È MORTO PIETRO SCOPPOLA,
CATTOLICO ADULTO, DEMOCRATICO OSTINATO
34112. ROMA-ADISTA. Forse l’immagine più efficace per
raccontare l’esperienza ecclesiale e politica di Pietro Scoppola,
figura di spicco del cattolicesimo democratico, spentosi lo scorso 25 ottobre a
Roma all’età di 81 anni, è quella che in un suo recente libro Domenico Rosati ha utilizzato
per descrivere il proprio difficile periodo alla presidenza delle Acli: Rosati parla della necessità di
"serpeggiare" dentro un contesto che,
soprattutto all’interno della Chiesa, presentava equilibri assai delicati,
cercando di mantenere salva da una parte l’autonomia di giudizio e di critica
propria del "cristiano adulto" formatosi nella temperie conciliare;
dall’altra la fedeltà della sua associazione ai vescovi ed al papa.
Per
Scoppola questa "strettoia" difficile da percorrere ha avuto come
riferimenti costanti le due grandi "istituzioni" con cui tutta la cultura cattolico democratica del Paese ha dovuto
fare i conti dal dopoguerra fino ad anni recenti: la Chiesa e la Democrazia
Cristiana. Con esse Scoppola ha sempre discusso, a volte polemizzato, ma sempre
nella prospettiva di chi si sente comunque
all’interno, di chi – nonostante tutto – non intende rinunciare a riformare
l’esistente. Anche per questo, e in virtù del grande
magistero intellettuale e morale che esercitava nel mondo cattolico
democratico, rimase voce autorevole dentro la Chiesa e
nel cattolicesimo politico istituzionale.
Scoppola,
professore ordinario di Storia contemporanea nella Facoltà di Scienze Politiche
dell’Università di Roma (dopo aver insegnato Storia
del Risorgimento, Storia dei partiti e Storia dei rapporti tra Stato e Chiesa)
e storico del movimento cattolico, ha sempre mantenuto intatto il difficile
equilibrio tra consenso e dissenso, adesione e contestazione. L’unica eccezione
è forse il 1974, quando Scoppola - insieme a tutta una generazione di intellettuali e militanti cattolici - si schierò a favore
della legge sul divorzio, in dissenso dalla posizione ufficiale della Chiesa e
della Democrazia Cristiana. Fu infatti tra i 92
intellettuali cattolici (c’erano, tra gli altri, Francesco Traniello, Ettore Passerin
d’Entrèves, Luigi Pedrazzi, Paolo Brezzi,
Giuseppe
Alberigo, Pierre Carniti,
Emilio Gabaglio, Sandro Magister,
Luigi
Macario, Ettore Masina, Giancarlo Zizola,
Ruggero Orfei) che sottoscrissero, nella sede di Adista,
l’appello per il No al referendum abrogativo della legge Fortuna, in vigore dal
1970. La sua posizione suscitò per anni il sospetto e l’ostracismo da parte di alcuni settori della gerarchia ecclesiastica. Uno strappo
ricucito parzialmente alcuni anni dopo, quando Scoppola si schierò con nettezza
contro la legge 194 (1978), che legalizzava l’aborto nel nostro Paese e a
favore del referendum abrogativo (1981). Negli anni ‘80, Scoppola comprese
l’involuzione che il pontificato di Wojtyla
aveva subito rispetto alla Chiesa conciliare, e - seppure il suo giudizio su
Giovanni Paolo II rimase sostanzialmente positivo - ne
sottolineò la frenata sul terreno del confronto con la modernità. Ritenne
(giugno 2002) che la Chiesa di Pio XII non avesse fatto
abbastanza per contrastare il nazismo, ma – disse – se "l'atteggiamento
profetico della Chiesa non ci fu" e la Chiesa "non condannò
apertamente" il totalitarismo di Hitler, ciò
"non fu mai dettato da interessi personali o di potere", quanto dalla
convinzione di scegliere la via più utile alla salvezza di centinaia di
migliaia di vite. Diede (ottobre 2006) un giudizio largamente positivo del IV Convegno della Chiesa italiana a Verona.
Anche nel giudizio su papa Ratzinger Scoppola
ha evitato critiche dirette e toni aspri, tentando di sottolineare
gli aspetti più controversi e problematici dell’azione del pontefice. Come
quando, in occasione del 50.mo anniversario della firma dei Trattati di Roma (marzo 2007), Ratzinger
parlò di un’Europa che rischiava l’"apostasia da se stessa". Scoppola
scrisse (Repubblica, 25/2) che era necessario che il richiamo
ai valori fondanti dell'Europa superasse "ogni nominalismo" per
misurarsi su "una severa visione critica". Della storia europea
anzitutto, "se è vero che avevano nomi cristiani le navi negriere che
trasportavano gli schiavi neri, strappati alle loro terre per essere
trasportati nel nuovo mondo e costretti al lavoro
forzato; se è vero che nel nome delle diverse appartenenze cristiane gli
europei si sono a lungo perseguitati e mandati al rogo". Ecco perché, secondo Scoppola, il discorso del papa, e in particolare il
richiamo alla dignità dell'uomo, deve essere "premessa e condizione di
dialogo con tutte le culture che si riconoscono in questi diritti e non sia
invece, come spesso è avvenuto in passato, rivendicazione da parte della Chiesa
di una lettura in qualche modo privilegiata e garantita della natura umana e
dei suoi valori".
Nel
convegno organizzato a Roma da Adista nel febbraio
2006 su Chiesa, mafia e legalità (v. Adista n.
26/2006), Scoppola denunciò la nascita di un nuovo "gentilonismo",
di un rapporto della gerarchia in presa diretta con gli affari della politica,
che privilegia il rapporto con posizioni di potere ‘disponibili’, smentendo il Concilio e la laicità della
mediazione culturale del laicato. Era il periodo del non expedit
di Ruini per invitare l’elettorato a boicottare il referendum abrogativo della legge 40 sulla fecondazione
assistita. Lo storico sostenne allora che era quanto mai urgente che il laicato
tornasse ad organizzarsi in modo unitario, per fare da contrappeso alla
restaurazione politica e religiosa, alla deriva verso una presenza diretta
della Chiesa in politica di tipo autoritario.
Anche con il quotidiano dei vescovi Avvenire i
rapporti non sono stati facili. Soprattutto da quando alla
direzione del quotidiano della Cei è arrivato Dino Boffo, fedelissimo del card.
Ruini. Per un cattolico democratico come
Scoppola gli spazi di intervento si sono
progressivamente chiusi, e lo storico se ne era lamentato pubblicamente. Nel
2004, all’epoca della bocciatura di Buttiglione
alla Commissione europea, nel momento in cui il filosofo ciellino
gridava allo scandalo ed al complotto anticlericale, con la Cei
di Ruini a dargli fiato e sostegno, Scoppola - su Repubblica
(10/11/2004) - disse che trovava "del tutto irrealistica,
priva di ogni fondamento, l'idea di un'offensiva anticattolica, di un revival
di anticlericalismo" e che notava piuttosto una deriva ‘clerico-fascista’ tra i cattolici italiani. Puntuale arrivò
su Avvenire
la replica di Boffo con ben due pagine di Agorà e due successivi articoli di fondo in cui il
direttore del quotidiano della Cei parlò di un testo
che lasciava "senza fiato", perché offriva un alibi "a quella
parte della cultura laica che già di suo leggiadramente minimizza su quanto
accade al di fuori dei propri schemi". Boffo
ipotizzava che lo storico cattolico fosse vittima di "un’ossessione
autolesionista": preso a tal punto dal "dilemma Berlusconi-Prodi",
Scoppola, secondo Boffo, non sarebbe stato in grado di "delucidare con la dovuta accortezza
i rischi che tutti corriamo, e che ammorbano l'ambiente comune".
Recentemente
(Repubblica,
9 febbraio 2007) giudicò non felice la scelta del Non possumus
di Pio IX, da parte di Avvenire, "come bandiera
di intransigenza sulla questione dei Pacs": "Le
convivenze ci sono e si diffondono; il legislatore non può ignorarle; sono un
problema su cui anche la Chiesa dovrebbe riflettere a fondo, per comprenderne
le ragioni e cercare le giuste risposte pastorali".
Dentro
la Dc la
parabola politica di Scoppola fu spesso caratterizzata da posizioni minoritarie
e da momenti di forte dissenso; ma dalla Balena Bianca Scoppola non uscì mai.
Nel 1960 era stato tra i 61 intellettuali (con Beniamino Andreatta, Leopoldo Elia,
Giovanni
Getto, Siro Lombardini, Alberto Monticone, Ettore Passerin d'Entrèves),
che sottoscrissero l’appello contro le tentazioni
autoritarie e la collaborazione con i neofascisti del governo Tambroni. Dopo il referendum sul divorzio è tra i
promotori della Lega Democratica, con Andreatta, Prodi, Ruffilli, Paola Gaiotti
(dal 1974 al 1978 è anche capo redattore della rivista de Il Mulino).
Proprio quell’anno si verifica
l’avanzata elettorale del Partito Comunista Italiano nelle elezioni
amministrative; l’anno successivo, nelle elezioni politiche, diversi esponenti
di rilievo del mondo cattolico, tra cui Paolo Brezzi,
Mario Gozzini, Raniero La Valle, Piero Pratesi – vengono eletti come indipendenti
nelle liste comuniste. Scoppola e le Lega Democratica
scelgono (pure vivendo una forte dialettica interna) un’altra strada. E puntano sul rinnovamento della Dc
di Zaccagnini e Moro. Ma la tragica vicenda del
delitto Moro e la conclusione dell’esperienza dei governi di unità
nazionale portano la Dc su una strada lontanissima
rispetto agli auspici della Lega. Nel 1980 Scoppola divenne allora l’animatore
di un’assemblea degli "esterni", che dovevano rappresentare, nella
concezione dello storico, il rovesciamento del partito di apparati
a favore del partito "aperto". Ma
l’iniziativa non produsse i frutti sperati. Iniziarono piuttosto gli anni della
riscossa della destra del partito e dell’ingresso dei ciellini nei gangli del potere democristiano. Scoppola fu
tra i critici del nuovo corso e divenne uno dei bersagli preferiti, insieme ad altri cattolici democratici come Lazzati
e Monticone, degli strali del movimento di don Giussani. Nonostante le crescenti tensioni col partito, tra
l’‘83 e l’‘87, Scoppola fu senatore della Dc. Nel gennaio 1988, dopo che Andrea Riccardi fu nominato alla cattedra di
Storia del cristianesimo all’Università romana "La Sapienza" (vedi Adista n. 3/88) con il sostegno di Scoppola, il settimanale
ciellino II Sabato sferrò contro Scoppola un
attacco durissimo, dipingendo lo storico cattolico (v. Adista
n. 4/88) come uno che, d’intesa con il rettore di area
comunista, e con raccomandazioni ecclesiastiche, aveva trafficato a favore di
pupilli incompetenti, con l’intento di promuovere "un progetto culturale e
didattico di matrice marxista e anticristiana", e di assecondare una
fantomatica ‘corrosione protestante’ del
cattolicesimo italiano. Immaginando sempre di poterne, se non guidare,
influenzare i processi politici, Scoppola rimase dentro la Dc
fino all’epilogo di Tangentopoli. Sostenne allora con forza il referendum che
introdusse il sistema elettorale maggioritario (1993), si disse convinto
dell’esigenza del bipolarismo (senza però mai negare le ragioni
dell’antifascismo come elemento portante della vita repubblicana). Aderì poi al
progetto di Alleanza Democratica, che nel 1994 si
schierò nel cartello elettorale dei Progressisti, mentre successivamente si
avvicinò ai Popolari ed alla Margherita. Tra i primi a sostenere il progetto
dell’Ulivo fu, nei mesi scorsi, tra i 12 "saggi" chiamati a stilare
il manifesto del Partito Democratico, anche se si espresse in modo critico sul
processo – giudicato troppo verticistico
– che stava portando alla sua fondazione. (valerio gigante)