangelo, che comporta atteggiamenti di semplicità, umiltà e misericordia dei quali nessuno dovrebbe avere paura".
Chi teme la volontà di dominio della Chiesa, fa riferimento ad atteggiamenti di condanna da parte di suoi rappresentanti...
"La sola condanna non è sufficiente e può anche essere controproducente. Si tratta di proporre, anche con insistenza, nel confronto aperto proprio di una società complessa, gli elementi di una civiltà, di una cultura, di una tradizione. Ma si tratta di proporli per le ragioni di validità che essi presentano, rese per quanto possibile accessibili e accettabili, in modo di aiutare la comprensione di chi pensa diversamente, senza che si senta condannato".
Sempre nella lettera apostolica, il Papa promette uno sviluppo degli strumenti della collegialità. Non è, in sostanza, lo stesso che "sognava" lei all’ultimo Sinodo?
"Ho letto con molta gioia le pagine in cui il Santo Padre parla della spiritualità di comunione. Egli fa notare, molto opportunamente, che non si tratta solo di adeguare gli strumenti esteriori della partecipazione e della collegialità, ma di una crescita di tutti nello spirito di comunione. La sua sollecitazione corrisponde anche un poco a uno dei miei tre "sogni" dell’ultimo Sinodo, quando auspicavo un sempre maggiore esercizio della collegialità nella Chiesa".
Ma lei - allora - aveva inteso o no proporre un nuovo Concilio, come era sembrato a noi cronisti del Sinodo?
"Non avevo affatto escluso un nuovo Concilio. Ritengo però che la formula che talora si è usata, per interpretare il mio pensiero, come si trattasse di attendere a breve un Vaticano III, sia impropria e confondente. Perché c’è stato un Vaticano II che è stato un Concilio su ogni argomento e certo un Concilio così non è da ripetersi facilmente nella storia della Chiesa. Ma ci sono, nella storia della Chiesa, problemi emergenti sui quali è bene ascoltarsi in ambiti collegiali che siano i più ampi possibili. Quindi non escludo che vi possa essere un Concilio ecumenico per il terzo millennio, quando sarà il tempo, quando il Papa vorrà convocarlo. Ma osservo che intanto si potrebbero utilizzare tante altre forme concrete di collegialità, che in parte ci sono già, ma che in parte anche il Papa auspica vengano ulteriormente sviluppate".
C’è chi obietta che le dimensioni attuali dell’episcopato mondiale rendono quasi impraticabile un Concilio universale...
"Il Concilio è previsto dal Diritto canonico come possibilità permanente per la vita della Chiesa e non può certo essere cancellato per difficoltà organizzative. Del resto con i mezzi di comunicazione e di trasporto di cui oggi si dispone, ogni difficoltà può essere appianata. Il numero dei vescovi è aumentato anche per la presenza dei vescovi emeriti, che prima non c’erano. Bisognerà trovare forme nuove, per esempio facendo precedere la convocazione plenaria da convocazioni regionali. Altra complessità viene dal bisogno di tenere presente il mondo ortodosso e quello protestante, con i tempi che ciò può comportare. Un Concilio ecumenico è un’ipotesi ardua certo, ma non impensabile".
Lei che pensa tanto a Gerusalemme, che dice della tragedia quotidiana in cui è riprecipitata la Terra Santa?
"Il fuoco covava sempre sotto la cenere e dunque non ci si può stupire che la fiamma si sia ravvivata. Quello è un luogo dove bisogna ricominciare la pace continuamente e continuamente rilanciare propositi e proposte di pace, perché è evidente per tutti che l’attuale situazione di conflitto limitato non può durare: o viene sanata, o è destinata a degenerare".
Anche il dialogo ebraico-cattolico sembra battere il passo, dopo la visita del Papa al Muro del Pianto...
"La visita al Muro e al Memoriale Yad Vashem ha chiarito agli ebrei quanto il Papa li ami e quanto egli sia una persona umile, che è andata a loro in atteggiamento di preghiera. Questa chiarificazione ha colpito tanti e costituisce un grande aiuto al dialogo. Essa ci insegna che dovrà essere sempre quello l’atteggiamento con cui andare al dialogo. C’è stata poi la dichiarazione "Dominus Jesus" ( pubblicata il 5 settembre e firmata dal cardinale Ratzinger, ndr ) che ha creato qualche disagio, ma credo che a poco a poco le cose saranno chiarite e risulterà evidente che la volontà di dialogo della Chiesa resta intatta".
Qualche disagio, o qualcosa di più?
"Quel documento non è stato ben ricevuto, purtroppo. Si poteva certamente fare uno sforzo maggiore di linguaggio e di spiegazione, perché di per sé non conteneva nulla di nuovo rispetto al Vaticano II. E dunque credo che ci voglia pazienza per favorirne la corretta interpretazione nel quadro di documenti più vasti, quali l’enciclica "Ut unum sint"".
Siamo ormai in campagna elettorale e tanti chiedono alla Chiesa di restare neutrale: ci riuscirà?
"Non amo il termine "neutrale", come se non ci interessasse la scelta che viene compiuta! Soprattutto ci interessa che i cristiani sappiano scegliere e mi spiego con questo paragone. Poniamo che una persona abbia - per malattia - difficoltà a distinguere i cibi buoni da quelli meno buoni. Possiamo aiutarla proponendole un elenco dei cibi cui attenersi, o possiamo curarne il gusto, in modo che possa distinguerli da sola. Ecco il punto: la Chiesa educa ai grandi valori, anche sociali e di convivenza, in modo che ognuno possa orientarsi. Non riteniamo utile fare degli elenchi prescrittivi, o proscrittivi. L’importante - in definitiva - è che il cristiano sia in grado di decidere in proprio, avendo presente la dottrina sociale della Chiesa".
Nel dibattito politico quotidiano, c’è qualcosa che la preoccupa?
"La denigrazione delle persone e la polemica di superficie, che tendono a prendere il posto del dibattito sui programmi".

Luigi Accattoli ( Corriere della sera, 13 gennaio 2001 )




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