L'uomo planetario Padre Ernesto Balducci a dieci anni dalla morte ( di Marcello Vigli su "Liberazione del 25 aprile 2002)
L'uomo planetario Marcello Vigli A dieci anni dalla morte di Ernesto Balducci, La Fondazione, che ne ha raccolto l'eredità culturale, ha avviato una riflessione a livello nazionale e internazionale che si articolerà con una serie d'iniziative sul suo pensiero e sui momenti significativi della sua vita nel contesto della storia sociale ed ecclesiale del nostro Paese. Una riflessione lunga un anno per dar conto della vita di un prete che ha maturato in modo originale la sua esperienza di cristiano sempre sulla frontiera dell'istituzione ecclesiastica. Quel confine tracciato da chi crede di poter racchiudere la Chiesa universale nell'angustia di un "regno di questo mondo", e pretende di sapere chi, dei seguaci del Gesù di Nazareth che l'ha fondata, è "dentro" e chi è "fuori". Non ha mai lasciato il suo ordine religioso dei Padri Scolopi, nel quale si era formato, né mai sono riusciti a cacciarlo nonostante fossero in molti a chiederne, in diversi momenti della sua vita, il suo allontanamento perché era troppo attento e pronto ad affacciarsi oltre quella frontiera. Ad aprirsi ai nuovi interrogativi che una società in accelerata evoluzione poneva ai cristiani e per i quali l'istituzione non aveva risposte. Ha continuato a farlo fino alla fine anche dopo aver visto cadere l'illusione nutrita sugli esiti del Concilio ecumenico Vaticano II. Aveva creduto che con esso la Chiesa si fosse riconciliata con il mondo ritrovando il suo posto tra i soggetti che ne costruiscono la storia. In verità la spinta conciliare era stata ridotta ad un aggiornamento teologico e istituzionale. Dal rifiuto della "restaurazione aggiornata" avviata da Paolo VI prese le mosse la stagione del "dissenso". Dai suoi rapporti con esso si può trarre un contributo per cogliere l'originalità dell'esperienza di Balducci, che nel 1969 si trovò coinvolto a Firenze nell'esplosione del caso dell'Isolotto. "In questo momento il bello è che le cose stanno nascendo e quando stanno nascendo non si sa come vanno a finire" disse nel suo ultimo intervento al termine dell'assemblea all'Isolotto nell'agosto 1969 nell'abbandonare il ruolo di mediazione, che aveva tentato di svolgere fra la comunità e il vescovo. Si arrendeva all'evidenza della rottura, ma restava attento a quanto stava nascendo, perché era in sintonia con esso. Con il "dissenso" da cui erano nate le Comunità cristiane di base avrebbe avuto occasione di ritrovarsi. Fu nel 1987 quando in un'affollatissima sala dei Cinquecento a Palazzo Vecchio - discutendo con Küng, Ingrao e Menapace su "La violenza del sacro nella vita quotidiana" a conclusione dell'ottavo convegno nazionale delle Comunità di base - riaffermava che "il cristianesimo in quanto fede profetico-messianica è un annuncio e un'esperienza di liberazione dell'uomo da ogni forma di alienazione di sudditanza della forza, e quindi è una profezia e un'esperienza di pace. Le comunità di base sono comunità di pace nel senso forte della parola, che mirano ad esorcizzare la violenza che si annida anche nei nostri riti per inventare una forma di mediazione del messaggio evangelico del tutto libero dalle categorie sacrali". La sintonia tornava esplicita perché nella scoperta della pace come condizione indispensabile per costruire "l'uomo planetario" aveva, infatti, trovato il suo modo di abbattere ogni frontiera riconoscendo che "la fine del sacro è la fine della cultura della guerra". Lo confermerà tre anni dopo scrivendo nell'ultima pagina del suo L'uomo planetario: "Chi ancora si professa ateo, o marxista, o laico e ha bisogno di un cristiano per completare la serie delle rappresentanze sul proscenio della cultura, non mi cerchi: Io non sono che un uomo".
Marcello Vigli ( su "Liberazione" del 25 aprile 2002) |