“Che fine hanno fatto i cattolici democratici ?”  Intervento di Vittorio Bellavite, portavoce di “Noi Siamo Chiesa” sul n. 4/2007 di Micromega

             Accolgo molto volentieri l’invito di Micromega perché le domande che pone Mauro Pesce sono le stesse che da tempo mi faccio, anche come coordinatore di “Noi Siamo Chiesa”, movimento per la riforma della Chiesa cattolica che si richiama al Concilio Vaticano II. E’ importante che questi interrogativi siano posti da una pubblicazione di area laica. Intervengo in modo necessariamente  schematico e soprattutto in relazione ai punti 4 e 6 che constatano la debolezza del cattolicesimo democratico oggi  e che si chiedono cosa si potrebbe fare.

La società è cambiata

            Ma   perché esiste questa difficoltà del cattolicesimo conciliare ? Bisogna tenere ben presente che il rinnovamento nella Chiesa andò di pari passo con una stagione di grandi fermenti sociali, quelli del decennio ’68-’78, che condizionarono il tessuto stesso del mondo cattolico. Grandi organizzazioni come le Acli e la Cisl  furono protagoniste di grandi tentativi come quello della rottura dell’unità politica dei cattolici e della proposta  dell’unità sindacale che rispondevano a una sensibilità di aree abbastanza larghe di quella parte del mondo del lavoro che si rifaceva alla Chiesa. Nelle fabbriche, nelle scuole, nei quartieri, anche in famiglia i nuovi modi di concepire i rapporti personali e sociali influenzarono tutti, i credenti come i comunisti ed i “laici”. Ora questa fase è terminata da molto ed il clima è pesante per tutti. La forza dei movimenti, anche di quelli del dissenso cattolico,  sta nella loro creatività e radicalità ed nel loro rapporto con la società, la loro debolezza sta nella difficoltà di stabilizzarsi nel tempo. Allora riprendono vigore le burocrazie gli apparati, i conformismi, la sfiducia. Ciò a maggior ragione vale per una struttura molto organizzata e gerarchica come quella della Chiesa

Il Papa polacco 

            Nella cultura laica si fa ancora fatica a comprendere quanto abbia pesato sul cattolicesimo italiano Papa Wojtyla; di esso si vede soprattutto il ruolo mediatico ed il suo protagonismo sullo scenario del mondo e non il ruolo all’interno della Chiesa Questione principale : la nomina dei vescovi fatta a senso unico per tanti anni. Prima le nomine dei vescovi tenevano conto delle capacità, ora il criterio largamente prevalente è quello della fedeltà all’istituzione ed a Roma. Poi gli interventi al Convegno della Chiesa italiana di Loreto del ’85 che hanno spostato gli equilibri dalla linea della “mediazione” ( che era quella dei cattolici democratici) a quella della presenza ( che è quella dei movimenti), le nomine alla CEI (Ruini),  il ruolo e la persona del Papa enfatizzata oltre misura anche dai media laici, il rifiuto  di meccanismi di collegialità che erano stati proposti al Convegno di Roma del ’76, gli interventi sulle facoltà di teologia  ed altro ancora  hanno avuto conseguenze ben più dirette nel nostro paese che in qualsiasi altro. Basta avere rapporti col mondo cattolico in Europa ed in America latina per accorgersene in modo immediato. La ricerca  dell’identità cristiana ha favorito la crescita dei movimenti, le logiche gerarchiche, il rifiuto del dialogo, all’ombra di un c.d. spirito di “comunione” contrapposto a uno spirito “democratico”, considerato, a torto, poco evangelico.

Il nuovo Concordato

            Non si parla più (se mai se ne parlò in passato) delle conseguenze che ha avuto sulla struttura del mondo cattolico italiano il nuovo Concordato Craxi-Casaroli. Con esso i rapporti Stato-Chiesa sono stati depurati da normative che erano già decadute di fatto, sono stati modernizzati, resi più efficienti, e soprattutto hanno permesso di giocare l’immagine di un nuovo corso più liberal  e di permettere contemporaneamente un  maggiore e progressivo intreccio con  le istituzioni della Repubblica, anche con quelle locali.  Dall’inizio degli anni ’90 la CEI ha potuto disporre di risorse sempre più consistenti provenienti da quel  finanziamento pubblico camuffato che è costituito dall’ottopermille  (ora esse ammontano a quasi un miliardo annuo, in quindici anni il loro ammontare si è quintuplicato). Prima le risorse della cosiddetta “congrua” ed i beni patrimoniali erano gestiti in gran parte  a livello locale (dai singoli parroci ). Ora passa tutto dalla CEI (e parzialmente dalla struttura diocesana). Ciò ha permesso una forte politica della spesa (stampa, convegni, televisione, distribuzione di risorse in periferia ecc….) senza il dovere di grandi rendiconti e in assenza (colpevole) di un controllo, di metodo e di merito, da parte dell’opinione pubblica interna alla Chiesa. Queste nuove ingenti risorse sono gestite  in modo gerarchico e spesso autoritario soprattutto a livello della Presidenza della CEI e poi anche a livello episcopale. Il sistema  si è irrobustito molto  rispetto a quello dei tempi di Paolo VI. E’ inutile dire che la linea pastorale vincente ha avuto a disposizione possibilità che sono state negate quasi sempre alle posizioni diverse.

            Se si parte dalla constatazione di quanto abbia pesato questo nuovo potere nella Chiesa italiana, si capisce bene  quanto sia stata resa difficile la vita alle aree “conciliari”. Mi sembra opportuno, a questo proposito,  parlare con schiettezza delle responsabilità politiche e culturali che hanno portato o favorito questa situazione. Mi riferisco, in particolare, a quelle di parte “laica”, essendo ben evidenti le altre, quelle che rifiutano il superamento del sistema concordatario contenuto nel cap. 76 della Costituzione conciliare Gaudium et Spes. Negli anni ’84-’85, quando si firmarono  il Concordato e le successive Intese sull’ora di religione e l’ottopermille, l’accordo passò col semiunanimismo della cultura e della politica laica e di sinistra. Ad opporsi vivacemente furono tutti i cattolici eredi dell’area del dissenso e del postconcilio.  In Parlamento furono solo minoranze come i radicali, Democrazia Proletaria e la Sinistra Indipendente, che, eletta coi voti del PCI, era composta in grande prevalenza di cattolici. Essi  testimoniarono  la loro indipendenza di giudizio e la loro fedeltà ad una posizione anticoncordataria, minoritaria ma  sempre esistita nel mondo cattolico. In un documento (spero che  Micromega possa riprenderlo) firmato da tutti gli esponenti più rappresentativi dell’area conciliare in occasione del dibattito in Parlamento, si legge che le scelte fatte sono “contrarie alla più genuina ispirazione conciliare ed alle aspettative diffuse tra i cristiani per una Chiesa credibile e povera, sostenuta dalla fede e libera di predicare e praticare la pace fondata sulla giustizia e sulla libertà”. Scorrendo   i firmatari di questo testo leggo tutti i nomi che sono  espressione, ancora attiva, dell’area critica della Chiesa italiana.

La situazione è complessa

            Ma allora, mi chiedo, dopo tutto ciò,  la nostra voce è solo debole, di testimonianza, ininfluente sullo scenario pubblico e culturale ? Si può anche rispondere che sì , che il ruolo dei cattolici di ispirazione “diversa” è del tutto ai margini, fuori gioco. Però la situazione è più complessa, anche se essa non appare tale nelle sedi dove appaiono solo i grandi eventi, le “emergenze etiche”, gestite in modo spregiudicato dalla Presidenza della CEI,  che diventano protagoniste in una situazione politica fragile. Anzitutto bisogna tenere presente che alcune questioni su  cui si concentrò il conflitto nella Chiesa negli anni ’70 sono state risolte nella linea appoggiata dai cattolici democratici. Sulla scena politica e civile l’unità politica dei cattolici è finita e non si ricostituirà più, nonostante i tentativi, a volte patetici, di farla rinascere in forme nascoste o bizzarre. Sulla questione del divorzio e dell’interruzione volontaria della gravidanza la legge si è laicamente affermata, rimanendo sempre la riserva per tutti di proporre e di praticare i valori della vita e della solidità della famiglia, come sempre sostennero i cattolici  che difesero queste leggi. Per quanto riguarda la Chiesa alcune tematiche tipicamente conciliari e censurati negli anni ’50 sono passate. Penso, per esempio, a un atteggiamento diverso sui rapporti con le altre chiese cristiane, sull’antisemitismo, sulla lettura della Bibbia. Su altre, la situazione è ferma o è arretrata e la nostra voce è per ora inascoltata. Su alcune questioni, in particolare, si sta ampliando la separazione tra il sentire diffuso del credente singolo e del cittadino e la linea ufficiale. Li elenco : la disciplina interna alla Chiesa, rigida ed escludente  nei fatti chi non appartiene all’ordine clericale, la mancanza di ascolto del sensus fidelium, gli esclusi (divorziati risposati, omosessuali), i sacramenti (la rigidità della celebrazione eucaristica, la mediocrità delle omelie, la confessione auricolare), i ministeri (clero obbligatoriamente celibatario, esclusione della donna anche da ruoli  iniziali come il diaconato) sobrietà e trasparenza nella gestione dei beni, laicità in politica (affermata a parole ma contraddetta nei fatti almeno a livello nazionale) .Ma si tratta di problemi  la cui soluzione, o il cui  inizio di soluzione (o il cui inizio di dibattito per la loro soluzione) dipendono in gran parte dal Vaticano, stante l’attuale struttura della Chiesa. In Italia  il peso del Vaticano si sente molto, moltissimo. La struttura diocesana-parrocchiale è solo subalterna; al massimo, salvo meritevoli eccezioni,  brontola nelle sacrestie. Più diversificato è il panorama degli ordini religiosi che godono di maggiore autonomia.

La vitalità di base tra i cattolici

Ma, a fronte di queste pesantezze, c’è contemporaneamente la realtà di una Chiesa ricca di situazioni  che non sono conosciute dai grandi media e che testimoniano di sensibilità “conciliari” che non si manifestano nel dissenso tradizionale ma che prescindono abbastanza dall’apparato. Nel volontariato di ogni tipo, sempre in crescita in questi anni, nell’impegno per gli extracomunitari, nel movimento pacifista, nella cooperazione internazionale, nel movimento antimafia, nel movimento per la salvaguardia del creato, nelle iniziative antiglobal  sono presenti tanti cattolici, tra essi molti giovani, che sono ben lontani dall’accettare ordini o dal partecipare alle manifestazioni di massa. E’ un modo di fare politica diverso da quello di una volta ma importante. Per chi è credente è questo un modo di riferirsi al Vangelo differente  dall’educazione tradizionale ma più credibile. Le riviste missionarie, le marce per la pace, i convegni sull’Africa, la vecchia campagna sull’obiezione di coscienza, le comunità di recupero ed altre sono realtà significative.

Insomma è una vitalità interessante. Il libro di Marco Politi “Il ritorno di Dio- viaggio tra i cattolici d’Italia” la descrive molto bene. Essa non si esprime in un’azione politica organizzata né tanto meno si sente impegnata in modo coordinato a discutere o a litigare coi vescovi o coi parroci. Ne prescinde. Ha spesso dei propri leaders, laici o preti, che sono tali perché riconosciuti o protagonisti   nelle loro realtà, non certo perché nominati dall’alto.

Infine c’è un’area che si riferisce più direttamente all’eredità del Concilio e che dissente in modo esplicito. Sono alcune riviste di nicchia ma dalla buona elaborazione culturale, le agenzie di stampa (in primis “Adista”), i gruppi biblici che fanno riflessioni a prescindere dal “Gesù” di Ratzinger, ci sono teologhe d’avanguardia; ci sono centri di riflessione e di spiritualità; ci sono  le comunità di base; ci sono singole personalità che hanno autorità in Italia e fuori; in ogni importante occasione sono stati scritti testi ed appelli sulla situazione della Chiesa che hanno raccolto migliaia di firme (per esempio per il Convegno della Chiesa di Verona dello scorso ottobre, altri ancora prima, bisognerebbe pubblicare un libro bianco di testi inascoltati e quasi inediti). Non è senza un motivo profondo che un romanzo di 840 pagine sulla Resistenza intriso di profonda spiritualità, come “La Messa dell’uomo disarmato” di Lusito Bianchi, sia arrivato alla sesta edizione pur non godendo di campagne pubblicitarie. Tutte queste realtà sono fuori dal coro,  non hanno strumenti per comunicare alla grande opinione pubblica. La stampa cattolica opera un’attenta autocensura.  La grande stampa, con qualche eccezione su argomenti specifici d’attualità ed anche la televisione, salvo eccezioni, è disattenta. Sulle questioni che riguardano la Chiesa cattolica dominano il pensiero  ufficiale della CEI  o quello laico, quando c’è.

Che fare ?

            Sul  “che fare?” pesa la constatazione che tutta la vitalità esistente nella Chiesa al di fuori dei percorsi ortodossi soffre dall’essere chiusa  nel proprio gruppo o nel proprio specifico. Pochi si pongono il problema di iniziative o di network che propongano  in modo sistematico ed efficace un punto di vista diverso all’opinione pubblica cattolica  con  strumenti che  cerchino di essere efficaci e che non siano solo di testimonianza. Questo è uno dei problemi e dei limiti che abbiamo. Non si riesce a fare un’azione “politica” all’interno della Chiesa. Per dirla in breve il disagio esistente non si organizza. Si aspettano tempi migliori, ci si separa in gruppi di interesse specifico o di ricerca biblica o teologica,  si resta nelle strutture per necessità di cose cercando di fare del proprio meglio oppure si sbotta quando non è possibile fare diversamente ma senza ancora un progetto che diventi collettivo nel proporre ”non una nuova Chiesa ma una Chiesa nuova” che faccia un passo indietro sulla scena mediatica e politica ed un passo in avanti nella pastorale dell’ascolto e dell’accoglienza.

Questa è la situazione. I tempi per un nuovo protagonismo dei cattolici democratici e “conciliari” nella società e nella Chiesa  non potranno che essere medio-lunghi, è inutile illudersi. Ma si tenga presente che nel mondo cattolico i fermenti agiscono, a volte, in profondità e silenziosamente per poi venire a galla in modo rapido ed imprevisto. Ciò avvenne, per stare alla storia recente, con il Concilio Vaticano II (che ha fatto seguito alla violenta  campagna antimodernista). Oppure può essere la storia civile e politica che costringerà la Chiesa a fare i conti con la realtà ed a cambiare. Ciò è avvenuto, per esempio,  con la perdita del potere temporale e con le leggi laiche degli anni ’70. Insomma la speranza non manca.

 

                                                                       Vittorio Bellavite