Osservazioni sul messaggio “Nella verità, la pace”di Benedetto XVI per la giornata mondiale della pace del 1 gennaio 2006

            In un messaggio su un problema così importante e vasto hanno particolare importanza sia il punto di vista generale, sia la selezione degli aspetti specifici che vengono trattati, sia i problemi che vengono ignorati. La pace è poi, questione, per definizione, ambigua ed ambivalente se non si indica bene il quadro di riferimento ed il significato stesso delle parole; di essa infatti si può anche parlare a favore, mentre ci si prepara a fare la guerra (si vis pacem para bellum), oppure la si usa  per giustificare l’oppressione (è la pace del terrore e dei cimiteri). Inoltre per parlarne, non agli addetti ai lavori o in ricerche accademiche, ma a popoli che soffrono e sperano, si pone il problema di esprimere anche giudizi concreti, usando, se possibile, le parole della profezia e della speranza e non quelle della diplomazia.

Pace/verità o pace/giustizia ?

            Ciò premesso, tutto il messaggio di Benedetto XVI consiste nella spiegazione del suo titolo “Nella verità, la pace”: bisogna “conformare la storia umana all’ordine divino”; la pace è “il frutto dell’ordine impresso nella società umana dal suo divino Fondatore”; “il riconoscimento della piena verità di Dio è condizione previa e indispensabile per il consolidamento della verità della pace” e via di questo passo.

            Un tale generale punto di vista è diverso da quello che vuole invece fondare primariamente la pace  sulla giustizia e quindi sulla tutela e la promozione di quei  diritti umani di cui parla la prima parte della Pacem in terris, tutti  riconosciuti e riconoscibili dalle differenti religioni, nelle differenti storie e culture,  e da ogni uomo di buona volontà, ateo, agnostico o in ricerca. Penso a quell’etica globale di cui parla Hans Kung. La pretesa invece della “Verità” come condizione per agire veramente per la pace restringe oggettivamente tutte le energie che  possono essere mobilitabili ed appare come una proposta teologico-filosofica (vorrei anche dire “ideologica”), piuttosto atemporale ed anche poco capace di dare indicazioni di tipo  pastorale ai credenti.

            Questo particolare e prioritario punto di vista contenuto nel messaggio può essere capito e vissuto come una preliminare richiesta di accettazione da parte di tutti  della verità cristiana

(o anche cattolica). Di conseguenza  scompare quasi del tutto il rapporto pace-giustizia che, nell’attuale congiuntura della storia, non può che fondarsi su un diverso e più equo rapporto Nord/Sud, sul quale tutti ricordano molte appassionate parole di Giovanni Paolo II. Forse, non è a caso che di questo rapporto non si parla  rischiando, quindi, di rendere complessivamente il messaggio  più predicatorio che mobilitante e non all’altezza della gravità della situazione in cui si trova l’umanità all’inizio del terzo millennio.

La guerra: una presa d’atto

            Con un simile  approccio, il messaggio non ha come punto centrale  quella forte denuncia  delle guerre in corso o in incubazione e delle loro cause che, mi sembra, sia doverosa e necessaria, qualora si parta dalla constatazione del forte nesso di causalità che esiste  tra le strutture di sopraffazione e di dominio e le guerre o le guerriglie, conclamate o nascoste o di bassa intensità che esse siano. Nel messaggio, invece, si prende atto dell’esistenza della guerra e, sembra, quasi della sua inevitabilità. Poi, dato che la guerra c’è, si applichi  almeno il diritto internazionale umanitario  che “si impone come un dovere per tutti i popoli”. Benedetto XVI si dice  grato a quanti si impegnano nell’applicazione  di questo diritto ed elogia quindi i “soldati impegnati in delicate operazioni di composizione dei conflitti e di ripristino delle condizioni necessarie alla realizzazione della pace”. Questo passaggio lascia interdetti perché, in assenza  di criteri oggettivi a cui riferirsi per esprimere dei giudizi  o di indicazioni di situazioni specifiche, si può pensare che, in tal modo, si accettino tutti gli interventi c.d. “umanitari” o “antiterrorismo” di questi anni, dal Kossovo all’Afghanistan, ad altri. Si accetta allora la guerra umanitaria ?  

Di seguito, coerentemente, il messaggio fa  una esplicita lode dei vescovi e dei  cappellani militari e della loro azione pastorale (ma ogni  problema di coscienza, sollevato da don Milani in poi sui cappellani, è risolto con queste belle parole ?).

Le radici del terrorismo

            Poi, parlando a lungo del terrorismo, è sconcertante che esso sia ritenuto ispirato dal nichilismo e dal fanatismo religioso, che pretenderebbero  “di imporre con la violenza, anzichè di proporre alla libera accettazione degli altri, la propria convinzione circa la verità” “ accomunati da un pericoloso disprezzo per l’uomo e per la vita e, in ultima analisi, per Dio stesso”. Ma forse i terroristi, invece di cercare di imporre qualche  verità religiosa o filosofica, non cercano solo di reagire, usando metodi criminali, ad una situazione disperata che vedono senza via d’uscita?  Dopo due interi paragrafi che ripetono questa analisi, si fa un solo fugace accenno “alle ragioni di carattere politico e sociale”del terrorismo, che sono invece quelle che – mi sembra- veramente lo radicano e lo alimentano  in Palestina e nelle aree radicalizzate del mondo islamico .Questa analisi-spiace dirlo-sembra avvicinarsi  a quella del fondamentalismo soprattutto della destra USA, c.d. teocon, che vede nel terrorismo solo la manifestazione del Maligno e di una colpevole contrapposizione alla “vera” civiltà occidentale. In modo coerente, di conseguenza, la possibile categoria del terrorismo di stato, nel messaggio,  non viene neppure presa in considerazione.

I tradizionali punti della diplomazia vaticana

            Negli ultimi quattro capoversi il messaggio cambia tono ed elenca con chiarezza ed utilmente alcuni dei punti cardine, di antica data, della linea politico-diplomatica della S.Sede : la deplorazione dei sentimenti di odio fomentati dai governanti verso altre nazioni (Iran contro Israele  ?); la denuncia delle armi nucleari e l’invito a un “progressivo e concordato disarmo nucleare” per impiegare le risorse risparmiate  “in progetti di sviluppo a vantaggio di tutti gli abitanti e, in primo luogo, dei più poveri”; il rammarico per la stasi del cammino verso il disarmo e invece l’aumento preoccupante delle spese militari e del sempre prospero commercio delle armi; l’appoggio al rilancio dell’ONU ed infine un generico invito ad  “ogni comunità perché si impegni in una intensa e capillare opera di educazione e di testimonianza ……..della verità della pace”. La riproposizione di queste tematiche è la parte positiva del documento, per quanto sia abbastanza scontata.

L’amaro in bocca

            Il messaggio era molto atteso soprattutto dall’area dei pacifisti cristiani, essendo il primo di Papa Benedetto XVI su questioni sulle quali  non si era mai veramente espresso. Dico la verità : complessivamente, sono rimasto, giunto alla fine, con l’amaro in bocca anche perché non posso dimenticare i silenzi del messaggio che ne fanno un testo poco calato nei fatti e nelle sofferenze, non capace di proporre testimonianze scomode o di dare, almeno, segnali forti di speranza in un mondo globalizzato  in cui ogni fatto da tutti può essere prontamente giudicato e vissuto. 

            Oltre  alle questioni più generali del rapporto Nord/Sud (debito estero, commercio, riduzione degli aiuti alla cooperazione internazionale ...) i silenzi riguardano, in modo abbastanza prevedibile,  tutta la elaborazione positiva dei pacifisti cristiani : la nonviolenza, i Corpi civili di Pace, le missioni di pace dal basso, le obiezioni di coscienza….Ma pesano di più i silenzi sulla guerra preventiva (l’intervento in Iraq viene di fatto accettato?), sul fosforo bianco a Falluja, sulla tortura, sulla Cecenia, sul muro in Palestina ecc…

C’è una nuova linea verso gli USA ?

            Vorrei capire, inoltre, se si inseriscono in una linea di nuovo rispetto per la grande superpotenza queste parole di Benedetto XVI rivolte il 12 novembre al  nuovo ambasciatore USA : “confido nel fatto che la sua Nazione continuerà a dimostrare una leadership basata su un impegno risoluto a favore dei valori della libertà, dell’integrità e dell’autodeterminazione, cooperando con le varie istanze internazionali”.          Il  verbo usato (“continuare”)  significa forse che in già in passato gli Usa hanno fatto le cose belle che il Papa propone ?

            Ma ce n’è per tutti : di legittimazione in legittimazione migliaia di militari italiani con tutte le loro autorità, con  il Ministro della Difesa e ovviamente con l’Ordinario militare ed i cappellani, hanno riempito la basilica di S.Pietro il 17 dicembre per applaudire il Papa e per ascoltare i suoi auguri di buon Natale. E il Card. Tettamanzi, in questa scia, ha celebrato la Messa nel duomo di Milano, domenica 18 dicembre, per migliaia di alpini.  

20 dicembre 2005                                         Vittorio Bellavite di “Noi Siamo Chiesa