LETTERA APERTA AL PAPA BENEDETTO XVI CONTRO IL RIPRISTINO DELLA MESSA IN LATINO DEL 1570 E IN DIFESA DEL CONCILIO ECUMENICO VATICANO II

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Al papa Benedetto XVI, al secolo Joseph Ratzinger, già teologo di professione.


Sembra che lei voglia promulgare un «motu proprio» per ripristinare il rito della «Messa di Pio V» del 1570 in vigore fino al 1962, cioè fino al concilio Vaticano II. Con questo indulto lei vuole venire incontro a qualche decina di fondamentalisti irriducibili che si sono separati dal gruppo che fa capo al vescovo scismatico e scomunicato Marcel Lefebvre, rientrati nella Chiesa cattolica, ma a condizione che non sia loro chiesta alcuna adesione formale al magistero e alle riforme conciliari. Di fatto, lei sconfessa sia il concilio che i papi del concilio: papa Giovanni XXIII che lo indisse e papa Paolo VI che lo concluse e lo attuò, i papi più grandi del sec. XX.
Fin dalle origini della Chiesa la legge della preghiera è stata l’espressione della fede e la Messa che è l’atto centrale della vita ecclesiale è sempre stata riformata, aggiornata e modificata perché la fede del popolo di Dio si potesse esprimere consapevolmente. Alcuni asseriscono che la riforma voluta dal concilio con il passaggio dal latino alle lingue nazionali e dall’altare rivolto al muro all’altare rivolto al popolo non sia lecita e costituisce un abuso, anzi una rottura della costante tradizione «cattolica» della Chiesa. Costoro non hanno sufficiente spirito di discernimento e di conoscenza della storia della Chiesa e della storia liturgica in particolare, perché se ne avessero saprebbero che il rito di Pio V è frutto del riordino/riforma di quello precedente e che a sua volta fu riformato almeno quattro volte prima della riforma globale del concilio Vaticano II, attuata da Paolo VI.
Il problema non è la messa in latino (oggi anacronistica), il vero problema sta nel fatto che la Messa di Pio V è una bandiera issata dai tradizionalisti per esigere la sconfessione totale del concilio ecumenico Vaticano II e specialmente del papa Paolo VI che essi ritengono scismatico e ispirato dal diavolo. Denigrare consapevolmente il concilio e i loro papi è la missione e il compito pastorale di questi «campioni della fede». Ripristinando per loro il vecchio rito abrogato da Paolo VI come dimostra il documento che alleghiamo, lei si fa complice e fautore di uno scisma ancora più grande perché i discepoli di Lefebvre non accetteranno mai l’autorità del concilio contravvenendo al Codice di diritto canonico dove sancisce che il concilio esercita il magistero «in modo solenne sulla chiesa universale» (CJC, 337§1).
Lei è il papa e noi ne riconosciamo l’autorità, ma nello stesso tempo le diciamo che lei non può fare quello che vuole e non può contraddire un concilio né tanto meno abrogarlo come sta facendo con la concessione «in esclusiva» della Messa di Pio V. Concedendo l’indulto a tutta la Chiesa, lei si esonera dal chiedere, come è suo dovere e obbligo, la dichiarazione di fedeltà al magistero del concilio. Da questo momento tutti si sentiranno in obbligo di chiedere indulti speciali sotto l’arma del ricatto di uno scisma, come egregiamente sta facendo il vescovo-stregone Milingo. Lei stesso in suo scritto autobiografico ha attribuito le colpe della crisi della Chiesa alla riforma liturgica, mettendosi sullo stesso piano di un politico italiano, Umberto Bossi, rappresentante di un partito xenòfobo, il quale attribuisce tutti i mali dell’èra moderna, dalla rivoluzione francese alla globalizzazione niente meno che al «concilio che ha girato gli altari». Non è, ci creda, in buona compagnia.
Noi affermiamo la nostra fedeltà al concilio ecumenico Vaticano II, di cui ci gloriamo di essere figli e custodi, ne accettiamo le riforme che riteniamo incompiute e superate perché per noi il concilio è stato chiuso in fretta senza che abbia potuto affrontare i nodi irrisolti di oggi: la sopravvivenza della terra; la povertà di tre quarti dell’umanità; l’acqua sorgente di vita per tutti i popoli, lo sviluppo compatibile; la guerra bandita; il ritorno al «principio» della Parola; la struttura della Chiesa popolo di Dio; il contenuto e lo stile dell’autorità come servizio; i criteri di scelta dei vescovi; la teologia come comunione di teologie, i laici e le laiche soggetti attivi della Chiesa; l’autonomia e la libertà delle comunità in materia organizzativa e cultuale; i titoli e le onorificenze incompatibili con la fede; quali ministeri per quale Chiesa; i ministeri coniugati e celibatari; la Chiesa è la donna; gli ordinariati militari; il rapporto con «i regni di questo mondo» (concordati?); la formazione permanente del personale di chiesa.
Di fronte a queste sfide che aprono il terzo millennio e che attendono la Chiesa come testimone del Lògos incarnato nella storia (Gv 1,14), volere ritornare al passato ripristinando formule e riti di altri tempi e fuori tempo, è sintomo di paura, peccato di superbia e sfiducia nello Spirito Santo che oggi non parlerebbe più come ha parlato nel passato, nonostante Cristo sia «lo stesso ieri e oggi e nei secoli» (Eb 18,3).
Noi le chiediamo di non pubblicare l’indulto che giustificherebbe il disprezzo di chi già disprezza il concilio, ma le chiediamo di pretendere da vescovi, cardinali e cristiani un atto di adesione formale all’intero magistero del concilio, cominciando lei a dare il buon esempio. In caso di pubblicazione dell’indulto che ripristina la Messa di Pio V, noi staremo in ginocchio, ma con la schiena dritta non lo attueremo, ma lo combatteremo in nome della nostra coscienza e del rispetto dovuto al concilio ecumenico e ai papi suoi predecessori. Noi esigeremo con lo stesso trattamento una messa più partecipata e più condivisa con il nostro popolo. Oggi più che mai vale il grido di Cristo agli apostoli spaventati, fatto proprio da papa Giovanni Paolo II nel giorno d’inizio del suo pontificato: «Non abbiate paura!» (Mc 6,50). Noi non abbiamo paura!

Genova 12 novembre 2006
Paolo Farinella, prete