Prima della nomina di Benedetto XVI, il movimento
"We Are Church" (Noi Siamo Chiesa) ha invitato
quattro autorevoli/e teologi/ghe di diversi continenti (T. Balasuriya, P.
Collins, J. Chittister, A. Valerio) a illustrare in tre conferenze stampa
i problemi che il nuovo papa dovrà affrontare.
Vi hanno partecipato testate
giornalistiche, agenzie stampa e radiotelevisioni provenienti dai cinque
continenti. Molti di questi media hanno intervistato i relatori e i
responsabili del movimento anche dopo la nomina del papa, tale è stato
l'interesse per la complessa realtà della Chiesa cattolica. Di seguito
alcuni partecipanti:
CNN
- BBC - SIC NOTICIAS - ASCA - NEWS CHANNEL
NBC - THE BALTIMORE SUN - NPR
USA - CANADIAN BROADCASTING COMPANY -
TABLET - UNION TRIBUNE - CATHOLIC NEWS
SERVICE - REUTERS - ZENIT NEWS AGENCY
- BELIEF NET - PUBLIK-FORUM
- RELIGION NEWS SERVICE - TEMOIGNAGE
CHRETIEN - NATIONAL CATHOLIC REPORTER - NINE
NETWORK AUSTRALIA - THE AGE - FINNISH BROADCASTING
COMPANY - RTV SLOVENIJA - NEWSWEEK
- ENI AGENZIA - O GLOBO - -
WASHINGTON POST - TV NEW AGENCY ROME REPORTS - ITN
CHANNEL 4 NEWS LONDON - INTER PRESS SERVICE
- CHANNEL 7 AUSTRALIA - PANORAMA - ABC UNION
TRIBUNE SAN DIEGO - ENI AGENZIA - ADISTA -
RAI TRE - TV PUBBLICA GIAPPONE - ABC NEWS
A continuazione la
relazione tenuta dalla teologa A. Valerio su di un tema molto dibattuto: quello
della donna
Adriana
Valerio
E’ indubbio che il Concilio Vaticano II ha rappresentato una
svolta nella storia della Chiesa cattolica anche per ciò che concerne la
questione femminile, soprattutto per le nuove modalità adoperate nel
relazionarsi con quelle problematiche che il movimento delle donne andava
ponendo alla società ormai da oltre un secolo. Se Giovanni XXIII aveva già
indicato come "segno dei tempi" la necessità dell’ingresso della
donna nella vita pubblica (Pacem in terris,1963), riconoscendo
pubblicamente le conquiste sociali conseguite negli ultimi decenni, il Concilio
Vaticano II avrebbe esplicitato tale apertura nella Gaudium et Spes,
dove si affermava l’ "uguaglianza sostanziale dell’uomo e della
donna" (GS 49), nonché il dovere di tutti a "far sì che la partecipazione
propria e necessaria delle donne nella vita culturale sia riconosciuta e
promossa" (GS 60). Ciò avveniva all’interno di una nuova e positiva
considerazione dei laici, non più inseriti in una Chiesa intesa come
"società gerarchica di ineguali", bensì valorizzati all’interno di
una Chiesa intesa come comunionalità di un popolo di Dio in cammino.
Negli
anni che seguirono il Concilio abbiamo assistito a momenti alterni nei quali il
Magistero, tra aperture e chiusure, ha mostrato difficoltà ad assumere le
richieste delle donne, pur iniziando a parlane il linguaggio mutuato dal
pensiero femminile e dalla cosiddetta filosofia della differenza.
Parimenti,
il pontificato di Giovanni Paolo II non è stato esente da contraddizioni,
dovute tanto alla mancata attuazione dei presupposti teorici di piena e uguale
dignità tra i due sessi, quanto a sue oscillazioni tra le posizioni rigidamente
legate alla tradizione di stampo aristotelico-tomista e quelle più aperte,
ispirate dall’antropologia dell’umanesimo cristiano. Se Giovanni Paolo II ha
riconosciuto la necessità di superare le discriminazioni nel campo del lavoro e
della cultura, nello stesso tempo ha rafforzato il ruolo materno ed educativo
delle donne, sia pure in senso ampio, chiedendo loro di farsi educatrici di
pace e di schierarsi dalla parte della vita. Purtroppo all’alta dignità
riservata alla donna, della quale riconosce "il genio", non ha
affiancato un’altrettanto reale riconoscimento di ruoli e responsabilità. La
mia impressione è che in questo pontificato la donna valga molto ma conti
poco.
Il
2 ottobre 1994, durante i lavori del sinodo dei vescovi su "La vita
consacrata e la sua missione nella Chiesa e nel mondo", era emerso come la
donna consacrata vivesse una condizione di marginalità. Un gruppo di suore,
attraverso la voce di Clara Sietman, superiora generale delle Missionarie del
Sacro Cuore, aveva chiesto che alle religiose fosse consentito ricoprire
incarichi decisionali in seno alle congregazioni, rivendicando stipendi adeguati
ed una presenza equa ed effettiva delle donne consacrate nei campi pastorale e
decisionale (anche per quanto riguardava la pianificazione di strategie ed il
potere decisionale, tanto a livello locale quanto universale), fino a
raggiungere gli organismi ufficiali della Curia romana, all’interno della quale
chiedeva che le donne fossero ammesse a ricoprire posizioni di responsabilità.
Al dibattito sollevato dalle religiose si aggiungeva il pensiero di mons.
Kombo, vescovo congolese, che chiedeva che le donne potessero diventare
cardinali-laici, non essendo l’istituto del il cardinalato di origine
apostolica, né tanto meno legato al ministero sacerdotale.
Sono
passati quasi 10 anni da quelle inascoltate richieste, dieci anni trascorsi in
un clima di silenzio ed intimidazione, che hanno grandemente pesato sulla
libertà di pensiero, di ricerca e di parola all’interno della Chiesa Cattolica,
rendendo difficile, se non impossibile, la possibilità di instaurare un
concreto e costruttivo dialogo. Le donne sono state, così, ridotte al silenzio
e alla invisibilità
La
questione femminile si rivela centrale e niente affatto marginale per la
credibilità della Chiesa stessa. Il nuovo papa non potrà non affrontare e
sciogliere le questioni ancora aperte; egli è chiamato ad avviare una serie di
riforme, quali:
1.
L’elaborazione di una nuova antropologia che
rispetti l’uguaglianza dei due sessi nella condivisione e nella responsabilità:
una Antropologia di partnerschip (corresponsabilità), che affermi
il principio di dualità contro l’attuale androcetrico
monismo gerarchico.
2.
La revisione dei fondamenti delle
discipline teologiche, affinché vengano egualmente rispettate le
dignità del maschile e del femminile: Dogmatica (la questione del loro essere
"immagine di Dio"), Esegesi biblica, Mariologia, Liturgia
(introduzione del linguaggio inclusivo), Storia, Morale (si pensi, ad esempio,
ai campi della morale sessuale, della contraccezione, della bioetica), Diritto
Canonico.
3.
L’apertura all’insegnamento e alla riflessione
teologica portata avanti dalle donne. Affermare il "genio
femminile" significa valorizzare l’apporto che le donne hanno dato alla
costruzione del cristianesimo, relativamente alla storia della spiritualità e
della pietà, al ruolo che hanno svolto nelle istituzioni monastiche, al loro
contributo nella riflessione teologica, consentendo loro di entrare nel
circuito accademico e pastorale, Significa, altresì, prendere in considerazione
il lavoro di ricerca portato avanti dalle donne -all’interno della sempre nuova
costruzione del sapere teologico- rivedendo i libri di testo adottati nelle
Facoltà teologiche ed incrementando le possibilità di ricerca e di insegnamento
per esse attraverso l’offerta di spazi significativi di ricerca, docenza e
dirigenza.
4.
La rilettura e la vivificazione del concetto di ministerialità.
Occorre valorizzare la donna nei suoi ruoli ministeriali. I ministeri vanno
dunque considerati nelle loro molteplici articolazioni non solo recuperando per
le donne quegli spazi e quei ruoli specifici che originariamente ebbero
all’interno della chiesa primitiva (discepolato, apostolato, diaconato,
profezia, missonarietà…), ma anche creandone di nuovi, nel quadro di una
pastorale comunitaria rinnovata: non in supplenza di una eventuale deficienza
di personale maschile, bensì come servizio necessario alla comunità. Tutto
ciò in vista di una trasformazione istituzionale che renda possibile
l’esercizio del ministero tanto da parte degli uomini quanto delle donne. Va
inoltre sottolineato come la recente, profonda trasformazione del ruolo assunto
dalle donne esiga l’ammissione di esse al ministero ordinato (ordine
sacro), nei riguardi della quale non sussistono sono serie e fondate obiezioni
teologiche. Nessun ministero è incompatibile con la femminilità (così come Dio
stesso).
5.
La revisione delle strutture di governo della Chiesa.
Attualmente, la donna si vede esclusa da tutti gli organi di governo. Tutti gli
uffici ecclesiastici che comportino l’esercizio di potere decisionale
continuano ancora ad essere affidati ai chierici, cioè agli uomini, dalle
funzioni direttive delle Congregazioni ai Dicasteri, al servizio diplomatico.
Bisognerebbe al contrario che le donne fossero rappresentate in tutti gli
organi deliberativi: a livello diocesano e parrocchiale, a livello conciliare e
sinodale, e relativamente a tutti gli ambiti che regolano la vita morale e
pastorale della Chiesa. Posto che la presenza delle donne all’interno della
struttura ecclesiale si dimostrerebbe oltremodo preziosa, occorre facilitarne l’accesso
alle posizioni decisionali, aprendo nuovi spazi di corresponsabilità
operativa. Riconoscere la dignità e l’autorevolezza della persona umana
significa, infatti, rendere questa partecipe dei processi decisionali. Il
"modello inclusivo di partecipazione" e l’"ethos di
uguaglianza" non escludono l’esercizio dell’autorità-servizio, anzi lo
esigono! Pertanto, il negare alla donna l’esercizio di governo e la
responsabilità etica, significa relegarla nella non-visibilità, in una sorta di
minorità che richiede, per esistere, la presenza di una mediazione
maschile che controlli, approvi, giudichi, diriga.