L'intervista al card. Michele Pellegrino

Presentazione e commento di Franco Bolgiani

Sul numero di "La Rinascita" del 19 febbraio in cui è stata ripubblicata l'intervista del Card. Michele Pellegrino, Franco Bolgiani, professore di Storia del Cristianesimo all'Università di Torino, in questo articolo ha ricordato il contesto nel quale è nata l'intervista ed il forzato successivo silenzio del Cardinale fino alla sua morte nel '86.


In nome della vecchia amicizia e dell'affetto che, pur da posizioni ideologiche diverse, abbiamo nutrito per Michele Pellegrino, Diego Novelli mi ha chiesto un breve commento alla riedizione che "La Rinascita" ha deciso di pubblicare della intervista al cardinale Pellegrino che "Il Regno" pubblicò nel 1981 e che aveva per titolo "Questa Chiesa, fra paura e profezia...". Vorrei con questo mio scritto non certo esaurire l'argomento, ma segnalare solo alcuni spunti di riflessione.
Pellegrino si era dimesso da Arcivescovo di Torino nel novembre 1976, adducendo ragioni di salute, che erano indubbie, ma certamente non tali, quantomeno a mio avviso, da obbligarlo a prendere una così netta decisione, prima di essere arrivato ai 75 anni previsti dalla recente normativa canonica (sancita da Paolo VI) per il pensionamento dei vescovi. Che pur con una salute indebolita, egli avesse ancora non solo spirito lucidissimo ma energie che gli consentivano sia di continuare a studiare e a scrivere sia di viaggiare in Italia, in Europa e in America, e tenere conferenze, lo dimostra proprio l'intervista che qui opportunamente si ripubblica.
Papa Paolo VI scomparve nel 1978: un papa che Pellegrino aveva molto ammirato e amato, anche se, soprattutto negli ultimi tempi del pontificato montiniano, non aveva mancato di denunciare e di dichiarare la sua delusione per certi aspetti involutivi che esso andava assumendo. Poi c'era stato il brevissimo pontificato di Papa Luciani (Giovanni Paolo I), ex patriarca di Venezia, la cui linea pastorale come vescovo non era proprio quella che Pellegrino avrebbe auspicato, ma con il quale ebbe, sia quando Luciani era patriarca sia nel brevissimo tempo del suo pontificato, un rapporto di sincera confidenza, tanto più che la spontanea bontà e semplice umanità di Luciani erano per lui una garanzia di qualche apertura su certi temi di vita pastorale che a Pellegrino stavano a cuore e su cui Papa Luciani era certamente sensibile (è certo che se Papa Luciani non fosse scomparso così presto certi problemi, come ad esempio le chiusure di una enciclica come la "Humanae vitae", sarebbero sicuramente state riesaminati).
Nello stesso anno, 1978, fu eletto, dopo ben 456 anni, un papa non italiano, il polacco Karol Wojtyla: una novità che anche a Pellegrino parve subito più che promettente e da cui molto e molto si attendeva come rinnovamento in tutti i sensi. Con il nuovo papa ebbe alcuni incontri, esprimendosi, come era suo costume, con la massima chiarezza: se a tutta prima le risposte papali furono evasive, motivate in genere dal fatto di non essere ancora ben informato su determinate questioni, ben presto la franchezza di Pellegrino trovò di fronte a sè una sempre più netta e decisa chiusura. Di essa la curia romana, allineatasi immediatamente alla "linea polacca" e rafforzatasi per la presenza di un papa straniero di temperamento nettamente autoritario, fu la principale responsabile, assumendo un potere decisionale che dopo il Concilio aveva perduto. La successiva valanga di viaggi papali, che pure costituì nell'insieme un fatto nuovo di portata non sottovalutabile, e, di conseguenza, le frequenti assenze, rinforzarono ancor di più il potere curiale.
Quanto sin qui detto spiega molte allusioni ed espressioni di riserbo e di franca critica che sono anche vere e proprie denunce di quella che si avviava a diventare una situazione involutiva consolidata manifestatasi anche in altre occasioni e che appaiono messe a fuoco nella intervista del 1981. Ricordiamoci che meno di un anno dopo l'intervista del marzo 1981 che qui si ripubblica, Pellegrino venne colpito da un ictus che lo paralizzò per tutto il lato destro del corpo, impedendogli di scrivere, consentendogli solo qualche faticosa lettura, rendendogli impossibile esprimersi altro che per cenni e mezze parole dette con estrema fatica, ma sempre tormentato da dolori diffusi nel corpo e consegnato a letto o su una carrozzella e affidato alla pietà di una fedelissima domestica e a quella di medici e infermieri. Se la sua salute fosse stata diversa è certo che non avrebbe cessato di parlare e scrivere con crescente nettezza. Ma altra fu purtroppo l'ultima fase della sua vita, quella della pura preghiera e del silenzio, fino alla morte sopravvenuta quattro anni dopo, il 10 ottobre 1986. In quegli anni di degenza in ospedale, voglio ricordarlo con riconoscenza, Diego Novelli è stato uno di quelli che andarono più volte a fargli visita, mentre molti preti non si sognarono di farsi vivi.

Quella coraggiosa intervista provocò una sequela di proteste, di lettere anonime, di insulti, di risentimenti in alto e in basso: e questo nella Chiesa che pur si proclamava e si proclama la Chiesa del Concilio Vaticano II, tanto aveva preso a riaffermarsi e dominare assai presto il più gretto conformismo. Queste reazioni e incomprensioni furono per Pellegrino motivo di grandi amarezze e sofferenze.
Chiunque oggi rilegga questo testo potrà notare quanto il processo di riflusso sia cresciuto da allora nella Chiesa cattolica e quanto l'atmosfera oggi differisca per certi aspetti rispetto a quell'ideale di Chiesa, che Pellegrino, fedele interprete dello spirito del Vaticano II, auspicava. In sintesi basterà ricordare che certamente Pellegrino non avrebbe potuto in coscienza approvare l'aborto e il pronunciamento a suo favore di certi gruppi cattolici ufficiali come le Acli locali; né sarebbe stato favorevole a quanti proclamavano la liberalizzazione delle droghe; e neppure avrebbe passivamente accettato la crisi diffusa dell'istituto famigliare né l'equiparazione del matrimonio anche civile alle libere e passeggere convivenze sottratte a ogni controllo sociale.
Ma d' altra parte mai avrebbe negato la libertà di coscienza, la libertà di parola rivolta a chiunque, in alto e in basso, e neppure avrebbe nascosto il suo dissenso a riguardo di una enciclica come la "Humanae vitae", prima della quale aveva scritto a Paolo VI pregandolo di non affidarsi esclusivamente al parere del suo teologo, Monsignor Colombo (che considerava responsabile di aver influito su Paolo VI); così avrebbe rifiutato tutto il rinnovato andazzo trionfalistico in cui è ricaduta la Chiesa cattolica ai suoi vertici alti e medi, la reintroduzione di uno stile untuoso con valorizzazione di una terminologia ufficiale da lui rifiutata sin dagli inizi (né eminenze, né eccellenze, né monsignorati, ma piuttosto la semplice spontanea parola rivolta ai vescovi come "Padri", cosi come era proprio della grande tradizione della Chiesa antica, quella appunto che egli aveva studiato, cioè la "Chiesa dei Padri").
Assolutamente critico sarebbe stato, e già l'intervista lo prova, rispetto alle forme di assolutismo centralizzatore, al clericalismo temporalistico che si diffondeva, all'invio delle cosiddette "veline", alla sterilizzazione del Concilio con misure ora apertamente restrittive ora indirettamente preclusive, certamente a riguardo dello smisurato potere assunto poi via via dall'"Opus Dei"; neppure avrebbe accettato che i vescovi tacessero invece di parlare apertamente come egli aveva fatto con il Papa e con i capi dei Dicasteri romani, o credessero di rendere "visibile" la Chiesa non per il loro stile semplice e sobriamente umile, ma solo perché si studiavano e si studiano di apparire e di portare in giro alle cerimonie anche più profane i loro abiti listati di rosso o di viola e le loro calotte cerimoniali. Si rilegga dunque quella intervista e chiunque potrà fare non solo i confronti, ma dedurne con facilità le conseguenze religiose e civili che spontaneamente ne discendono e su cui varrebbe la pena oggi, e soprattutto domani, di tornare a riflettere.

Franco Bolgiani, professore di Storia del cristianesimo all'Università di Torino


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