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Comunicato
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Un
pontificato di continuità e senza le riforme che sono indispensabili.
Le riflessioni
critiche di “Noi Siamo Chiesa” a un anno dalla
elezione di Benedetto XVI
Prima del Conclave dell’aprile 2005 “Noi Siamo Chiesa” sperava che le istanze riformatrici del Concilio Vaticano II fossero riprese e rilanciate nella Chiesa cattolica. Dopo la elezione di Benedetto XVI “Noi Siamo Chiesa” è stata in attesa per un anno di segni chiari nella direzione che auspicava ma ora è costretta ad esprimere la sua delusione per un avvio di pontificato in linea di continuità con quello precedente ed esplicitamente polemico con quanti vedevano nel Concilio un segno di svolta nella storia della Chiesa.
Benedetto XVI è poi eurocentrico, disattento ai problemi del Sud del mondo e silenzioso nella denuncia esplicita della guerra in Iraq e di tanti altri crimini ad essa connessi . E’ questo un segno di discontinuità con l’insegnamento di Giovanni Paolo II
L’enciclica Deus caritas est non fa discendere da alte riflessioni alcuna conseguenza per un approccio più fondato sull’accoglienza e la misericordia nei rapporti interni alla Chiesa e nella stessa morale sessuale.
Perché aspettare ancora a percorrere strade nuove ? si chiede “Noi Siamo Chiesa” condividendo l’opinione di Hans Küng che ritiene che l’unica strada percorribile per il Papa è quella del primato pastorale di servizio indicato da Giovanni XXIII.
L’allegato contiene il testo integrale del documento di “Noi Siamo Chiesa”.
“Noi
Siamo Chiesa”
(aderente
all’International Movement We Are Church-IMWAC)
Roma, 18 aprile 2006
Allegato:
Documento di “Noi Siamo Chiesa” sul
primo anno del pontificato di Benedetto XVI
Il movimento internazionale We
Are Church-IMWAC (“Noi Siamo Chiesa”),
fondato a Roma nel 1996, è impegnato nel
rinnovamento della Chiesa Cattolica
sulla base e nello spirito del
Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965). IMWAC è presente in venti nazioni
ed opera in collegamento con movimenti per la riforma della Chiesa cattolica di orientamento simile.
Sito Internet :www.we-are-church.org/it E-mail
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A un anno
dalla elezione di Benedetto XVI . Le riflessioni di “Noi Siamo
Chiesa”
Prima del Conclave dell’aprile 2005 “Noi Siamo Chiesa” cercò di farsi espressione del sentimento
diffuso tra tanti credenti auspicando “una nuova primavera che rendesse più
facile un nuovo e più credibile annuncio del Vangelo di Gesù
all’uomo d’oggi”. Questa speranza si intrecciava con
l’attesa di una svolta nella Chiesa
cattolica che liberasse le tante energie positive e perché venissero
meno le incomprensioni, le rotture e le estraneità che si erano consolidate
negli anni, solo oscurate – ma niente affatto cancellate – dalla personalità e
dalla presenza mediatica di Giovanni Paolo II, e dal
suo così lungo, complesso e contraddittorio pontificato.
A prescindere dalle perplessità suscitate
in noi (come, del resto, in larga parte dell’opinione pubblica cattolica) dalle
ben note posizioni teologiche del card.
Joseph Ratzinger, a noi
sembrò giusto, il 19 aprile 2005, evitare di esprimerci su quello che avrebbe
potuto fare, o non fare, Benedetto XVI, per attuare concretamente il Concilio
Vaticano II. Ma, adesso, trascorso un’anno
dalla sua elezione, ci sembra di poter formulare alcune valutazioni, che
naturalmente sono aperte e in revisione in base a quello che nel prossimo
futuro il pontefice farà.
Seppure provvisorio, il nostro giudizio
nasce sempre da un sentimento vivo e sofferto di appartenenza
alla Chiesa cattolica, e di volontà – per quello che possiamo – di contribuire
a mantenere viva e feconda l’eredità dell’”evento” innescato dall’ardire
profetico di papa Giovanni.
La continuità con Giovanni Paolo II
La continuità con il pontificato
precedente, sia per la personalità e la storia del card.
Ratzinger sia per le tante emozioni suscitate dalla
scomparsa di Giovanni Paolo II, era del tutto prevedibile e ci sembra, fino ad oggi, confermata in gran parte dalle
iniziative e dalle prese di posizione di Benedetto XVI. Evidenti, ci sembra,
sono questi segni: il richiamo esplicito ed insistente all’insegnamento del suo
predecessore e la stessa decisione di assecondare la richiesta di iniziarne
subito il processo di canonizzazione; la conferma di tutte, indistintamente, le
precedenti responsabilità nella Curia (salvo i cambiamenti – in senso
“conservatore”, però – decisi in febbraio e marzo); il richiamo verbale ad una
maggiore collegialità nella gestione della Chiesa non seguito, però, da
decisioni attuative concrete; la celebrazione del
Sinodo dei vescovi di ottobre che, pur concedendo
qualche maggior spazio di dialogo, ha saldamente mantenuto all’organismo il suo
carattere del tutto consultivo; l’insistente riconferma di tutte le vecchie
“ortodossie” precedenti sul ruolo della donna nella Chiesa, sul celibato
obbligatorio del clero latino, sugli omosessuali (con il duro documento di
novembre che vieta la loro ammissione in seminario); la riproposta delle
indulgenze in agosto a Colonia e per i quaranta anni dalla conclusione del
Concilio in dicembre; l’insistente richiamo alla necessità di riscoprire le
“radici cristiane” dell’Europa; la permanente chiusura al rapporto con le aree
critiche presenti nella Chiesa (l’udienza, in settembre, ad Hans
Küng, infatti, non ha aperto un reale dialogo del
Vaticano con il mondo teologico “non ufficiale”).
L’ arretramento
Oltre alle continuità rispetto a prima
(come la conferma della tradizionale posizione sugli anticoncezionali, ribadita in giugno ai vescovi dell’Africa australe, cioè a
rappresentanti di paesi flagellati dall’Aids) ci sembra che ci siano stati
anche degli arretramenti: per esempio la soppressione di fatto del Consiglio
per il dialogo interreligioso o l’appoggio esplicito e ripetuto alla
discutibile linea della Conferenza episcopale Italiana di intervento diretto
nella politica legislativa del nostro paese (referendum sulla legge n. 40,
progetti di legge sui Pacs). Questa presenza più
diretta del papa sulla scena italiana fa crescere inevitabilmente nella cultura
laica comprensibili manifestazioni di anticlericalismo
che poi si trasformano in diffidenza ed ostilità nei confronti dello stesso
messaggio evangelico.
Concilio : la polemica con l’”ermeneutica
della discontinuità”
La linea di “raffreddamento” delle
posizioni innovative del Concilio, che era di Giovanni Paolo II, è stata
direttamente confermata da Benedetto XVI nel suo discorso alla Curia romana, il
22 dicembre. La sua vivace critica all’”ermeneutica della discontinuità” nel
valutare il Vaticano II, interpretazione che, a suo parere, avrebbe causato
solo confusione, non può essere condivisa da chi ha vissuto il Concilio come una riscoperta
delle radici evangeliche della fede e delle sue possibilità di parlare di nuovo
all’uomo d’oggi di ogni
condizione e di ogni latitudine.
E’ vero, d’altra parte, che – nello
stesso discorso – Ratzinger ha sostenuto la piena
legittimità di giudicare il Vaticano II interpretandolo come un “concilio di
riforma”. Parole che appaiono promettenti ma che, però, finora non hanno avuto nessuna
concreta, visibile e indubitabile concretizzazione.
A rendere difficile a Benedetto XVI
l’attuazione di riforme ecclesiali nella direzione indicata dal Concilio è
anche – così, almeno, ci sembra – la scelta da lui fatta di arrivare ad una
pacificazione con i seguaci di mons. Lefebvre. Tutti
sanno, infatti, che i lefebvriani molto difficilmente
accetteranno una realizzazione della collegialità episcopale che ripensi il
ruolo del papato come pensato dal Vaticano I, per
aprirlo alle prospettive aperte nel Vaticano II dalla costituzione sulla Chiesa
Lumen gentium;
o una riforma liturgica che prenda sul serio la partecipazione di tutto il
popolo di Dio alla celebrazione eucaristica. Temiamo che, pur di porre fine
allo scisma dei cattolici tradizionalisti, papa Ratzinger
prosegua con una interpretazione minimalista del Concilio
fino a svuotarlo di molte sue potenzialità teologiche e pastorali.
Discontinuità ed eurocentrismo
Dal
complesso di tutti i suoi numerosi interventi ed atti di governo appare evidente che Benedetto XVI ha un’ottica fortemente eurocentrica o, meglio, attenta soprattutto all’Occidente,
e alle filosofie, culture e dinamiche che in esso si sono sviluppate nel secolo
XX. Benedetto XVI cita, episodicamente, i problemi dei popoli emergenti, e in
generale del Sud del mondo, ma questi non costituiscono l’asse del suo
pensiero; una tale “sottovalutazione” costituisce un elemento di discontinuità
con Giovanni Paolo II il quale, pur respingendo la proposta della teologia
della liberazione di fronte alla fame ed al
sottosviluppo, aveva affrontato con largo respiro i problemi posti dalla globalizzazione e dalla guerra. E’ anche venuta meno,
finora, la denuncia della guerra preventiva
in Iraq che è stata l’ultimo grido profetico di
Giovanni Paolo II. Su di essa è caduto il silenzio.
L’Iraq è solo “nel lutto quotidiano nel corso di questi anni per degli atti
terroristici sanguinosi” (discorso al Corpo diplomatico del 10 gennaio), con
riferimento evidente agli attentati dei kamikaze islamici, mentre i fatti di Falluja, di Abu
Graib e tanti altri – e cioè le gravissime
responsabilità anglo-americane (sostenute anche dal governo italiano) per
l’illegale attacco contro Baghdad, e per le atrocità compiute dagli eserciti
invasori anche contro la popolazione civile -
sono dimenticati. Il linguaggio
ed i silenzi papali sembrano avvicinare la linea del Vaticano a quella degli
USA.
Ancora, appare del tutto assente, negli
interventi di Benedetto XVI, una presa di posizione radicale contro la guerra
e, in positivo, a favore della nonviolenza; a favore
dell’obiezione di coscienza all’esercito, tanto più se esercito invasore; a
favore delle missioni di pace dal basso (che sono la pratica dei movimenti
pacifisti cristiani). E poi, nella sua riflessione generale contenuta nel
messaggio per la giornata della pace del primo gennaio, Papa Ratzinger parla della pace fondata sulla verità piuttosto
che della pace fondata sulla giustizia. Ma la pace, ci sembra, si deve fondare
anzitutto sulla giustizia e quindi sulla tutela e la promozione
di quei diritti umani e sociali di cui parla la prima parte della “Pacem in terris”,
tutti riconosciuti o riconoscibili da differenti storie e culture e da ogni
uomo e da ogni donna di buona volontà,
ateo o agnostico o in ricerca che sia.
Emergono, poi, anche altre contraddizioni
ed incoerenze per quanto riguarda la posizione della Santa Sede in campo
internazionale. Quando, per esempio, il Vaticano chiede un profondo
rinnovamento dell’Onu (nel messaggio per la giornata
della pace) o la promozione dei diritti delle donne in
ogni campo (intervento all’Ecosoc dello scorso marzo)
esso non sembra rendersi conto che bisognerebbe dare il buon esempio e agire
anzitutto perchè la struttura stessa della Chiesa cattolica
sia profondamente riformata per
affrontare adeguatamente i problemi sollevati, soprattutto per quanto riguarda
la pienezza dei diritti della donne all’interno della stessa Chiesa, ed i
problemi di “genere”.
Altri aspetti del pontificato
Ci sono naturalmente altri aspetti del
primo anno di pontificato che possono essere visti in modo positivo
o, almeno, di per sé suscettibili di avere sviluppi che scuotano lo status quo.
Pensiamo, per esempio, all’ipotesi di nuovi rapporti con
La seconda parte dell’enciclica ripropone la tradizionale dottrina sociale della Chiesa ma
si colloca in una dimensione atemporale, al disotto
delle necessità dell’oggi per quanto riguarda la presenza sociale e politica
dei credenti in un mondo in cui i
problemi del rapporto Nord/Sud, del sottosviluppo, delle malattie,
dell’ambiente, dello spreco delle risorse
ecc…. si
stanno aggravando.
Perché aspettare a percorrere strade nuove ?
Insieme a tante e tanti cattolici che, in Italia e nel
mondo, lo sperano, anche “Noi siamo Chiesa” ribadisce un auspicio: è necessario
che nella Chiesa romana si interrompa lo stallo nelle riforme, in atto da oltre
un quarto di secolo, e si intraprenda l’attuazione, purtroppo interrotta, di
quelle profonde modifiche, pastorali e istituzionali, che il Concilio
prospettò, o che, comunque, sono la logica conseguenza delle sue affermazioni
e, soprattutto, del suo “evento”. Perché rammaricarsi in futuro di aver
aspettato ad intraprendere, seguendo la traccia indicataci dal Vaticano II,
strade nuove che saranno comunque, prima o poi,
inevitabili per adempiere al comando evangelico di testimoniare e predicare il
Vangelo ad ogni creatura ? Dopo questo primo anno di pontificato, secondo noi
deludente, vogliamo comunque continuare a sperare; ma
ribadendo, però, che la direzione intrapresa non ci sembra molto promettente.
Essa, infatti, pare voler “razionalizzare” l’esistente, ma non intraprendere
una grande riforma. Naturalmente, se le prossime mosse
di Benedetto XVI, a cominciare dalla riforma della Curia, smentissero il nostro
pessimismo, ne saremmo ben lieti.
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Roma, 18 aprile 2006 “Noi siamo Chiesa”-Italia