ROMA - Un altolà senza sfumature
al cardinale Ruini, se davvero vuole imbrigliare nei precetti della Chiesa la
libertà di decisione politica sui Dico, un tempo noti
come Pacs. Oscar Luigi Scalfaro, presidente emerito della Repubblica e padre
nobile del centrosinistra, non è contrario alla mediazione Bindi-Pollastrini, e
teme la "distruzione" del cattolicesimo parlamentare se la Cei dovesse lanciare diktat a chi riconosce il suo magistero. In
sessant'anni - dice - questo non è mai accaduto. Prima di correre certe
avventure Ruini dovrebbe avviare "un ampio esame" dentro l'assemblea
dei vescovi.
Presidente Scalfaro, il Parlamento aspetta di sapere quale forma assumerà il
"non possumus" di Ruini sulle unioni di fatto. Che
cosa succederebbe se la Cei o il Papa avanzassero richieste
"vincolanti" per i politici cattolici?
"La Chiesa, pure nella fermezza dei suoi principi, non ha mai compiuto in
sessant'anni interventi che ponessero a un bivio
obbligato i parlamentari cattolici. Io confido che interventi del genere non ci
saranno. Se dovessero invece avvenire, distruggerebbero la
possibilità stessa di una presenza dei cattolici in Parlamento in condizioni di
dignità e libertà, quella libertà che consente l'assunzione individuale delle
responsabilità. Ma a chi serve, oggi e domani, un gruppo di parlamentari
che si limitano a eseguire gli ordini? Certo non alla
Chiesa. Sarebbero una inutile pattuglia, e l'effetto
sarebbe una crescita di laicismo esasperato".
Il centrosinistra non drammatizza troppo l'iperattivismo vaticano? E' vero
che è stato l'Avvenire a citare Pio IX, ma dall'altra parte si
invoca il Risorgimento, si tracciano scenari foschi, si ipotizza, come
anche lei fa, il naufragio del cattolicesimo politico. Eppure
gli scontri tra l'etica cattolica e quella laica, condivisi e alimentati dalla
Chiesa, in Parlamento e fuori non sono mancati. Gli anni Settanta, il divorzio,
l'aborto, i referendum. Grandi asprezze, ma alla fine siamo tutti qui, comprese
le leggi soggette ad anatema.
"Vede, io sono nella vita
politica da 61 anni, dalla Costituente. È vero, abbiamo attraversato come
parlamentari cattolici momenti faticosi, difficili, prese di
posizione delicate. Ma già dall'Assemblea costituente fu preminente in tutti la ricerca di un denominatore comune sui temi dei
diritti e della dignità delle persone. Ne nacque un documento d'eccezione, la
Carta, del quale dobbiamo ringraziare i grandi nomi
che resero un tale servizio al popolo italiano: penso, nel mondo cattolico, a
De Gasperi, a La Pira, a Dossetti, più tardi a Aldo Moro e a tantissimi altri
rappresentanti del popolo. Il grande tema per noi
cattolici era fare sintesi fra diritti e doveri del cittadino e diritti e
doveri del cristiano, portare nella politica il pensiero filosofico che anima i
principi cristiani sempre con grande rispetto per le impostazioni altrui.
L'articolo 67 della Costituzione stabilisce che ogni membro del parlamento
rappresenta la nazione e esercita le sue funzioni
senza vincolo di mandato. Al tempo del divorzio e dell'aborto, che lei cita, in
entrambi i casi il partito mi diede incarico di
parlare ufficialmente a nome del gruppo democristiano. Non dimentico, e ne
ringrazio la Provvidenza, che nell'uno e nell'altro caso ebbi ascolto ampio,
proprio dagli avversari politici: non condivido le tue tesi - mi fu detto - ma
apprezzo lo sforzo di dialogare. Dopo la sconfitta sul divorzio qualcuno in assoluta
buona fede sostenne che non potevamo collaborare a formulare gli articoli della
legge perché così facendo avremmo aiutato un istituto che contestavamo. Ma
giustamente vinse la tesi che quando cade l'affermazione di un principio rimane sempre il dovere di lottare per il male minore".
Insomma, lei sostiene che la capacità di ascolto
reciproca non è venuta mai meno, nemmeno quando lo scontro era al massimo della
tensione.
"Non solo. C'è anche un altro insegnamento. La chiarezza delle posizioni
della Chiesa, e il risultato del referendum che diede ragione alle tesi
contrarie a quelle sostenute da noi cattolici, non impedirono che tanti
cattolici si servissero poi dell'istituto del divorzio. Ne è
prova che da anni all'interno della gerarchia ecclesiastica si discute
sull'ammissibilità dei divorziati ai sacramenti".
L'invito al pragmatismo, per tornare a Ruini, onestamente oggi non sembra
avere grandi chance. La grandinata vaticana - da Avvenire a Sir,
dall'Osservatore allo stesso Ratzinger - non lascia grandi margini alla
mediazione.
"La profonda devozione e ubbidienza alla chiesa madre e maestra - e mi
piace ricordare che fu la saggezza di Giovanni XXIII, oggi beato, a dare nella
sua enciclica questa preminenza alla maternità della Chiesa - mi fa confidare
che il richiamo che è stato annunziato, e che manifesta un diritto e anche un
dovere della Chiesa di dire il suo pensiero, non abbia la forma di una imposizione".
Il fronte dei sessanta parlamentari della Margherita che difendono i Dico non ha un gran futuro, se l'intervento di Ruini dovesse
trasformarsi in un vero e proprio precetto. Non crede?
"Un atteggiamento rigido della Chiesa sfascerebbe tutto. Ne sono
convinto".
Lei, pur da senatore a vita, è un uomo del centrosinistra: quale potrebbe
essere una contromisura per far prevalere la moderazione?
"Posizioni da parte della Chiesa che portassero a conseguenze tanto
pesanti, così come non si sono verificate neanche quando furono
compromessi l'indissolubilità del matrimonio e il diritto alla vita, richiederebbero
a mio avviso un ampio esame nell'Assemblea dei vescovi italiani, la Cei".
Nel merito della legge, come giudica la soluzione Dico "inventata"
da Bindi e Pollastrini?
"Mi piace ricordare che quando il presidente del
consiglio Romano Prodi annunziò nella formulazione del programma il
desiderio di riconoscere dei diritti e dei doveri a ciascun cittadino, affermò
espressamente che con quel programma prendeva l'impegno di non toccare o
turbare l'istituto del matrimonio così come previsto dalla Costituzione. Mi
pare giusto non fare processi alle intenzioni. Le proposte di legge che sono
state presentate da posizioni a mio avviso non accettabili
sono giunte con non poca fatica (quanto intensa quella del ministro Bindi!), in
questo necessario dialogo tra impostazioni diverse, a un testo che come tutti i
testi è indubbiamente migliorabile ma che certamente non prevede - per essere
chiari - il matrimonio fra gli omosessuali o una formula mascherata ma simile.
Si tratta di dare eventuali, maggiori garanzie? Se ne può discutere, rimanendo
chiaro un punto: se al dunque si fosse richiesti di un
voto esplicito che preveda di fatto il matrimonio per gli omosessuali, allora,
senza bisogno di disturbare la dottrina della chiesa cattolica, è chiaro che un
voto a favore non si può dare perché in contrasto con una realtà di storia
dell'umanità, che prevede per il matrimonio un maschio e una femmina".
Il matrimonio gay, per la verità, sembra essere un simbolo e uno
spauracchio, anche se di prima fila. Quel che la Chiesa sembra temere nella
sostanza è che il riconoscimento delle unioni civili, innanzitutto
eterosessuali, sgretoli la famiglia "naturale" su cui si fonda la sua
dottrina.
"È vero, c'è chi obietta che aprendo una seconda strada
si dà ai cittadini con troppa facilità la possibilità di un'altra scelta. La
preoccupazione della Chiesa è più che condivisibile. Ma
il problema vero è rafforzare nei cattolici la fede, in modo che sappiano
scegliere secondo i principi nei quali credono. Più che allo Stato, al quale si
chiede di impedire una duplice strada che consentirebbe gli abusi, il tema è
affidato alla evangelizzazione e alla formazione dei
fedeli. Lo Stato deve pensare a tutti e, pur non tramutando speranze, desideri
e sogni in diritti deve, se esistano basi certe per
individuare quei diritti, riconoscerli dove e quando ci sono".
(Republica , 15
febbraio 2007)