“Faenza è ancora
un’isola felice”
FAENZA
- Mons. Claudio Stagni presiede la diocesi di Faenza
- Modigliana da poco più di un anno. La sua biografia
parla di una lunga esperienza curiale a Bologna durante
l’episcopato del Cardinale Giacomo Biffi. Gli anni a contatto con colui che in passato è stato il faro dell’anima
conservatrice del clero italiano hanno certamente formato il Vescovo di Faenza,
che resta ancorato ad un cattolicesimo orgoglioso di non scendere a patti con
quelle che si considerano essere le derive della modernità. Un orientamento
criticato da non poche persone nel panorama ecclesiale in Italia come
all’estero dove, in virtù della minor incidenza nella vita sociale dello Stato
vaticano, sono più pressanti le istanze di riforma
della Chiesa cattolica. Consapevole di ciò, Mons.
Stagni, va dritto per la sua strada senza preoccuparsi delle eventuali
critiche.
Eccellenza, tenendo
conto del fatto che è vescovo di Faenza da poco tempo, qual è il suo giudizio
sul sentimento religioso dei faentini?
“Faenza è una
cittadina, che ha un tasso di religiosità superiore alla media regionale. Si
pensi che, quando mi sono recato all’inaugurazione della Cantina Intesa a Cotignola, al momento della benedizione, ho
visto, con immenso piacere, che il popolo presente si faceva il segno
della croce. Una cosa del genere a Bologna non sarebbe mai accaduta. A conti fatti, è ancora un’isola quasi felice, anche se le cose
stanno cambiando pure da queste parti. Vero è che resta una comunità più
legata ad uno spirito di conservazione, ma è apprezzabile anche una certa
vivacità soprattutto tenendo conto dell’attività delle associazioni cittadine”.
Anche a Faenza c’è una
buona presenza di persone di religione islamica. Qual è il rapporto tra la
comunità cristiana locale e la corrispettiva entità musulmana?
“Non esiste una
comunità islamica organizzata. Gli islamici nella nostra città sono distinti in
diversi gruppi, che tengono conto del tipo di Islam di
appartenenza e della terra di origine. L’unico rapporto evidenziabile è quello
tra costoro e le nostre parrocchie, che svolgono attività di assistenza
nei confronti di tutte le persone al di là del credo religioso. In ogni caso ci
si incomincia a domandare se non sia opportuno operare
un’attività di evangelizzazione anche verso gli islamici che bussano alle
nostre chiese. Credo però che condotte simili, ai giorni
nostri, potrebbero essere mal interpretate. Inoltre
dobbiamo tenere presente che ci troviamo di fronte a persone, le quali non
hanno alcuna voglia di ascoltare. Per essere precisi,
aggiungo che a fatica percepiscono di essere in presenza di un luogo di fede.
La parrocchia per loro resta fondamentalmente un centro di assistenza”.
Ci sono stati dei
battesimi di musulmani in città?
“Devo dire che
abbiamo avuto qualche caso. Si tratta di persone per lo più di
etnia albanese; se fossero di altri paesi, a volte non se ne potrebbe
nemmeno parlare, perché queste persone, tanto per evidenziare a che livelli
siamo, possono rischiare addirittura la vita”.
Eccellenza, fin dove
si può spingere il dialogo interreligioso tra islamici e cristiani, tra due
delle tre religioni abramitiche?
“Partirei dalla
lettura dell’Islam e del cristianesimo quali religioni abramitiche.
Si tratta di un modo di dire di comodo, che può fare
della confusione. Il Dio di Abramo della religione
islamica è solo parente del Dio rivelato da Gesù
Cristo. In tema di dialogo invece è opportuno, come ha anche ricordato Papa
Benedetto XVI a Colonia, partire dal rispetto reciproco. In tal senso devo dire
che i cristiani hanno fatto molto in quest’ultimo
periodo. Noi ammiriamo queste persone, che pregano cinque volte al giorno, cosa purtroppo sconosciuta al cattolico comune.
Essi vivono la religione non solo come fatto di
coscienza, ma anche con rilevanza pubblica; nella nostra ottica i campi sono
ben distinti, ma è anche vero che la religione ha conseguenze nella vita
pubblica. Allo stesso tempo però si deve sottolineare
come non ci sia, dall’altra parte, alcuna volontà di conoscere il
cristianesimo, di venire a comprendere le stesse usanze dei Paesi ospitanti. Eppure il primo passo verso un dialogo costruttivo dovrebbe
essere percorso da chi arriva e non da chi già è presente sul territorio”.
Voltando pagina, nel
1999 a Milano si svolse un convegno organizzato dal movimento cattolico Noi siamo chiesa dal titolo “Le persone omosessuali nella
chiesa: problemi, percorsi e prospettive” dal quale, fra l’altro, ha avuto
origine anche un libro sulla questione curato sempre dalla stessa associazione.
Traendo spunto da questo incontro unico nel suo genere
nella storia recente della chiesa italiana, è preclusa la cristianità ad una
persona, che ha queste tendenze?
“Attenendomi ai
documenti ufficiali non condanno la persona omosessuale in
quanto tale. La colpa non è nell’avere certe tendenze, ma è nel volere
attuare quelle che sono pratiche contrarie ai disegni di Dio. E’ la stessa cosa
di colui che avverte il desiderio di andare con tutte
le donne e vuole sentirsi legittimato a mettere in pratica ciò che non è
naturalmente lecito. Inoltre viviamo una stagione in
cui l’ideologia dominante ci vuol far credere che sia normale l’omosessualità,
la poligamia e tutte le nuove derive dei tempi moderni. Mi sembra che si stia
rivivendo la situazione del Basso Romano Impero, quando anche l’omosessualità
era praticata in modo diffuso; poi la storia è andata come sappiamo”.
Quindi lei ha un giudizio
critico rispetto al convegno del 1999?
“Non conosco nello specifico quell’incontro
e non credo che debba saperne di più. Le dico solo che questa ’brava gente’, che dice di essere Chiesa,
forse sarà anche Chiesa ma non lo so. Sentendo queste persone il matrimonio può essere solubile o indissolubile tanto è lo stesso, la
sessualità va bene in ogni sua forma, il sacerdozio aperto anche alle donne.
Diciamo che a sentire loro la Chiesa cattolica può dare forfait, affittare il
Vaticano ai musulmani e andare a vendere frigoriferi in Alaska”.
Giovanni Panettiere CORRIERE
ROMAGNA 18/09/05
www.corriereromagna.it