A margine del Convegno ecclesiale nazionale, dopo l’incontro dei pochi missionari presenti a Verona, riunitisi dopo il termine dei lavori congressuali, è emersa la seguente riflessione, pervenuta oggi alla agenzia  MISNA (www.misna.org), 23 ottobre 2006.


SI ERA SPERATO, sul principio, che dal 16 al 20 ottobre la Chiesa italiana avrebbe avuto tanto coraggio da farsi investire ancora dall’uragano dello Spirito, già sperimentato nel Concilio Vaticano II. Il progredire dei lavori ha riportato la “barchetta” ecclesiale in acque più tranquille, con qualche dondolio che sembra voler conciliare il sonno. Eppure erano state innalzate tante stele di testimoni della santità italiana, affinché la Chiesa potesse seguire questi discepoli del Risorto, che con le loro vita avevano illuminato il secolo appena trascorso. Uomini e donne che non hanno avuto paura di spiegare le vele per portare la Chiesa verso il largo, dove avrebbe potuto calare le reti obbedendo al comando del suo Signore. Neanche questi “nuovi” santi, tutti avventurieri del Regno di Dio, sono riusciti a dar forza al popolo dei delegati di ricercare nuove piste per portare la speranza ai popoli disperati del mondo. All’elenco di questi nuovi profeti sono mancati molti missionari italiani martiri degli ultimi 10 anni, è mancata una preghiera, un ricordo e un gesto di gratitudine per tanti che sono stati testimoni del Cristo fino ai confini del mondo, è mancato una riflessione profonda sulla vocazione tutta missionaria della Chiesa. Dei documenti presentati dagli istituti, fondazioni e movimenti missionari per la preparazione del Convegno non si sono trovate vere tracce negli ambiti di discussione. Il movimento missionario italiano ha subito un altro smacco. Eppure l’unica preoccupazione del Gesù Crocifisso e Risorto fu quella di fare dei suoi seguaci degli apostoli, di mandare i suoi discepoli fino a confini del mondo, affinché tutti conoscessero l’amore del Padre suo per tutta l’umanità. Da Gerusalemme fino ai confini del mondo. Il papa l’ha ricordato nell’omelia, ma la maggioranza di quelli che erano presenti non hanno voluto sentire e capire, sintonizzati su altre lunghezze d’onda. Il momento più vivace del Convegno è stato vissuto nei gruppi di discussione dove quasi tutti i delegati hanno avuto la libertà e l’opportunità di far sentire la loro voce e indicare percorsi e temi alternativi non previsti dal programma del Convegno.

COME IN TERRA DI MISSIONE. Il gruppo dei missionari al Convegno, anche riconoscendo tutto il valore ecclesiale, comunitario ed ecumenico che esso ha raggiunto, ha scelto di continuare a lavorare come si fa in terra di missione quando c’è un problema: si prova di tutto fino a risolverlo! Perciò essi non si stancheranno di lavorare e lottare per portare la Chiesa italiana ad aprirsi alla mondialità e ad una piena attenzione alla persona umana. Si adopereranno perchè tutta la pastorale delle comunità diocesane si apra al mondo missionario. Metteranno i loro carismi e le loro esperienze al servizio della chiesa locale, perché possa ringiovanire con la vitalità delle giovani chiese, che essi rappresentano e in cui vivono e lavorano. E chiederanno ai compagni di squadra di mettersi in gioco fino all’ultima riserva per vincere la partita. Primo obiettivo da raggiungere è la formazione missionaria ad ogni livello. Vescovi, preti, religiosi e religiose, diaconi, seminaristi e laici sono chiamati ad essere sempre più capaci di rendere ragione della speranza che è in loro a chiunque glielo domandi, devono essere pronti all’avventura del Vangelo in ogni momento e situazione di vita, devono saper cogliere l’opportunità e allenarsi a raccontare l’amore di Dio in campo e fuori campo. Ma in particolare i metodi di lavoro, da convegno a convegno, devono essere ristudiati e valutati opportunamente, per poter conoscere il cammino fatto e quello che deve ancora essere percorso, sapendo riconoscere gli errori compiuti e cercando di non ripeterli. I missionari italiani auspicano che la loro Chiesa abbia il coraggio di consegnarsi allo Spirito del Crocifisso-Risorto, di alzare lo sguardo dal suo ombelico per farlo arrivare fino agli estremi confini della terra, dove è stato piantato il segno della vittoria: la Croce, dove il Cristo Risorto rifulge come l’unica speranza in cui l’umanità trova la forza per vincere la paura e la morte, dove l’amore eterno di Dio l’attende perché essa ne possa condividere l’esistenza. Coloro che la Chiesa ha mandato come messaggeri di speranza le chiedono di scegliere la Croce come cattedra e divenirne testimone affinché l’umanità l’ascolti anche come Maestra.
[CO]