Un viaggio nella chiesa italiana. A proposito del “Ritorno di Dio” di Marco Politi

 

Di Marcello Vigli

 

Interessante e originale è lo spaccato della chiesa italiana, che si ricava dalle oltre quattrocento pagine del libro di Marco Politi Il ritorno di Dio. Tanto dura il “viaggio” da lui intrapreso nella comunità ecclesiale italiana incontrando preti e suore, intellettuali e volontari, vescovi e laici. Non manca una significativa deviazione per incontrare esponenti della comunità ebraica. Sono donne e uomini veri, fotografati nel loro ambiente con tocchi di ammiccante realismo, quelli con i quali ha parlato riuscendo a farsi raccontare storie di vita, progetti e realizzazioni, ma anche a trarne valutazioni complessive e indicazioni di prospettiva sulla chiesa italiana. Talvolta sono rilievi e osservazioni, tal’altra, molto meno frequentemente, giudizi critici, gli uni e gli altri, collocati in un ampio panorama di “molti modi di vivere la fede” p. 289 e di testimoniare il vangelo. Ne emerge il volto di una chiesa comunità responsabilmente vissuta, ma non molto interessata al governo della chiesa istituzione, che pure ha tanti problemi da affrontare.

Problemi  e interrogativi

Questi emergono chiaramente dai riferimenti statistici e dai giudizi dei sociologi interpellati, che s’inseriscono qua e là nel racconto del viaggio con molta discrezione, ma opportunamente distribuiti a conferma che non si tratta di un’indagine sociologica, ma neppure di un’antologia di storie esemplari insufficienti da sole ad offrire una visione d’insieme credibile e significativa.

Così il declino delle parrocchie si evince sia dall’alto numero di quelle senza prete, sia dalla descrizione di quelle da cui i giovani si ritraggono e che magari riscoprono solo per chiedere “che la mia unione sia benedetta da Dio”, restando sorpresi dalla risposta di don Angelo Pansa, un parroco romano, che li invita a riflettere sulla specificità del matrimonio sacramentale. “Io replico Dio può essere presente anche in Campidoglio, anche al mare, non c’è bisogno di andare in chiesa, Dio è presente anche nella sinagoga o in una moschea. Rimangono un po’ sorpresi. E io ricomincio daccapo. Parlo della Chiesa che rimanda al ‘cristiano’ e del cristiano che richiama Gesù Cristo e piano piano s arriva alle questioni centrali” p.81. In verità i preti così sono pochi e per di più saranno sempre meno, perché c’è crisi di vocazioni. . Mancano preti italiani ed è invalso l’uso di sostituirli con quelli dei paesi del terzo mondo, depauperando le chiese di quei paesi come denuncia il cardinale Jozef Tomko: “Nonostante che i due terzi della popolazione mondiale non conoscano ancora Cristo, in Occidente si vedono in numero sempre maggiore sacerdoti  e religiosi africani, asiatici e latino americani, impegnati solo in minima parte nell’evangelizzazione e nell’assistenza ai connazionali immigrati”  p.71 La risposta a tale scarsità si potrebbe trovare, secondo il giovane Segretario generale della Cei monsignore Giuseppe Betori con una migliore utilizzazione di laici preparati, Lasciando gli spazi  di catechesi, di animazione liturgica e caritativa ai diaconi e dando agli operatori pastorali un ruolo nell’occuparsi del crescente bisogno di animazione complessiva delle parrocchie” p.437.  Il problema della diminuzione delle vocazioni investe anche i monasteri e conventi sia femminili che maschili: spesso sopravvivono anch’essi con l’immissione di vocazioni dal terzo mondo. In questo contesto si colloca la constatazione dello svuotamento delle chiese e dell’abbandono della pratica religiosa. Non basta a compensarli l’aumento della frequentazione dei santuari mariani. L’ottimismo che emerge dal colloquio con Baldassare Cuomo, rettore di quello di Pompei, posto da Politi all’inizio del suo viaggio, contrasta con il pessimismo di padre Livio Fanzaga, direttore di Radio Maria – “la quinta emittente in Italia tra le commerciali per numero di ascoltatori” p.149 -, voce in Italia del movimento che fa capo al santuario di Medjugorie. Padre Livio, pur rilevando un risveglio di religiosità, parla di cattolicesimo italiano in crisi “perché secondo me è in crisi la fede ……Credo che stiamo attraversando una crisi epocale al di là di quelle che possono essere le soddisfazioni del giubileo” p.156. Eppure la sua radio, in accelerata espansione di ascolti, costituisce una novità tra gli strumenti di comunicazione, costituendosi come fonte di messaggi rassicuranti e consolatori specializzati nell’indicare nell’amore di Dio “la via della felicità” p.144, nel solco di quella religiosità che monsignore Ennio Antonelli quando era segretario della Cei definiva  una fede vaga, una religione vissuta come emozione gratificante, senza fondamenti dottrinali e motivazioni precise” p. 24

Queste forme di religiosità tradizionali ai limiti dell’esaltazione evocano la forte ripresa nella società del ricorso al mondo del mistero: dal satanismo alla magia. Sul primo il parroco di Chiavenna, il paese dove due ragazze hanno ucciso una suora per rispondere ad un ”imperativo” di satana, osserva “Quando uno s’innamora di Satana, vuol dire che non siamo stati capaci di farlo innamorare di Gesù Cristop.51 Non è certo una diagnosi attendibile per tutti i casi, perché il satanismo è un fenomeno ben più complesso, ma è certo un’ipotesi che può aiutare a capire le ragioni di questo ricorso al mistero che, pur se in forma diversa, si manifesta nel frequente ricorso alla magia anche da parte di cattolici osservanti. Alla richiesta di spiegazione di Politi su questo fenomeno diffuso, il sociologo Franco Garelli risponde “Perché c’è una forte richiesta di religiosità sensibile.  C’è il bisogno di una religiosità che abbia tratti di concretezza e non sia solo astratta, formale. C’è una grande domanda di una fede che si possa toccare” p. 19. In verità è bene distinguere perché “C’è gente che magari dice di credere in Dio, ma in realtà si comporta come se Dio non ci fosse. Gente tutta incentrata sul proprio corpo, la propria realizzazione personale, la sessualità ludica e edonista…  con riferimenti culturali tipici di una società consumistica” p. 20.  Aggiunge e in parte corregge Paola Bignardi, Presidente dell’Azione cattolica: “Si diffonde la tentazione di un cristianesimo profano che apprezza la cultura ispirata al Vangelo .. la solidarietà, i diritti umani, il rispetto della persona ….. però estromette da questa da questa visione della vita la dimensione della trascendenza, del riferimento a Dio” p.412, quando non soggiace alla tentazione “del ritualismo, dello spiritualismo  e della mondanizzazione” p.417. Non si può negare, comunque, dice don Leonardo Zega, ex direttore di Famiglia Cristiana, che il posto della religione nella pubblica opinione “sia piuttosto alto” e che la domanda di religiosità sia “in crescita, non soddisfatta” p. 312 . Di diversa opinione sono due volontari dell’Associazione Comunità e Famiglia. Sono convinti che “la Chiesa non interessi la gente“ e che la “società va avanti e della religione si cura poco” p. 347 In verità forse non c’è contraddizione si potrebbe rilevare che forte è il bisogno di religiosità, ma che non si rivolge alla Chiesa, almeno alla chiesa istituzione

Ne risente l’incidenza della Chiesa sulla morale familiare.Il sociologo Pierpaolo Donati rileva che:  “Separazioni, divorzi, controllo delle nascite, perfino l’uso dell’aborto sono attuati in pari misura da chi è cattolico a chi non lo è” p. 329, mentre oltre tre milioni e mezzo sono i nuclei familiari diversi dalle coppie sposate. Né maggiore influenza ha la voce della Chiesa nella stanza da letto dove, seppure con senso di colpa, i comportamenti sessuali dei cattolici non sembrano differenziarsi da quello degli altri. Di questo, a parere del sessuologo cattolico Emanuele Jannini, stanno prendendo atto” i sacerdoti più avvertiti, i più attenti ai nostri tempi [cominciando] timidamente, passo dopo passo a uscire in punta di piedi dalla stanza da letto in cui si erano insediati da tanto tempo” p.322.

Comunità ecclesiale e società

Questo scollamento sembra compensato, a parere di molti, dalla diffusa integrazione della chiesa comunità nella società. Una chiesa fatta di cattolici anonimi, tale si dichiara Giuseppe de Rita: “il mio vissuto è di non essere un cattolico pubblico[……] Nel mio vissuto [….] il cristianesimo è fare benedizione … trasmettere il senso che la storia va avanti e che di generazione in generazione c’è una benedizione di dio che ci accompagna” p. 270.  Tale sembra essere Adriana Zarri, ritirata nel suo eremo a coltivare la sua  “ordinarietà”  che però prevede una sua personale liturgia: “Quella  che gli antichi chiamavano missa sicca, messa secca. Ho già con me l’eucaristia, seguo il rito della messa e al racconto della Cena porto sull’altare l’eucaristia, che conservo nella riserva, e poi faccio la comunione” p.171. Queste “ordinarie straordinarietà” sono in verità calate in una chiesa costituita di comunità e movimenti, gruppi o associazioni di volontari, preti e suore, che hanno dato vita a forme di presenza nella società, varie e articolate. In esse l’evangelizzazione e la testimonianza s’intrecciano con la funzione di supplenza sociale, che molte di loro esercitano in tutti i campi. Una comunità partecipata che vive anche nella pastorale di molte parrocchie. Quel don Gigi Pini parroco a Chiavenna, così critico verso la sua stessa azione di prete, cancella due messe domenicali “Per un motivo molto semplice, per creare comunità. Credo che moltiplicare la celebrazione dell’eucaristia spacchi la comunità e alla fine diventi una scelta di comodo [….] Una comunità si riunisce nell’eucaristia, lì si identifica, si confronta, cresce, parla, discute, soffre, ama” p. 45.  Non si tratta di un caso isolato, perché a Messina un altro parroco, padre Giuseppe Ghiozzo, afferma “La casa del prete è aperta a tutti…. Prostitute, carcerati, transessuali, ragazzi senza casa….E poiché siamo una famiglia, alla domenica si celebra una messa unica. Senza altre messe comode o prefestive. Chi vuole viene…. Noi vogliamo imporci” p.   356.  E’ un modo d’intendere la parrocchia non come terminale di una struttura piramidale di “servizio religioso”, ma come comunità di cristiani che non lasciano fuori i loro problemi quotidiani “La parrocchia non è il parroco. La parrocchia è viva quando è una comunità dove sensibilità, attitudini, vocazioni e carismi diversi s’incontrano e diventano capaci di essere presenti tra la gente” p. 75 conferma don Pansa. In essa anche i divorziati e risposati devono trovarsi a casa, ma soprattutto ci si fa carico della crisi d’incertezza e d’insoddisfazione, che, traducendosi in assenza di speranza, genera angoscia sia tra gli adulti sia nelle nuove giovani. 

La ricerca di risposte da dare ai giovani per offrire loro una proposta di senso, si ritrova anche in molte delle altre storie raccolte da Politi che raccontano dell’aiuto offerto a chi cerca il lavoro, che non c’è, a chi soggiace alla tossicodipendenza o a chi, semplicemente, vuole non restare solo

Questo impegno appare evidente nelle storie di quelli, che hanno scelto il volontariato, magari come risposta alla scoperta del vuoto della loro vita, e ne hanno inventato forme nuove e creative per aiutare gli altri realizzando se stessi. Alcuni hanno raccolto la sfida del cardinale Martini “la carità non come un dovere morale, ma come uno stile di vita” p. 348, altri rincorrendo l’efficienza si misurano con i rischi di aziendalizzazione, perché certe forme di volontariato hanno bisogno d’investimenti, sovrastrutture, collegamenti. Il rischio è più forte per quelle che sono arrivate ad assumere dimensioni nazionali, intervenendo a supplire alle carenze dello stato sociale se non proprio a tappare le falle dell’assenza dello stato. Per evitarlo, alcune si sono raccolte in coordinamenti e leghe. Politi me presenta le dfferenze e interloquisce con i rappresentanti di alcune strutture più significative Capodarco, Sant’Egidio, Libera. Quest’ultima, promossa da don Luigi Ciotti fondatore dell’associazione Abele, che il suo arcivescovo il cardinale Pellegrino gli aveva riconosciuto come la sua parrocchia di “strada”, rompe gli schemi. E’ un coordinamento di diverse organizzazioni e gruppi impegnati direttamente nelle vicende della politica ad affondare il ferro nella piaga più profonda e sottovalutata del nostro Paese: la presenza della criminalità organizzata, che si costituisce stato nello stato, gli sottrae il controllo del territorio, strangola l’economia, nega la legalità, inquina e corrompe il tessuto sociale. Alla coscientizzazione contro la mafia, Libera aggiunge il sostegno alla prassi della confisca dei beni mafiosi e, soprattutto, segue la loro utilizzazione specie quando si traduce in imprese economiche a gestione giovanile.  E’ fuori dagli schemi, anche perché non si configura come “supplenza” e non è soggetta a burocratizzarsi, rischio incombente sulle altre forme d’intervento nel sociale che fruiscono di contributi pubblici. L’importanza della sua scelta è confermata da un fatto, che Politi rivela, dal quale emerge che il rapporto con la mafia è anche un problema per la chiesa tutta. In terra di Calabria il vescovo di Locri deve prendere o rifiutare la scorta?. Monsignore Ciliberti si era lasciato indurre a prenderla il suo successore, Giancarlo Bergantini, racconta a Politi di averla rifiutata.

Un’altra spinta molto forte al rinnovamento nella Chiesa si rivela l’azione delle donne delle quali “un numero crescente esercita funzioni di responsabilità nelle commissioni di parrocchie e diocesi” p.164. Sono, però, anche teologhe e docenti di teologia come Maria Caterina Jacobelli, per nulla subalterna o conformista, pur nel rispetto dell’autorità, quando affronta il nodo della staticità del “depositum fidei”. Riconoscendolo espresso in una determinata “cultura” afferma che “tutto, formulazione di dogmi compresi, è culturalmente determinato e quindi cambiabile … deve essere cambiabile. Perché oggi abbiamo dei dogmi formulati in maniera alcune volte non più comprensibile” p.177 Conserva la sua autonomia di giudizio anche quando affronta questioni meno rilevanti, come il celibato dei preti e il sacerdozio alle donne, ma di grande attualità nella chiesa, riconducendole alle loro radici teologiche. Altre donne sono alla guida di organizzazioni tradizionali, come Paola  Bignardi Presidente dell’Azione cattolica, o di nuovi movimenti, come Chiara Lubich fondatrice e leader indiscussa dei Focolarini. Altre infine sono suore “ormai presenti nei gangli vitali della vita sociale” p.192, in modo massiccio, istruite e colte. “Noi religiose un salto di qualità lo abbiamo fatto, perché è necessaria una cultura ben costruita che qualifichi la religiosa nel suo essere di consacrata, di donna e di persona  preparata in ciò che esercita come professione. Altrimenti non riusciamo ad essere quelle che veramente il Signore ci vuole” p. 197 dice suor Clarice Gengaroli, “che non parla solo a titolo personale. Lei fa parte dei gruppi dirigenti dell’USMI, Unione delle superiore maggiori italiane, che raggruppa tutte le congregazioni femminili grandi  e piccole” definita da Politi “il parlamentino delle suore italiane” p.197 che da anni si batte proprio per la riqualificazione delle suore. Dalla consultazione dell’Annuario della Cei, risulta, però, che “Ai livelli alti dell’organizzazione ecclesiastica questo impegno di massa trova tuttora scarso riscontro nei ruoli dirigenti[…]Religiose o laiche le donne cattoliche rimangono generalmente confinate nella dimensione delle addette di segreteria” p. 192.

Un’ulteriore manifestazione della vitalità dal basso sono i movimenti che “si sono caratterizzati per dinamismo e insistita visibilità, rompendo la percezione di un gregge di fedeli asserragliato nei recinti parrocchiali” p. 91. Secondo Giuseppe De Rita sono le forme diverse che assume “il tentativo della Chiesa di andare verso il singolo. Soltanto che non ce la fa, perché il singolo ha una psicologia tutta frammentata, tutta individuale. Dove conta solo la propria esperienza e basta. Allora nella Chiesa, non coscientemente, si è dato spazio ai movimenti, alle associazioni, alle piccole sette dove si va incontro a un’esperienza” p. 263. In verità, continua De Rita, la Chiesa istituzionale è impreparata a cogliere l’erompere della soggettività nella società, che spinge molti alla costruzione di una propria immagine di dio e ad una personale gestione del peccato, e, “può darsi che i movimenti siano una reazione alla crisi dell’istituzione ecclesiastica nei confronti della soggettività  [e aggiunge] Comunque, registro che il polo della soggettività viene in qualche modo coperto dalla Chiesa con questa moltiplicazione di emozioni religiose e di gruppi legati all’esperienza. A me non piace …però la strategia è questa.  Eppure sento che ciò non supplisce al fatto che la Chiesa non sia capace di parlare al soggetto”   p. 264. Neppure il papa, con il suo io carismatico, è capace “perché lui è troppo di massa” p. 264. Nel suo intervento va oltre. Nel cogliere e sottolineare la varietà di queste esperienze molto diverse sia tra loro, neocatecumenali, neopentecostali, focolarini, legionari di Cristo, e sia dalle strutture verticalizzate come l’Opus Dei, conclude “Noi oggi abbiamo una chiesa che non è più religione cattolica, ma è la religiosità differenziata” p. 263, 

L’attivismo di questi “movimenti emozionali”, al di là di tali valutazioni, e la diffusione del volontariato nelle sue diverse forme, la vitalità delle parrocchie comunitarie e delle nuove comunità, l’irrompere delle donne, a cui si può aggiungere il vasto e diffuso presenzialismo dei cattolici, organizzati e non, nelle manifestazioni per la pace, costituiscono il volto di una chiesa vivace e spesso autenticamente evangelica, pur nelle diversità, talvolta profonde e irriducibili, tra le sue espressioni.

Chiesa comunità e chiesa istituzione

Sorge a questo punto spontanea la considerazione che tale chiesa vissuta meriterebbe di essere guidata da una gerarchia diversa da quella che, intravista nelle successive tappe del suo lungo viaggio, Politi incontra formalmente alla sua fine parlando con monsignore Giuseppe Betori Segretario generale della Conferenza episcopale italiana, che “è la Chiesa italiana in forma di

soggetto politico giuridico sociale” p.424  La sede dell’incontro, “una palazzina senza fronzoli  in stile funzionale” e lo studio dell’interlocutore sono all’insegna della sobrietà e dell’efficienza   Betori è controllatissimo. Garbato cordiale, ma ogni parola è soppesata e garantita come il punzone sul gioiello dell’orefice. [….] E’ fatta anche di queste sfumature la conversazione di un ecclesiastico di rango.p.425 addetto alla Presidenza di una Cei che, progressivamente negli ultimi decenni dopo il Concilio, ha assunto nella società italiana il ruolo di interlocutore autorevole delle forze sociali e politiche, A tale ruolo, a cui l’aveva sollecitata anche Papa Woytjla fin dal suo primo discorso come Primate d’Italia, sono funzionali il suo nuovo statuto e ancor più lo status di “partner negoziale” del governo garantito dal Concordato craxiano del 1984. Questo l’ha sottratta alla “cupola vaticana”, le ha consentito di sostituirsi alla Dc nella rappresentanza politica del mondo cattolico italiano, ma soprattutto di consolidare una gestione centralistica della Chiesa italiana. Le cospicue risorse assicurate dal gettito dell’otto per mille, gli oltre ventimila insegnanti nelle scuole, i cappellani nelle caserme, nelle strutture ospedaliere e penitenziarie pagati con pubblico denaro, la rendono pienamente indipendente da ogni controllo della Comunità ecclesiale. Torna alla memoria l’immagine della “solitudine della gerarchia contornata da folle più o meno fanatizzate o indifferenti. Avere uno sfondo osannante non significa aver interlocutori” p. 166, evocata da Adriana Zarri, nel ricordare i tempi del referendum sull’aborto. C’è da chiedersi se proprio a questa separatezza  e a quel “difetto di libertà”, che si manifesta come “fortissima autocensura” p. 306”, denunciate da don Zega nel descrivere proprio il funzionamento della Conferenza episcopale, siano da attribuire le difficoltà dell’istituzione ecclesiastica ad interpretare le istanze della comunità ecclesiale e l’inadeguatezza a capire i segni dei tempi. Questa inadeguatezza è particolarmente evidente nella sua chiusura alla comprensione del nuovo modo d’intendere la famiglia e la sessualità, che resta netta verso le esperienze prematrimoniali e le convivenze..

Il sociologo Donati, citando il nuovo compendio della Cei sull’argomento, dichiara “mi sembra che la Chiesa ancora guardi alla famiglia dall’ottica della sua dottrina sociale e dal punto di vista della catechesi o più in generale dell’evangelizzazione …senza prender atto fino in fondo dei processi di cambiamento p.326, In verità è la sfera del privato che sfugge alla possibilità d’intervento della Chiesa. Vescovi e preti non sono preparati,”non c’è ancora la capacità di dare un senso positivo a questa dimensione. La sfera del privato resta in linea di principio un fatto solo negativo, quasi un peccato, invece, di essere considerata l’espressione della persona umana e delle relazioni primarie interpersonali” p. 332. In verità c’è qualche eccezione rivela il sessuologo Jannini: “chiacchierando con amici preti ho la sensazione che  anche tra il clero si manifesti un affievolirsi dell’attenzione verso la problematica sessuale” p.322 In particolare restano fermi gli antichi pregiudizi, pur se espressi in termini meno offensivi, verso gli omosessuali anche quando questi vengono allo scoperto e si costituiscono in Coordinamento dei gruppi omosessuali cristiani. Racconta Alfredo La Malfa, fondatore a Catania di un gruppo di omosessuali cristiani, che una loro richiesta formale alla Cei, perché discutesse in modo esplicito della loro condizione non ha ottenuto risposta, e rileva che anche i “movimenti” li condannano all’ostracismo. Se la Cei tace, però, c’è chi, come monsignore Domenico Pezzini, accompagna spiritualmente gruppi di gay e chi, come il parroco di un piccolo paesino pugliese alla vigilia di Natale, “ha chiamato all’altare un ragazzo omosessuale ventunenne perché raccontasse la sua storia” p. 361. A questa e altre storie presta grande attenzione anche un altro prete, don Vinicio Albanese, che vive l’impegno assistenziale nella Comunità di Capodarco con la continua preoccupazione di non “creare spaccatura tra spirito e corpo, tra economia e spiritualità, tra risposta sociale risposta religiosa” p. 290 rilevando amaramente che, invece, negli “interventi ufficiali della gerarchia ecclesiastica non sento mai un afflato, mai un richiamo al coraggio, all’osare, al guidare, a far sperare. p.292  Altra fonte di amarezza è l’isolamento in cui queste forme di volontariato meno allineate sono lasciate. Alla domanda di Politi se sono stati mai convocati alla Conferenza episcopale risponde “Tranne le iniziative fatte con la Caritas negli anni Ottanta sull’handicap, io in trent’anni non sono mai stato interpellato dalla Cei. Mai chiamati a una riflessone sui tossici, sui disabili, sui minori, sui pazzi. Mai, mai, mai. Nemmeno un’udienza papale?  [chiede Politi} Mai” p.292

In verità il problema della necessità di rispondere all’individualismo della società contemporanea è ben chiaro alla gerarchia. Monsignore Betori riconosce “L’idea che abbiamo avuto fino a ieri di potere impostare per masse e per gruppi la proposta di fede, la proposta catechistica, l’educazione liturgica, l’educazione morale … oggi non regge più. Perché ogni situazione personale è una situazione differente dalle altre” p. 430.   La soluzione sta nella sollecitazione, ad ogni cristiano, a riscoprirsi evangelizzatore per aiutare il fratello “in una specifica maturazione di fede di morale o di vita ecclesiale” p. 431.  Una maturazione culturale, quindi, prima che “emozionale”. In quest’ottica si può comprendere la fiducia da lui riposta nell’insegnamento di religione nelle scuole nonostante le difficoltà che incontra.  Pur se è bene accolto dagli studenti e dalle famiglie, come rivela l’alta  percentuale di quelli che se ne avvalgono, non riesce ancora ad assumere la forma d’insegnamento culturale, ipotizzata nel nuovo Concordato. Alle radici di tali difficoltà ci sono due problemi “Si tratta di non tradire il carattere proprio della fede cristiana, evitando di ridurla ad una cultura ……. ma anche di pensarla in termini propriamente culturali” p.432. Il problema del rapporto tra fede e cultura, adombrata da Betori con l’evocazione dell’eresia gnostica,  si pone, in verità,  anche per la  definizione della cultura cattolica all’interno  del Progetto culturale lanciato nel 1994 dal cardinale Ruini. Suo obiettivo dichiarato è l’evangelizzazione del mondo della cultura, creando sinergie e collaborazioni tra le tante case editrici, riviste, organizzazioni culturali, giornali, centri radiofonici e televisivi cattolici, e coinvolgendo le università cattoliche e i docenti “cattolici” di quelle statali. Un disegno di vasta portata finalizzato a inserire nella diaspora politica dei cattolici elementi di unità culturale e d’indirizzo politico. Rappresenta ”la sfida più importante per la nostra Chiesa, ma anche la risorsa principale della stagione ecclesiale che viviamo” p. 441 secondo monsignore Betori.  Non ne sembra convinto don Zega, che pone in alternativa il Progetto culturale della Cei con la proposta di un “progetto pastorale con valenza culturale” p.308 avanzata dal cardinale Carlo Maria Martini, e legge il Progetto culturale come un tentativo d’imbrigliare la dialettica interna all’opinione pubblica cattolica.

Più radicale è la critica Gianni Baget Bozzo, che dichiara senza mezzi termini ”Non esiste più il cattolicesimo come cultura” p. 219, dopo la grave crisi provocata dal Concilio Vaticano II, per la mancanza di una fede vissuta l’unica, che può consentire una robusta riflessione teologica. La sua è la voce più apertamente critica dell’abdicazione della Chiesa alla sua funzione di parlare di Dio, in particolare ai giovani. “Resta perciò una Chiesa che non solo non produce cultura, ma che muore per l’assenza della trasmissione di fede” p. 224  

Di altro avviso è Bruno Forte, docente di teologia dogmatica all’università di Napoli, coinvolto ad alto livello nella gestione del Progetto, assertore della presenza e della buna salute della cultura cattolica nella società italiana. In disaccordo con Baget Bozzo è anche il rettore dell’Università cattolica Lorenzo Ornaghi, che pone il problema in forma diversa. Dopo aver premesso che “pochi paesi come il nostro hanno bisogno di qualificare una certa attività come cattolica [………] Da noi c’è questa urgenza di qualificare. E non lo fanno solo i cattolici [….] ma anche gli altri hanno necessità di etichettare” p. 226, richiama le vicende storiche per spiegare il rapporto conflittuale tra cattolicesimo e società e per fondare l’esigenza e la possibilità di superarlo. In presenza anche delle innovazioni profonde indotte a livello planetario dalla globalizzazione “il cattolicesimo, che pure ha una bella anima conservativa [……] Può dare invece la spinta innovativa. può dare quella socialità che significa gratuità….l’impulso a reimpostare i rapporti sociali ed economici in maniera diversa” p.228. Il rettore, dal riconoscimento di questa vitalità culturale, trae un quadro operativo ben preciso per valorizzare la presenza diffusa di cattolici nei diversi ambiti delle scienze settoriali. Forti della loro chiara impostazione antropologica, ampiamente riconosciuta dagli altri, possono dare un decisivo contributo a combattere la frammentazione culturale, a cui la società sembra condannata, in contrasto con la tendenza “a ricercare elementi di unificazione delle forme del sapere. Questo è il contributo che il cattolicesimo con i propri valori può dare. Proprio sul terreno laico della ricerca di una sintesi diversa”  p. 229 Un contributo  da affidare ad un lavoro di squadra sulla base del Progetto culturale e nella prospettiva aperta da Giovanni Paolo II che, a differenza di quanto pensa De Rita, ritiene pienamente adeguata a rispondere alle aspettative che la società ha nei confronti della Chiesa. Monsignore Gianfranco Ravasi, dal suo punto di vista di biblista che ha visto rinascere l’interesse, sia dei cattolici sia dei non cristiani, intorno alla sacra scrittura, conviene, nella sostanza, con questa prospettiva configurando l’apporto dei cattolici, in dialettica e non in contrapposizione con la cultura laica, alla costruzione di un modello culturale condiviso.

Egemonia culturale e potere politico

Emerge da queste difese d’ufficio dell’esistenza della cultura cattolica, che la sua valorizzazione, attraverso il Progetto culturale, è finalizzata, più che all’evangelizzazione, alla ricerca di egemonia culturale che diventi potere politico. Si può perciò collocare nel quadro degli sforzi dell’episcopato italiano tesi ad evitare di essere ridotto alla marginalità, al pari di quello francese dopo la fine del partito di “riferimento politico”. Di questi sforzi fa memoria l’onorevole  Pierferdinando Casini con il quale Politi affronta direttamente il tema del valore della scelta di essere un politico cristiano, dopo che la “Chiesa stessa ha scoperto che invece  di battezzare come proprio un singolo partito è molto più vantaggioso prendere pani da più forni politici” p. 247. Tale valore, secondo Casini, consiste proprio nella conservazione di una forte identità culturale all’interno della quale sono possibili diverse opzioni politiche.  Fondare il potere politico su una forte egemonia culturale, aumenta la possibilità d’influenza della Chiesa rispetto al passato, tanto da giustificare ”l’interrogativo se nella Seconda Repubblica sarebbe stato possibile far passare la legge sul divorzio e sull’aborto” p. 252. Questa pluralità di opzioni possibili non indebolisce, a suo avviso, neppure il potere elettorale della gerarchia che, anzi, nel sistema bipolare è rafforzato perché “Un pugno di voti è sufficiente a far pendere in determinate circostanze il piatto della bilancia da una parte o dall’altra. Forse è per questo che si assiste in vari momenti a una corsa del ceto politico per assicurarsi l’appoggio o comunque la benevolenza della Conferenza episcopale” p. 252

Per monsignore Betori, mantenere salda la propria identità è la condizione vincente per la Chiesa ed è funzionale anche alla costruzione dei rapporti con i protestanti, con i musulmani e con l’ebraismo: “dovremmo saper congiungere il coraggio della certezza della fede con la delicatezza di chi sa entrare in dialogo e in comunione con tutti” p. 438.

A tanta disponibilità verso gli altri, a suo avviso, devono corrispondere limiti ben precisi all’interno della comunità cattolica. In essa possono convivere forme di religiosità diversa, “dalla religiosità popolare, che si manifesta nella devozione ai santi o nei pellegrinaggi ai santuari, fino alle forme di spiritualità se vogliamo più bibliche e liturgiche, vicine alle esperienze dei monaci” ma non è tollerabile “un cristianesimo che ingloba al proprio interno  principi religiosamente incompatibili. Su questo bisogna essere chiari” p. 440

Si può leggere nelle sue parole un riferimento al cosiddetto dissenso ecclesiale? Sarebbe l’unico in tutto il viaggio di Politi nel quale, tra le voci critiche, pur rigorosamente riportate; non risuonano quelle che si sono levate dopo il Concilio a rivendicare il diritto dovere per i fedeli d’interloquire liberamente con la gerarchia sul modo di essere chiesa in un tempo in cui l’obbedienza non è più una virtù. Di queste voci nessuna eco: forse per esorcizzarle, forse perché si sono affievolite; forse perché il viaggio era già durato …troppo a lungo. La loro assenza, però, non consente di conoscere le vie intraprese per superare il divario tra chiesa vissuta e chiesa di governo, già emerso nelle diverse tappe ed apparso più chiaro nella conclusiva. Manca il confronto con quanti hanno avuto e hanno il coraggio evangelico di contestare apertamente la riduzione al silenzio degli interlocutori scomodi, e di rivendicare il diritto/dovere di mantenere viva la dialettica fra fedeli e gerarchia. Promuovono, cioè, il dialogo senza censure tra chi la chiesa la vive e chi la governa, nella consapevolezza che la sua indefettibilità, promessa dal fondatore, è affidata al costante integrarsi tra profezia e istituzione. Questa indispensabile, come per tutte le strutture sociali che vivono nella storia, quella essenziale, perché la Chiesa non dimentichi che il Regno è nel mondo senza essere di questo mondo.

 

Roma 12 dicembre 2004