Lettera aperta a Fausto Bertinotti

 

 

Caro Bertinotti,

ho letto il tuo articolo sul  Papa di giovedì scorso ed ho apprezzato la tua riflessione che cerca di entrare nel merito della figura di Giovanni Paolo II senza gli osanna fastidiosi dei giorni scorsi. Tuttavia resta un’impresa difficile quella di capire ed interpretare, al di fuori del coro massmediatico,  un personaggio così complesso e, per molti versi, contradditorio.

Ti faccio qualche osservazione critica da compagno collocato sulla comune linea politica dell’alternativa.

Esiste una scuola di pensiero, forse  minoritaria, che non condivide il fatto che Wojtyla avrebbe avuto un forte ruolo nel crollo del comunismo che mi pare invece tu condivida. Essa sostiene che il Papa  fu destrutturante solo per la Polonia; per il resto i regimi comunisti crollarono su sé stessi per marciume interno, incapaci di garantire la libertà, l’efficienza del sistema produttivo ed anche condizioni di vita accettabili per la maggioranza del popolo.

L’influenza del Papa era ben modesta all’Est dove si guardava piuttosto, invidiandolo, al sistema “ricco” dell’Ovest. Peraltro i primi anni di Wojtyla in che senso sono anticomunisti ? Come poteva, comunicando a grandi masse popolari, distinguere il comunismo come grande ideale di giustizia e di libertà  dai regimi concretamente in essere? Tu pensi che ciò sarebbe stato ragionevolmente possibile? Se ti è possibile,  cerca di indicarmi  dove avrebbe potuto trovare motivi per un ragionamento diverso. Poteva essere diverso il punto di vista di un leader religioso che si trovava di fronte quasi ovunque all’assenza di vera libertà religiosa ed all’ateismo di stato predicato nelle scuole ed in ogni sede pubblica  oltre che alla persecuzione dei cristiani in certi periodi ed in certi paesi ?

Altra questione :  per completezza di analisi bisogna prendere atto che elementi anche forti di critica a molti aspetti del capitalismo e di denuncia delle cause del sottosviluppo a livello planetario sono stati non  solo del Wojtyla post’89, come sostieni. Già ben prima essi  erano emersi in alcuni suoi testi importanti, per esempio nelle encicliche “Laborem exercens” del 1981 e “Sollicitudo rei socialis” del 1987.

 

Anche su altri aspetti il tuo ragionamento mi sembra possa essere arricchito.

La critica che Wojtyla fa  del sistema vigente  vuole richiamarsi a valori evangelici  (giustizia, solidarietà, uguaglianza…) ma cade in una contraddizione insanabile con l’istituzione Chiesa composta di culture gerarchiche millenarie, di intrecci di interesse tra la “borghesia cristiana” e le istituzioni ecclesiastiche protese ad autoconservarsi.  Wojtyla scioglie la contraddizione a vantaggio dell’istituzione e condanna quella teologia della liberazione che si rifà al Vangelo anche utilizzando, con prudenza ed intelligenza,  certi strumenti di analisi e di azione del marxismo “umanistico”.  La condanna della teologia della liberazione è dura sia direttamente sia indirettamente con la nomina di Vescovi ad essa ostili, con i controlli sui  seminari.…A tutela dell’istituzione ed in aperta controtendenza rispetto all’ispirazione del Concilio Vaticano II  ci sono altre scelte : la ripresa della stipulazione di accordi tra Stato e Chiesa, l’azione diplomatica enfatica e rivendicativa (ben diversa dalla povertà dei mezzi dell’Evangelo), il soffocamento della ricerca teologica, la copertura di intrighi e scandali ( Ior…), una morale sessuale incompresa e disattesa, il rifiuto di aprire i ministeri alle donne, un’accentramento delle decisioni a Roma inedito nella vita della Chiesa a cui hanno corrisposto forme di devozione  e di ossequio nei confronti di Wojtyla vicine alla papolatria. ….Le dimissioni per motivi di salute  vengono impedite a Giovanni Paolo II dal ruolo “sacro” e “provvidenziale” che egli stesso ha contribuito a costruire..

Anche per quanto riguarda la situazione italiana non si può ignorare che la linea fino ad oggi  filogovernativa della Presidenza della Conferenza episcopale non ha vita autonoma ma è emanazione degli orientamenti  del Vaticano. La mancanza di democrazia nella Chiesa, l’autocensura ed il conformismo hanno effetti sulla cultura e sulla società almeno in un paese come il nostro in cui l’intreccio vita ecclesiale/vita civile è ancora rilevante.

Mentre la tua analisi, mi sembra, non riesce a cogliere criticamente molti aspetti fondamentali del pontificato quasi non ne indica gli aspetti positivi : il rapporto aperto con le altre religioni per esempio, la denuncia delle guerre e la critica all’egemonia americana.. Ugualmente bisognerebbe prendere atto che il “pentimento” del Papa per i peccati dei cristiani  durante l’Anno Santo, per quanto ambiguo e contrastato, ha aperto la strada, in modo del tutto  inedito, alla capacità per la Chiesa o per parti della Chiesa di rivedere criticamente il proprio passato.

Questi aspetti del pontificato hanno incontrato contrasti tenaci negli ambienti ecclesiastici  e testimoniano della complessità della figura di Giovanni Paolo II

 

Mi accorgo di stare esponendo  punti di vista che sono  propri della maggior parte dell’area dei cristiani “critici” (o del dissenso come si diceva una volta) che in modo silenzioso esistono ancora e sono presenti nelle strutture della Chiesa o, qualche volta, ai suoi margini..

Ma perché esiste questa separazione di analisi, questa distanza o scarsa comunicazione con il tessuto culturale di Rifondazione comunista ? Mi chiedo  perché, tra chi sta dalla stessa parte sulla linea dell’alternativa,  si sia esaurita o sia  in fase di esaurimento quella ricerca tra credenti e militanza di partito culturalmente orientata in senso marxista che ci fu un tempo e a cui io e altri compagni abbiamo partecipato.

Eppure questa ricerca avrebbe una grande importanza. Tanti cattolici sono presenti nel movimento antiglobalizzazione ed ho motivo di ritenere che  sarebbero interessati a riflettere, ad interloquire. E poi in tutti gli ambienti cattolici ci sono in modo silenzioso ricerche, dissensi, voglia di politica nuova,  idealità riferite ai problemi collettivi. C’è invece nella sinistra alternativa un corto circuito, avanza l’estraneità, manca la riflessione comune sulla “connessione tra critica della società e fede, tra politica e fede” (sono tue parole).

Io, con altri, sono pronto a ricevere critiche, domande, proposte. Nel frattempo, giusto per iniziare, faccio le mie. Ci si può ragionevolmente aspettare dal senso comune di chi è attivo in Rifondazione l’accordo sul fatto che l’ateismo o l’agnosticismo come cultura diffusa e quasi obbligata nella sinistra sia uno dei pesi ereditati di cui liberarsi per rifondare l’idea di comunismo? Ci si può aspettare la comprensione di dimensioni del vissuto personale e famigliare che sono “politiche” (cioè con conseguenze politiche) pur  avendo poco  a che fare con l’”economico”? Ci si può aspettare che la Chiesa va esaminata come struttura di potere e di consenso, senza diplomazie istituzionali o conformismi, ma constatando che essa non è riducibile solo ad un fatto sociale o culturale perché c’è qualcosa di profondo attinente alla dimensione della spiritualità che la sorregge nonostante molti suoi tradimenti  della Parola del Vangelo?

Spero che la discussione possa iniziare e conto sul tuo personale contributo perché ciò avvenga.

Molto cordialmente

 Vittorio Bellavite

 

Milano, 20 ottobre 2003