"Dieci motivi per dialogare"

Quinta giornata del dialogo cristianoislamico del 20 ottobre 2006

Comunicato stampa n. 1 del 21-7-2006

Care amiche, cari amici,
il prossimo 20 ottobre 2006 si terrà la Quinta Giornata del dialogo cristianoislamico. Siamo oramai al quinto appuntamento con una iniziativa che, nata dal basso, è diventata una scadenza quasi "istituzionale" della nostra pur difficile realtà italiana.
Rinnovando la positiva esperienza che lo scorso hanno ci ha visto promotori della Quarta giornata del dialogo, i cui risultati sono stati positivi e sono andati anche molto al di la della singola giornata del 28 ottobre 2005, anche quest'anno vogliamo sottoporre alla vostra attenzione una pista di riflessione per continuare lungo la strada dell'incontro di civiltà e del dialogo interreligioso e interculturale.
I motivi per continuare lungo questa strada, iniziata nel 2001 subito dopo i tragici attentati dell'11 settembre, sono ancora molti a cominciare dai tantissimi conflitti in corso, primo fra tutti quello medio-orientale, che traggono il loro carburante proprio dall'odio interreligioso e interculturale.
E per sottolineare l'urgenza di un dialogo interreligioso ed interculturale proponiamo di mettere a base della Quinta giornata del dialogo cristianoislamico, il documento in dieci punti elaborato da Paolo Branca, docente di lingua e letteratura araba, università cattolica del Sacro Cuore di Milano; Stefano Allievi, docente di sociologia, università degli studi di Padova; Silvio Ferrari, docente nelle università di Milano e Lovanio; Mario Scialoja, presidente della Lega musulmana mondiale-Italia, ed il cui testo trovate alla pagina web www.ildialogo.org/islam/cristianoislamico.htm ma che di seguito riportiamo. L'idea di un decalogo di cose possibili da fare, sulla via del dialogo, ci sembra estremamente valido e soprattutto coinvolgente. E' anche un modo per cercare di costruire, tutt'insieme, un'etica comune che abbia come elemento fondamentale il rispetto integrale dell'altro/a, che corrisponde al comandamento del "non uccidere" comune a tutte le religioni.
Proponiamo così come slogan per la quinta giornata quello di "Dieci motivi per dialogare", per sottolineare anche come siano molte le iniziative che si possono mettere in campo per rendere concreto il dialogo, mentre per la guerra, l'odio, la xenofobia e quant'altro basta una sola grande bugia.
Il documento che proponiamo alla vostra riflessione non è e non vuole essere esaustivo di tutto ciò che è possibile fare. Come negli altri anni ribadiamo che, ferma restando in questo momento storico la centralità della necessità del dialogo tra cristiani e musulmani, l'invito al dialogo e all'incontro è rivolto non solo a cristiani e musulmani ma ad ogni persona di "volontà buona".
Come nelle precedenti edizioni, il successo dell'iniziativa dipende dalla mobilitazione dal basso che riusciremo a realizzare. Ci auguriamo perciò che anche quest'anno possano esserci molte iniziative che comincino il 20 ottobre prossimo ma che vadano avanti poi per tutto il prossimo anno.
Ringraziandovi per quanto farete, aspettiamo fiduciosi le vostre rinnovate adesioni e le nuove che riusciremo a sollecitare e le iniziative che promuoverete.
Con un fraterno augurio di
Shalom - Salaam-Pace
Il Comitato Organizzatore
Sottoscrivono e promuovono l'appello le seguenti riviste e associazioni (in ordine alfabetico)

ADISTA
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CEM - Mondialità
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Brescia 25121; tel 030-3772780;
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Cipax - Centro interconfessionale per la pace
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Cantautrice per la pace
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Casa di poesia e letteratura
.
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Lanusei, Sardegna

La nonviolenza è in cammino
Foglio quotidiano del Centro di ricerca
per la pace di Viterbo, Direttore responsabile:
Peppe Sini.Redazione: strada S.
Barbara 9/E,
01100 Viterbo
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Via Petronelli n.6
70052 Bisceglie (Bari), tel. 080/3953507
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Tempi di Fraternità
Torino , c/o Centro Studi
"Domenico Sereno Regis"
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Per l'elenco completo dei firmatari dell'Appello, per tutti i materiali ad esso relativi e per le iniziative in corso si può visitare il sito:

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Islam, che fare?
Un decalogo


Testo elaborato da Paolo Branca. docente di lingua e letteratura araba, università cattolica del Sacro Cuore di Milano; Stefano Allievi, docente di sociologia, università degli studi di Padova; Silvio Ferrari, docente nelle università di Milano e Lovanio; Mario Scialoja, presidente della Lega musulmana mondiale-Italia.


La presenza di musulmani in Italia ha ormai raggiunto una tale "massa critica" da non consentire che il fenomeno sia gestito soltanto attraverso forme d'intervento estemporanee e improvvisate, com'è spesso stato finora. L'impegno di molti che si sono prodigati, sia da parte italiana che da parte islamica, con numerose iniziative conferma le potenzialità di un tessuto sociale vivo e attivo, ma proprio per non vanificare tali energie e al fine di evitare derive che hanno interessato di recente altri paesi europei, ci sembra indispensabile che le istituzioni e i cittadini   italiani e non   coinvolti a vario titolo nella questione trovino modalità per riflettere e agire insieme all'interno di un progetto comune ispirato a principi chiari e condivisi.

Per questo, mentre il nostro paese vive un decisivo momento di riformulazione degli equilibri politici e delle sue prospettive di riforma, riteniamo doveroso richiamare alcuni punti che ci paiono di cruciale importanza nel compito comune che ci troviamo ad affrontare. Va da sé che i musulmani condividono con immigrati di altra origine molte problematiche simili. Sarebbe pertanto indebito ritenere le considerazioni che seguiranno come pensate esclusivamente per loro, anche se il presente documento ne tratta in modo specifico: una buona legge sulla libertà religiosa, ad esempio, andrebbe incontro alle esigenze di tutte le comunità e non solamente di quella islamica.

La globalizzazione in atto, contrariamente a quanto ci si poteva ingenuamente aspettare, invece che a un indebolimento delle identità (reali o immaginarie) sta conducendo piuttosto a un loro irrigidimento che non sembra cogliere sufficientemente le potenzialità positive pur presenti nell'inedito incontro di uomini e culture che si sta producendo, bensì tende a enfatizzare diffidenze e timori che inducono alla chiusura e alla contrapposizione.

Siamo consapevoli dei rischi insiti in un vacuo relativismo che potrebbe portarci a poco auspicabili confusioni e allo svilimento delle tradizioni culturali e religiose di ciascuno: ma il valore che attribuiamo alla nostra e altrui identità ci spinge a ritenere necessaria una gestione coraggiosa e consapevole di questo processo di incontro e convivenza, l'unica in grado di portare a buoni risultati nell'interesse comune. Per questa ragione pensiamo che vada scoraggiato con ogni mezzo lo spirito di sospetto e di rivalsa che in taluni   da entrambe le parti   sembra purtroppo prevalere.

I punti che ci pare necessario richiamare sono:

1. Incoraggiare la collaborazione con le istituzioni a ogni livello per promuovere una reale partecipazione. dimostrando che le regole della democrazia tutelano e premiano i comportamenti migliori. A tale scopo è utile in particolare partire dal censimento e dalla valorizzazione delle molteplici esperienze in atto anche al fine di contrastare una comunicazione basata su semplici opinioni, anziché su evidenze empiriche. Interventi formativi all'interno delle pubbliche amministrazioni (scuola, sanità, carcere, personale di polizia ... ) sulle tematiche relative al pluralismo culturale nelle aree di loro competenza, con un taglio che privilegi la concretezza delle situazioni su considerazioni di ordine astrattamente teologico, ideologico o politologico. Il confronto con esperienze internazionali che già affrontano da tempo temi e situazioni analoghe consentirebbe di valutarne gli esiti e di ispirarsi alle pratiche (legislative e operative) più efficaci.

2. Scoraggiare con fermezza ogni forma di illegalità per evitare il formarsi di società parallele o gruppi che si percepiscano e si presentino come corpi estranei: il diritto alla differenza non può e non deve mai diventare pretesa di una differenza nei diritti e nei doveri.

3. Valorizzare le iniziative che si pongono nella prospettiva della condivisione di valori, interessi e impegno comune al servizio della collettività.

4. Dare priorità alle donne e ai giovani che, senza rinunciare alla propria specificità culturale e religiosa, dimostrano di voler sviluppare, con chi condivide i loro problemi e le loro aspirazioni, attività che favoriscono contatti, scambi e integrazione.

5. Offrire, a livello universitario, percorsi di maturazione e di formazione a quanti intendono svolgere funzioni di servizio alle comunità, specie nei ruoli di orientamento e di guida. Non si tratta ovviamente di formare i ministri del culto, ma di favorire l'emersione e il consolidamento di competenze e capacità specifiche tra coloro che già operano nei diversi gruppi affinché la loro azione sia maggiormente adeguata alle finalità dell'integrazione e della partecipazione alla vita del paese in cui risiedono.

6. Stimolare, specie nelle scuole, la valorizzazione degli apporti delle differenti culture del Mediterraneo alla costruzione di una comune civiltà. Laddove siano presenti numerosi alunni arabofoni, appositi corsi per la conservazione e lo sviluppo della lingua d'origine (del resto già in atto, in forma sperimentale) andrebbero diffusi e sostenuti. Tali interventi non sarebbero ad esclusivo vantaggio degli immigrati, ma contribuirebbero alla trasformazione dell'intero settore scolastico che non sarebbe adeguato alla realtà di un mondo sempre più interdipendente se restasse ancorato a forme di istruzione centrate soltanto sulla cultura locale.

7. Incoraggiare i mass media a dare spazio alle numerose esperienze di collaborazione e di condivisione tra persone di fede e di cultura diversa, evitando di diffondere e/o amplificare soltanto fatti e notizie che confermino mutui pregiudizi. Non si tratta evidentemente di occultare le problematicità, ma ancora una volta di partire dalla realtà che è più ricca delle sue rappresentazioni, mediante inchieste sul campo, lavoro di terreno empirico, informazione completa e imparziale.

8. Promuovere politiche che migliorino le condizioni di vita delle società di provenienza degli immigrati, con riferimento non soltanto alla situazione economica ma anche allo sviluppo della società civile, al rispetto dei diritti umani e alla valorizzazione del pluralismo ad ogni livello.

9. Valorizzare l'azione delle istituzioni locali, che sono a contatto diretto con le realtà di base, nel promuovere iniziative che   per la qualità degli interventi e le loro ricadute positive sul territorio   possono costituire dei modelli validi anche per analoghe situazioni, in stretto contatto con le agenzie culturali e religiose che già operano in tal senso.

10. Approfondire la conoscenza reciproca, nel mutuo rispetto pur senza rinunciare allo spirito critico e autocritico, non solamente con sporadiche iniziative informative, ma attraverso il lavoro permanente e sistematico di gruppi che affrontino insieme tematiche specifiche di comune interesse. Ciò favorirebbe inoltre lo sviluppo di prospettive professionali che facciano tesoro delle competenze e delle capacità di chi si distingue nel lavoro interculturale.


Il testo è apparso su Settimana del 4 giugno 2006/n.22, 4, quale contributo al nuovo Governo italiano e alla nuova amministrazione di Milano.