LA CHIESA CHIEDE PERDONO: MEA CULPA SUL PASSATO, SILENZIO SUL PRESENTE. È Le opinioni di teologi e di storici ROMA-ADISTA ( n.15 del 26 febbraio) Queste le domande poste agli interpellati: 1. Qual è il soggetto abilitato a esprimere il proprio pentimento, data l’articolazione nel tempo e nello spazio della vita della Chiesa cattolica? Potrebbe essere il papato? 2. Chi dovrebbe essere il destinatario della richiesta di perdono: il mondo, la comunità ecclesiale, i condannati per eresia, i popoli colonizzati? 3. Quali sono i peccati di cui dovrebbe pentirsi il soggetto, soprattutto per quanto tocca i problemi interni alla Chiesa? 4. Che cosa resta e si ripete oggi delle radici che hanno portato a quegli errori di cui il papa, a nome della Chiesa cattolica, intende pentirsi (crociate, Inquisizione, conquiste coloniali, scismi, rifiuto della scienza e della democrazia…)? Delle risposte pervenute pubblichiamo qui alcuni stralci. "Sarebbe necessario - ha detto il biblista Giuseppe Barbaglio - che la richiesta di perdono per le infedeltà del passato sia abbinata a quella per le infedeltà del presente". Ad esprimere il pentimento dovrebbe poi essere "tutta la Chiesa, perché è essa che ha mancato gravemente al suo compito. Il papa potrebbe essere il portavoce della Chiesa in questo gesto di richiesta di perdono… Io sono molto favorevole a questo gesto, che però dovrebbe essere completato e dovrebbe mobilitare tutte le comunità cristiane cattoliche. Perché non si tratta tanto di chiudere un passato, quanto di aprire un futuro nuovo: chiedere perdono del passato vuol dire soprattutto impegnarsi a non ripetere quelle infedeltà". Per don Carlo Molari (già docente alle Pontificie Università Urbaniana e Lateranense) "occorre ricordare che chiedere perdono significa riconoscere il male compiuto nel passato ed impegnarsi ad immettere nella storia dinamiche di bene opposte a quelle introdotte dalle scelte sbagliate del passato". Naturalmente, ha notato il teologo, "non è più possibile raggiungere direttamente le persone uccise secoli fa con la violenza, per chiedere loro perdono: così oggi si chiede perdono a Dio, e non certo ai calvinisti per la "notte di San Bartolomeo" [il 24 agosto 1572 a Parigi i cattolici massacrarono migliaia di ugonotti, i calvinisti francesi, Ndr]. Il perdono accolto da Dio, però, diventa atteggiamento di tenerezza del cattolico di oggi nei confronti del calvinista che incontra o con il quale prega". "Oggi - ha aggiunto il teologo - la radice principale degli errori che la comunità ecclesiale commette e dei peccati che compie, è la superficialità della vita teologale. Si insiste molto sull’osservanza della legge, sulla disciplina e sull’ortodossia: cose sacrosante, ma insufficienti… Espressioni di questa insufficiente vita teologale sono le facili concessioni alle sicurezze del potere e del denaro, le presunzioni nel dialogo ecumenico, l’autosufficienza nei confronti delle altre religioni, il disprezzo delle espressioni marginali o minoritarie dell’umanità, la rassegnazione passiva nei confronti dell’ingiustizia dilagante, la mentalità consumista e borghese che caratterizza gran parte delle Chiese cristiane d’Occidente". Giulio Girardi, teologo della liberazione, pur valutando l’importanza dei mea culpa fin qui pronunciati da papa Wojtyla, trova in essi dei limiti insuperabili: "L’autocritica, salvo qualche timida eccezione, non riguarda mai la Chiesa come tale, ma solo alcuni suoi "figli". Ancora, essa non riguarda mai l’attuale pontificato, né i pontificati recenti, ma si riferisce ad epoche remote della storia della Chiesa, di cui sembra supporre che non abbiano nulla in comune con l’epoca attuale. Il papa riconosce gli errori degli altri, e si pente dei loro peccati. Un limite particolarmente grave di queste autocritiche è che esse non risalgono mai alle radici ideologiche e strutturali, quali il costantinismo e l’assolutismo pontificio, delle colpe ammesse". Ma forse il limite più "vistoso" delle autocritiche pontificie - secondo Girardi - è che queste vengono espresse mentre permangono nella Curia romana "comportamenti autoritari e repressivi il cui superamento sarebbe il segno credibile di un nuovo clima evangelico nella Chiesa cattolica: penso ad esempio alla rimozione di don Raúl Vera López dalla diocesi messicana di San Cristóbal, decisa in aperto rifiuto delle istanze di don Samuel Garcia Ruiz, vescovo uscente, degli agenti pastorali, dei popoli indigeni del Chiapas. Penso anche alle misure inquisitoriali che hanno colpito in questi giorni la teologa inglese suor Lavinia Byrne (sostenitrice dell’ordinazione sacerdotale delle donne)". Sottolineato che una richiesta di perdono - da parte della Chiesa cattolica - ha senso solo se essa ha "il fermo proposito di non commettere più le stesse azioni", la teologa Maria Caterina Jacobelli si pone in particolare questo interrogativo: "È decisa, la Chiesa, a riesaminare i propri comportamenti tenendo ben presenti gli strettissimi limiti della infallibilità pontificia espressi nel 1870 dal Concilio Vaticano I, limiti che non soltanto sono troppo spesso violati, ma che, entrando nel merito (per esempio per quanto riguarda l’ordinazione sacerdotale delle donne), si pretende persino di estendere per tutti i secoli futuri?" Il riferimento è alla lettera apostolica di Giovanni Paolo II Ordinatio sacerdotalis (1994) ed a successivi documenti della Santa Sede che, di fatto, richiedono un assenso definitivo al "no" alla donna-prete, sostenendo che il "no" papale in merito è in pratica "infallibile". A proposito del "soggetto"che dovrebbe pentirsi, il teologo Leandro Rossi risponde: "Il papato, certamente, perché ha avuto le redini del comando. Se ha lasciato fare troppo ai curiali, ha certo una responsabilità in causa. Ci sono tuttavia differenze da papa a papa. La responsabilità di Celestino V non è naturalmente quella di Bonifacio VIII, né quella di Giovanni XXIII quella di Alessandro VI". E sulle colpe che Wojtyla attribuisce ai "figli della Chiesa", Rossi nota: "Ciò vuol dire che noi figli abbiamo le colpe e loro, la gerarchia, i meriti che spettano alla Chiesa". Infine, per quanto riguarda le "colpe" di oggi, il teologo dice: "Abbiamo la presunzione di conoscere la Verità in modo compiuto e definitivo, mentre essa è da accogliere continuamente dallo Spirito in una ricerca che deve coinvolgere tutti i membri della comunità ecclesiale, e per alcuni aspetti tutti gli uomini". Per Giancarla Codrignani, giornalista (tra l’altro impegnata in "Mosaico di Pace", rivista di Pax Christi, e in "Confronti"), "dovrebbe essere un Sinodo dei vescovi, di rappresentanza internazionale, congiuntamente con il papa ad esprimere il pentimento della Chiesa cattolica. Escluderei una rappresentanza di laici, se non simbolica, perché spetta ai detentori dell’autorità condannare comportamenti devianti propri di chi aveva il potere di assumere le responsabilità". Per quanto riguarda i "peccati" di oggi, la Codrignani elenca: "Il sabotaggio delle determinazioni del Concilio Vaticano II, la mancanza di collegialità e di rispetto della democrazia come valore valido non solo in sede laica; l’autoritarismo ed il verticismo che dalla Curia alle parrocchie tengono i fedeli costretti ad una obbedienza che non è una virtù; l’esistenza dell’Ordinariato militare e dei cappellani di carriera nell’esercito, l’irrilevanza dei laici nelle responsabilità della Chiesa; l’assenza di libertà di ricerca teologica; il ritardo notevole nella realizzazione dell’unità dei cristiani e di dialogo con le altre religioni monoteiste, segnatamente con l’Islam; la discriminazione delle donne davanti all’altare". "Dichiarare il proprio pentimento - risponde da parte sua Giorgio Vecchio, professore di storia contemporanea all’Università di Parma - è compito di ciascuna cristiana e di ciascun cristiano, così come di ogni comunità più o meno ampia. Ne consegue che ciascuno (a livello personale e come membro di una comunità) è tenuto a pentirsi, a sollecitare una riflessione comune finalizzata al pentimento collettivo. Ha pienamente e doverosamente titolo il papato di riflettere sui propri comportamenti passati e di chiedere perdono, hanno titolo le singole diocesi, parrocchie, associazioni, laici singoli. Appare importante che il proclamato pentimento del papato non sia inteso come atto di vertice, ma anche come stimolo ad analoghe forme di pentimento nella Chiesa locale". Lo storico nota poi che "al momento sembra carente nella gerarchia della Chiesa cattolica una riflessione sui limiti non solo dei singoli cattolici che hanno sbagliato (come viene spesso ricordato anche da Giovanni Paolo II a proposito della Shoah), ma della istituzione Chiesa in quanto tale. Quali abitudini, norme, insegnamenti all’interno della istituzione Chiesa hanno facilitato/provocato/non condannato per tempo gli errori dei singoli? Quale spinta al conformismo, alla paura di esporsi, al silenzio comodo hanno aiutato a commettere gli errori di cui oggi ci si vuole pentire?". "In una prospettiva di fede - afferma nella sua risposta a Imwac-Italia Nicola Colaianni, giurista - il pentimento è ineludibile perché è anzitutto un esercizio di memoria: non mnemonica, come quella dei ragazzi a scuola, o archivistica, come quella del computer, ma selettiva, ricercatrice, capace di sottrarre all’oblio gli eventi del passato per ricusarli se negativi o ripeterli se positivi. Il ricordo - scriveva Giuseppe Dossetti con riferimento anche ai silenzi ecclesiastici sui delitti commessi dai nazisti - deve essere continuato, divulgato e comunitario per "conservare una coscienza non solo lucida, ma vigile, capace di opporsi ad ogni inizio di sistema del male, finché ci sia tempo"". "Che poi a dichiarare il pentimento nella e per la Chiesa cattolica cominci il papa mi sembra inevitabile e giusto. Innanzitutto per le ripercussioni a cascata che in un organismo gerarchicamente ordinato, come la Chiesa cattolica, può avere il pronunciamento del papa: ed in realtà gli effetti si vedono nelle Chiese locali, anche nel senso di far venire allo scoperto posizioni contrarie perché tributarie di una diversa concezione del rapporto con la società e con la storia (penso a dichiarazioni del card. Biffi arcivescovo di Bologna, o di Sandro Maggiolini, vescovo di Como)". Per quanto riguarda l’Inquisizione, rileva Colaianni, "confessare l’errore di questo sistema è gran cosa, ma forse ancor più grande sarebbe che all’atto fosse allegata una lista di tutte le persone che l’Inquisizione ha incarcerato o mandato al rogo". In conclusione, "se c’è un limite nelle attuali dichiarazioni di pentimento è che esse riguardano prevalentemente il passato remoto, come se la Chiesa d’oggi - anzi a partire, diciamo, dalla Rivoluzione francese in poi - non abbia nulla di cui pentirsi: sensazione avvalorata dalla prossima elevazione agli onori degli altari [la beatificazione è prevista il 3 settembre 2000, ndr] di un papa storicamente quanto meno controverso come Pio IX, che pure nel 1868 non seppe trovare la forza di concedere la grazia ai due patrioti condannati a morte, Giuseppe Monti e Gaetano Tognetti, opponendo un secco rifiuto - non diverso da quello opposto frequentemente in questi anni dai governanti alla analoghe istanze rivolte da papa Wojtyla - perfino all’intervento in loro favore di re Vittorio Emanuele II".
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