IL
COLLOQUIO
Cazzullo Aldo: Elia: la Chiesa sbaglia,
mai così intransigenti con un governo
Corriere
della Sera 13 febbraio 2007
Il
costituzionalista cattolico: tentano di imporre un' egemonia
culturale. Ruini segua Moro: battersi nella società, non alle Camere
ROMA
- «Forse sarò troppo drastico. Ma
preferisco parlar chiaro oggi, piuttosto che pentirmi domani per aver taciuto».
Leopoldo Elia, principe dei costituzionalisti cattolici, parla con voce
sommessa e sorriso mite, ma dice cose insolitamente dure. «È dal Risorgimento
che la Chiesa non teneva un atteggiamento tanto intransigente nei
confronti di un governo italiano. Persino sull' aborto,
un tema ben più delicato e drammatico delle coppie di fatto, si trovò una linea
di compromesso, individuando una fase preliminare di riflessione per la donna.
Oggi la Chiesa italiana, avvezza ai privilegi concordatari, è
abituata a esercitare non l' auctoritas di cui parla
il professor Mirabelli sull' Osservatore Romano, ma una potestas indiretta del
tutto anacronistica. Non voglio fare processi alle intenzioni, ma qui sembra di
assistere a un tentativo di imporre un' egemonia
culturale, a un progetto più ambizioso del gentilonismo. Nel 1913 i cattolici
si alleavano con i liberali in chiave difensiva, per evitare il divorzio e la
morte della scuola privata. Ora pare che la Chiesa voglia fare del
nostro Paese l' eccezione d' Europa: l' Italia
cattolica dove non valgono le leggi in vigore in tutti gli altri Paesi
cattolici». Deve costare sofferenza al professore dire che il conflitto è
davvero grave, al punto da vanificare qualsiasi paragone con il passato
recente. «Divorzio e aborto toccavano davvero a fondo il matrimonio e il
diritto alla vita. Oggi ascolto controversie che si immiseriscono
nella dichiarazione anagrafica; quasi si dovessero scrivere le leggi sotto
dettatura. E poi non è vero che il referendum sul
divorzio fu imposto alla Dc dal Papa. Al più gli si può rimproverare di non
aver esercitato una "moral suasion" più efficace sui promotori del
referendum. Fanfani lo appoggiò perché credeva di stravincere: non aveva capito
l' evoluzione della società intuita invece da
Dossetti, che già nel 1957 aveva teorizzato come nel Paese non esistesse più
una maggioranza cattolica. E, dopo la sconfitta, Moro invitò a difendere
"principi e valori cristiani al di fuori delle istituzioni e delle leggi,
e cioè nel vivo, aperto e disponibile tessuto della
nostra vita sociale". Ruini e il suo successore farebbero
bene a seguire l' idea di Moro: la Chiesa si batta nella società,
non in Parlamento o nelle urne. Concorra alla sintesi di cui ha parlato
Napolitano, collabori con lo Stato per restituire ai
giovani la preferenza per il matrimonio. Una cosa è certa: molti cattolici
italiani chiedono alla loro Chiesa generosità e lungimiranza. Ad esempio
sarebbe meglio rinunciare a istituzioni
anacronistiche, che sono sparite ovunque tranne che in Italia, come gli effetti
civili della giurisdizione ecclesiastica, amministrata dalla Sacra Rota come
dai tribunali regionali ecclesiastici: relitti del passato, che non esistono
più nemmeno nei concordati con la Lituania e la Lettonia».
Torna a risuonare il «non possumus» di Pio IX, ed Elia ne denuncia l' anacronismo: «Quello era uno scontro epocale.
Finiva dopo secoli il potere temporale dei Papi. Le
conseguenze durarono per decenni. La questione di oggi
ha dimensioni non paragonabili a quella. Ma il grado
di drammaticità di uno scontro dipende non solo dalla gravità del problema, ma
anche dalla tensione impressa dalle parti. Per fortuna Prodi
si è comportato in modo fermo e sereno. Il documento dei 60 parlamentari della
Margherita si inscrive nella tradizione migliore dei
cattolici democratici. E Rosy Bindi ha fatto in
Parlamento un discorso molto aperto. So che sta soffrendo: non meritava di
essere trattata così. Lei ha offerto il dialogo; le hanno chiuso
la porta in faccia». Elia evoca «la presa di posizione nella Costituente di De
Gasperi, Dossetti e Moro a favore della revisione del
Concordato». Il rifiuto di De Gasperi all' alleanza
con monarchici e fascisti alle amministrative di Roma. E il pronunciamento dell' Osservatore romano contro i cattolici comunisti, «da
non confondere con la successiva scomunica del ' 49. Quel piccolo gruppo ne
uscì sfaldato: Rodano e Ossicini rimasero nel Pci, Felice Balbo e Scassellati
ne uscirono». Ma quella, sostiene il professore, non fu un' operazione
reazionaria: «Il "partito romano" di monsignor Ronca si augurava che sorgesse un movimento cattolico di sinistra,
per giustificare la nascita di un partito cattolico di destra, da affidare a
Gedda». Invece la Dc salvò l' unità
politica dei cattolici; e non fu mai necessario un «documento impegnativo» per
i fedeli come quello annunciato da Ruini. «Non era mai
accaduto - dice Elia -. I parlamentari cattolici devono farsi carico dell' intero Paese, dell' evoluzione sociale della nazione
intera. Non possono, per obbedienza alla dottrina cattolica del diritto
naturale, rifiutare di offrire ai cittadini italiani di ogni
fede e credenza quel che si offre in gran parte d' Europa. Perché la Chiesa
spagnola ha reagito con misura alla proposta sulle unioni di fatto contenuta
nel programma del popolare Aznar, mentre quella italiana
spinge alle barricate in Parlamento? Perché una
reazione così diversa da quella del tutto corretta delle conferenze episcopali
francese e tedesca? Pare quasi si manifesti la volontà
di mantenere un' eccezione italiana. Forse perché Roma è la sede di Pietro,
perché abbiamo avuto lo Stato pontificio, la Controriforma, una
lunga tradizione di legami tra trono e altare; fatto
sta che la Chiesa italiana non accetta di europeizzarsi». La
degenerazione dei costumi, dice Elia, «non si combatte squalificando tutto come
relativismo etico. Qui i principi supremi non c' entrano: nei Dico non vedo
nessuna collisione con l' articolo 29. Siamo oltre o
prima della famiglia prevista dalla Costituzione, che è davvero di "una unicità irripetibile", secondo la formula di
Benedetto XVI. Semmai, il comportamento della Chiesa rischia di andare oltre il
Concordato e lo stesso articolo 7 della Carta, là dove prevede che Stato e
Chiesa sono sovrani e indipendenti ognuno nel proprio
ordine: l' ordine temporale separato da quello spirituale». Non solo il Papa e
i vescovi hanno ovviamente il diritto di parlare; «hanno il diritto di esigere
dai fedeli una condotta conforme ai loro insegnamenti. Ma
non hanno il diritto di ricorrere a leggi - o di imporre di non fare una legge
- per vincolare i non credenti. Per loro sarebbe un' inaccettabile
discriminazione. E poi la Chiesa italiana
deve sfuggire alla tentazione di approfittare della debolezza degli uomini
politici e della loro mancanza di senso dello Stato, allorché corrono a
genuflettersi per ottenere il consenso della minoranza cattolica». Con Wojtyla
sarebbe cambiato qualcosa? «Giovanni Paolo II ha avuto per un periodo
abbastanza lungo contatti con la destra italiana. Forse il suo grande prestigio e la sua grande ascendenza ci avrebbero
risparmiato un contrasto così aspro. Ma è probabile che alla fine si sarebbe comunque arrivati alla collisione».