Lettera
aperta ai fratelli di fede
Il caso-Milingo
ci invita a considerare il celibato dei preti oltre la
superficialità della cronaca mondana. I fatti del giorno, realtà di Dio,
Signore della storia, ci sollecitano ad andare oltre i luoghi comuni
per “crescere in età e in grazia”.
Proviamo a
ricordarli:
1.
Nonostante le asserzioni di principio, si continua a considerare la
sessualità come intrinsecamente pericolosa, impura, cattiva, disdicevole
per il funzionario del culto. Il piacere è considerato opera del
diavolo, il femminile il più rovinoso concorrente di Dio. Non resta
che temerlo fino a demonizzarlo. Non ci siamo liberati dal dualismo e dal manicheismo culturale, che vede la corporeità con gli
occhiali neri. Eppure Dio continua a dire, “che tutto è buono”, che nulla è profano,
impuro ai suoi occhi e a quelli di coloro che amano.
“Non è ciò che entra nel corpo, ma ciò che esce dal cuore che inquina l’uomo”.
2.
Si usa ripetere, che
il celibato dei preti è libero. Quale libertà se la loro scelta è
condizionata al celibato? Come può essere libero chi viene
coltivato in un ambiente, dove si fa di tutto per smaterializzarlo, sacralizzarlo, angelicizzarlo,
distruggendo la sua umanità? Il clima di ossessione
(“nega il tuo corpo”, “la donna è tentazione”, “le pulsioni sono peccato”), deterrenza (“se vieni meno, sei un Giuda traditore”),
terrorismo psicologico in cui cresce il candidato, non annulla la sua capacità
di scelta? Eppure i seminari minori chiusi in occidente, scoppiano di aspiranti nel terzomondo (nuova
vittima della storia, che paga per i peccati del mondo e della Chiesa?)
dove si continua ad applicare metodi, che si sono rivelati inumani e
fallimentari. Reclutare, fare proselitismo di ragazzini per indottrinarli è, secondo i dettami dei diritti umani delle
Nazioni Unite, un crimine contro l’umanità. Purtroppo
3.
Non è temerarietà indurre
in tentazione dei giovani immaturi, i quali, fino a
una certa età sono trascinati dall’ideale della salvezza delle anime
(quindi dimenticano i corpi!) e poi, quando si fa sentire l’esigenza naturale
della paternità, sono costretti a fare i conti con il proprio essere
complementare con quello dell’altro sesso? E quindi si trovano, sprovveduti, a
fare i conti con il Creatore, che ha dato loro il dono naturale di essere padri in carne ed ossa. Quale manuale, quali
strumenti vengono forniti per affrontare la parete celibataria da sesto grado? Non è come mandarli in alta
montagna senza l’equipaggiamento indispensabile?
4.
Se il celibato, come si suol dire, fosse un dono
speciale, non sarebbe ingiusto e capriccioso quel Dio che lo dà a chi
vuole, facendo distinzione di persone, privilegiando alcuni a scapito di altri?
Se questo carisma fosse indispensabile per fare il presbitero, allora non
sarebbe tenuto a darlo a tutti coloro che vi sono
chiamati?
5.
Non è abbastanza
chiara la rivendicazione paolina al diritto degli
apostoli di essere “accompagnati da una moglie” (1 Cor 9,5ss)? Perché non tornare alle origini, quando il presbitero era un
anziano di provata virtù, designato dalla comunità, coltivato nel e dal
popolo di Dio? La prassi apostolica non è una norma collaudata, più efficace
della “legge canonica” valevole solo per i cattolici di rito latino? Perché ciò che vale per la chiesa di rito orientale non è
valido per quella di rito latino? E i pastori
protestanti che si convertono al cattolicesimo non continuano ad esercitare il
ministero con moglie e figli? I preti con famiglia delle chiese clandestine
dell’est (Cecoslovacchia, ecc.) sono forse diventati dei maniaci sessuali?
6.
Un terzo del clero
abbandona. La perseveranza sta diventando eccezione, il lasciare, regola.
Non è evidente che c’è più di qualcosa a monte, che
non va? E l’umiliante vergogna (altro che pari dignità!)
delle donne schiave dell’amore di un prete? E lo scandaloso crimine delle
migliaia di preti pedofili, senza calcolare gli alcolizzati, i gay, gli
alienati, quelli in cura psichiatrica, ecc. non induce a riflettere se vale la
pena mantenere una norma canonica, cioè umana,
semplicemente disciplinare? Non è troppo alto il prezzo del celibato?
7.
Si ha paura di
imparare qualcosa dall’oriente, dove da secoli i monaci di altre
religioni si votano alla castità temporanea o perpetua? Discutibile il
principio di liberarsi da ogni desiderio, la cui frustrazione porta
all’infelicità, ma almeno hanno sviluppato delle
tecniche di auto-controllo (respirazione, meditazione trascendentale, ecc.),
con le quali arrivano a gestire le pulsioni attraverso il dominio della mente e
della psiche.
8.
Ormai i pastori
vengono importati dall’est o dal sud del mondo, dove
la carriera ecclesiastica è una promozione sociale, un’assicurazione per la
vita. Come possono inculturarsi in un
luogo così diverso da quello delle loro origini? Non imparano il peggio, da
noi? La comunità locale non si potrebbe appellare alla prassi apostolica
di scegliere i propri anziani (viri probati)
per il servizio della fede, rifiutando i pastori stranieri?
9.
Nel vocabolario di
Cristo non esiste la parola scomunica. Nella sua legge il fratello è sempre fratello,
il figlio, sempre figlio. L’amore non è più ampio e più forte del limite umano?
La storia delle reciproche scomuniche, degli scismi, delle inquisizioni, dei
roghi e dei Santi Offizi non ci ha
insegnato nulla? La dichiarazione universale dei diritti umani non è ancora
arrivata in sacrestia? Un ex-prete non è sempre un Uomo, fenomeno più ampio del
cristiano? A che chiedere perdono a questi e a quelli, se poi si discriminano
coloro che fino a ieri erano chiamati fratelli? Con l’acqua sporca non si
rischia di gettare via anche il bambino?
Milingo, come tutti i figli di Adamo,
compresi i prelati, non è esente da limiti, imprudenze, strumentalizzazioni. Ma il medico non dovrebbe cercare la medicina piuttosto che
il castigo? Come mai il padre non scomunica il figlio prodigo, ma
attende con ansia il giorno della festa?
Chiesa di Dio, che ti dichiari esperta in umanità,
non è ben più grave il peccato d’ingiustizia? Quando
ti deciderai a condannare gli arricchiti alle spese degli impoveriti? Quando
denuncerai l’ingiustizia strutturale dei popoli bianchi e cristiani, che usano
i popoli del sud come i nuovi schiavi di un’economia di guerra infinita e globale?
Quando scenderai dal piedestallo della casta per
seguire Cristo, che ha scelto per palcoscenico solo una stalla e il Calvario,
pur di farsi fratello e sorella dei diseredati? Non ha preferito farsi
condannare piuttosto che condannare chiunque?
Perché non disertare, finalmente!, le corti dei grandi per abbracciare i
crocifissi senza strumentalizzare la loro croce? Come parlare di civiltà
dell’amore se non pratichiamo la giustizia, non produciamo martiri per la
salvezza dalla fame, dall’AIDS, dallo sfruttamento organizzato con le leggi di
mercato? Alle vittime non interesserà tanto il caso-Milingo.
Ma non hanno diritto di sapere da che parte stai e non
solo a parole?
A nome di un gruppo di preti sposati, Fausto
Marinetti (un cristiano qualunque)
Roma 27 settembre 2006