QUESTA È LA CHIESA
CHE VOGLIAMO.
LA VOCE DEI TEOLOGI DELLA LIBERAZIONE AD APARECIDA
DOC-1865. PINDAMONHANGABA-ADISTA
31 maggio 2007. Rispetto alla faticosa stesura del Documento
conclusivo e del Messaggio finale della Conferenza di Aparecida,
con la comparsa e la successiva scomparsa, da una redazione all’altra, di temi
e di termini (e anche del metodo, quello del “vedere-giudicare-agire”
proprio della tradizione latinoamericana), il documento finale del Seminario
latinoamericano di Teologia - l’incontro promosso a Pindamonhangaba
dal Consiglio Nazionale dei Laici del Brasile su “America Latina, Cristianesimo
e Chiesa nel XXI secolo” (v. Adista n. 39/07) -
sembra essere scritto in un’altra lingua. Non a caso il documento, intitolato
“Lettera al popolo cristiano dell’America Latina e dei Caraibi”,
fa esplicito riferimento, tra molti altri punti, alla necessità di
“approfondire la Teologia della Liberazione” o di “incentivare
una maggiore integrazione delle pastorali con i movimenti sociali” (colpisce,
però, l’assenza di un qualunque cenno al modello di integrazione più innovativo
nel continente, quello dell’Alba, l’Alternativa bolivariana
delle Americhe, forse per la diffidenza che alcuni teologi della liberazione
nutrono per Hugo Chávez).
In confronto alla “Lettera”, chiara e
concreta, del Seminario di Teologia, appaiono ancora più assurdi i tagli e le
censure di cui si sarebbe resa responsabile, stando
alle cronache di teologi presenti ad Aparecida, la
Commissione di redazione del Documento finale della Conferenza. In attesa di leggere la versione definitiva del Documento, i
teologi hanno riferito, per esempio, che, nella seconda bozza, la parola
“neoliberismo” (peraltro del tutto assente nel Messaggio finale) compariva solo
una volta (“e riferita ai padri di famiglia!”, ha sottolineato il teologo
argentino Eduardo de la Serna) e la parola “genere” tre volte, ma
solo per parlare di “genere umano”. E che, addirittura, all’espressione del Cantico delle Creature di S. Francesco
in relazione alla “sorella nostra madre terra” veniva
tagliato il termine “madre” (forse, ha commentato ironicamente il teologo, per
timore che si potesse pensare alla Pachamama!). In compenso, pare
che il documento abbondi di riferimenti all’Eucarestia,
senza però trarne le dovute conseguenze: “se – ha
scritto ancora de la Serna – bisogna insistere sulla
messa domenicale”, ma mancano i preti e non ci sono vocazioni, “che soluzione
si propone? Pregare per le vocazioni!”. Cosicché, “quando qualche vescovo ha
proposto di chiedere a Roma l’ordinazione di uomini
sposati, la proposta è stata rifiutata immediatamente”. Lo aveva sottolineato – invano - anche il presidente della Conferenza
episcopale guatemalteca, mons.
Alvaro Ramazzini, nel suo intervento
durante l’Assemblea: “Che attenzione pastorale può dare un sacerdote a 40mila
fedeli? Il Papa ci ha detto: ‘l’incontro con Cristo
nell’Eucarestia suscita l’impegno
dell’evangelizzazione’ e anche: ‘i primi promotori del discepolato
e della missione sono i sacerdoti’. Ma che alternativa possiamo offrire quando vi sono comunità che
possono avere la celebrazione dell’Eucaristia appena una volta ogni tre mesi
per via delle distanze e in moltissime occasioni la celebrazione si svolge in
tutta fretta perché il sacerdote ha a suo carico un numero eccessivo di
comunità (…)”?.
Di seguito la “Lettera al popolo cristiano dell’America Latina e dei Caraibi” e stralci della relazione tenuta durante il
Seminario di Teologia dal teologo brasiliano di Amerindia
Agenor Brighenti
sulle “sfide per la Chiesa nel XXI secolo”. (c.
f.).