Messaggio da Harare, dicembre 1998

"Essere insieme sotto la croce in Africa"

Al suono dei tamburi dell'Africa, ci siamo riuniti ad Harare, in Zimbabwe, rappresentando più di trecento Chiese, per l'VIII Assemblea del Consiglio Ecumenico delle Chiese. Salutiamo i nostri fratelli e le nostre sorelle in Gesù Cristo nel mondo intero: condividono con noi, nella gioia, la vita e la comunione della Santa Trinità.

Il Consiglio Ecumenico delle Chiese ha iniziato il suo cammino di fede con l'Assemblea di Amsterdam, cinquant'anni fa. Quell'Assemblea affermava senza possibilità di equivoci: "Siamo decisi a restare insieme". Il nostro pellegrinaggio, che è passato da Evanston, Nuova Delhi, Uppsala, Nairobi, Vancouver e Canberra, ci ha portati a rallegrarci della speranza, della missione, della visione, della libertà, della vita e del rinnovamento che Dio ci dona.

Il tema della nostra Assemblea, "Rivolgetevi a Dio. Rallegratevi nella speranza>, ci invita a portare nuovamente i nostri sguardi verso ciò che costituisce il fondamento stesso della nostra fede e della nostra vita come Chiese e a scoprire la speranza che ci porterà oltre. In quest'anno del nostro giubileo, proclamiamo la buona notizia ai poveri, ai prigionieri la liberazione, ai ciechi la vista, la libertà agli oppressi, e un anno di grazia del Signore.

Riuniti in un'assemblea piena di gioia, ci invitiamo a vicenda e invitiamo tutta la Chiesa a camminare verso quell'unità visibile che è il dono che Dio ci fa e la chiamata che Egli ci rivolge. Abbiamo scoperto che il Cristo è contemporaneamente il centro della nostra unità e la nostra sorgente d'acqua viva. Confessiamo che ci siamo spesso allontanati dai disegni di Dio e dal servizio del suo regno. Ne siamo afflitti e pentiti.

La vita dell'Assemblea si è svolta intorno alla celebrazione, alla preghiera e allo studio della Bibbia. Nel centro del nostro luogo di culto era stata eretta una grande croce che portava scolpita, nel suo centro, il continente africano. Effettivamente, la gioia che abbiamo vissuto durante la nostra Assemblea nasce in parte dal fatto che eravamo in Africa. Qui abbiamo sentito la vita, la crescita, la vitalità della fede delle comunità locali. Ci siamo rallegrati contemplando la bellezza e le meraviglie della creazione di Dio. Ci siamo ricordati che proprio in Africa la Santa Famiglia e il bambino Gesù hanno trovato un rifugio. Ai giorni nostri, in Africa, come negli altri continenti, si trovano molte persone sradicate dalle loro terre, molti senza tetto e molti rifugiati.

Spinti dalla potenza della croce, ci siamo ricordati che proprio la croce è il terreno più sacro davanti al quale anche i sandali di Dio devono essere tolti. Abbiamo visto intorno a noi la sofferenza e il dolore dell'umanità. Abbiamo incontrato i problemi allarmanti della povertà, della disoccupazione, dei senza tetto, che ci sono qui come ovunque. Abbiamo ascoltato delle conseguenze catastrofiche della globalizzazione e dei programmi di aggiustamento strutturale, che fanno sì che coloro che sono deboli e poveri diventino sempre meno "visibili". Abbiamo ascoltato le nostre sorelle e i nostri fratelli condividere con noi la realtà sinistra della crisi dell'indebitamento nei Paesi in via di sviluppo. Chiediamo l'annullamento del debito in un modo che sia favorevole ai poveri e agli emarginati e che rispetti i loro diritti umani.

Abbiamo desiderato ardentemente tendere la mano alle persone colpite dall'AIDS. Siamo stati accanto ai nostri fratelli e alle nostre sorelle disabili, che hanno qualcosa da dare a coloro che sono incapaci di comunicare con loro. Abbiamo ascoltato tra di noi la voce dei popoli autoctoni che reclamano il posto che è loro per diritto. Abbiamo ascoltato di donne, bambini, rifugiatl, persone sradicate dalle loro terre, le cui vite sono state devastate dalla violenza. Siamo stati sfidati ad esprimere la nostra solidarietà con loro, a impegnarci per eliminare la violenza e a promuovere la piena dignità umana di tutti. Andando verso coloro che sono alla periferia, Dio provoca sconvolgimento: mette la periferia al centro. In quanto Chiese, siamo chiamate a fare in modo che questi figli e queste figlie di Dio siano ben visibili.

Con il simbolo dell'acqua della fonte della vita abbiamo celebrato la fine del Decennio ecumenico delle Chiese solidali con le donne, prestando ascolto alla realtà troppo spesso dolorosa rivelata nella Parola viva e ascoltando l'appello a far sì che la solidarietà sia seguita dalla affidabilità. L'acqua che scorre su un suolo arido è indispensabile alla vita. Alla donna che si trovava accanto al pozzo Gesù ha offerto l'acqua viva, la guarigione e la vita nuova di cui aveva disperatamente bisogno. L acqua ci è servita più volte a rappresentare la chiamata di Dio. Siamo stati invitati a bere l'acqua della salvezza e ad affermare la nostra unione con tutti coloro che sono in Cristo. Siamo stati chiamati ad aiutare e a confortare gli isolati, gli afflitti, gli orfani, i poveri e a rimanere assetati finché le ferite del mondo non siano guarite.

Siamo stati messi di fronte alla questione del modo in cui incoraggare una maggiore partecipazione a tutti i livelli del movimento ecumenico e ci siamo chiesti in che modo le decisioni che prendiamo possono incontrare i bisogni e le attese delle persone che vengono da tante culture e tradizioni diverse. Ci siamo rallegrati dello spirito di responsabilità ampiamente dimostrato dai giovani durante tutta questa Assemblea. Esortiamo le Chiese a lasciare ai giovani lo spazio necessario per permettere loro di impegnarsi in tutti gli ambiti della vita e dei ministeri della Chiesa.

Radunati dall'amore di Dio, abbiamo anche cercato di capire un po' meglio cosa significhi l'essere insieme. Abbiamo studiato il modo in cui pensiamo il Consiglio Ecumenico delle Chiese e i modi in cui Dio ci ha chiamati a guardare al futuro insieme. Ci siamo rallegrati della koinonia (comunione) che si sta sviluppando fra i cristiani in molte parti del mondo e affermiamo ancora una volta che Dio ci ha chiamati a continuare a crescere insieme in questa comunione perché diventi realmente visibile. Ci rallegriamo dei segni di questa crescita, quali quello della speranza di una data comune di Pasqua.

Abbiamo anche sofferto per le divisioni che sussistono fra noi, rivelate in particolare dalla nostra impossibilità di celebrare insieme l'eucaristia, ma ci è stato costantemente ricordato che ciò che ci unisce è più forte di ciò che ci divide. La memoria cristiana non è centrata sul ricordo delle nostre divisioni ma sugli eventi salvifici della nascita, della vita, della morte e della risurrezione di Gesù Cristo. Per questo, il fatto di fare memoria insieme come cristiani è un aspetto essenziale della nostra volontà di volgerci a Dio per rallegrarci nella speranza. E' volgendoci a Dio e vedendo nell'altro il volto di Dio che conosciamo noi stessi e vediamo chi siamo. Ci troviamo qui nel centro di una spiritualità veramente ecumenica.

Ci siamo sforzati di lasciare degli spazi aperti gli uni per gli altri e di aprirne anche per coloro che, in questo mondo diviso, non riescono ad intrecciare relazioni. Durante l'Assemblea abbiamo dovuto trattare insieme una moltitudine di preoccupazioni e di impegni e questa è stata per noi l'occasione per scoprire in che modo lo Spirito guida la comunità di fede ben al di là di qualsiasi orizzonte individuale. Abbiamo fatto l'esperienza della ricchezza di Dio e dei molti modi nei quali possiamo rispondere alle sfide di un mondo che conta popoli aderenti a molte spiritualità diverse. Proclamiamo che la libertà religiosa è un diritto fondamentale della persona umana.

Il Consiglio Ecumenico delle Chiese ha iniziato il suo cammino nella fede nella determinazione di restare insieme. Questa stessa determinazione ci ha animati ad Harare, anche quando siamo stati coscienti delle difficoltà che dovevamo affrontare. Mentre per un tempo lungo le Chiese si sono impegnate a restare insieme, oggi ci impegniamo a essere insieme, in una continua crescita verso l'unità visibile, non solo nelle nostre assemblee e nei nostri incontri ecumenici, ma dappertutto. Il lavoro ecumenico deve essere, a tutti i livelli, al servizio di questo "essere insieme". La missione alla quale Dio chiama la Chiesa, la missione di servire il Regno di Dio, è indissociabile dalla chiamata ad essere uno: a Harare ci siamo resi conto, una volta di più, dell'immensità della missione che Dio ci chiede di condividere. Questo sfida noi, che siamo stati riconciliati con Dio mediante il sacrificio di Cristo sulla croce, a operare per la riconciliazione e la pace nella giustizia fra coloro che sono lacerati dalla violenza e dalla guerra.

Fratelli e sorelle, da questa VIII Assemblea del Consiglio Ecumenico delle Chiese, condividiamo con voi un messaggio di speranza. Il Dio che ci ha chiamati insieme ci guiderà al compimento di tutte le cose in Cristo. Il giubileo che è iniziato fra noi vi è trasmesso per celebrare la liberazione di tutta la creazione. Siamo stati capaci di rallegrarci nella speranza perché, una volta ancora, ci siamo rivolti verso Dio. Vi invitiamo a condividere con noi la visione che insieme abbiamo tradotto in parole e che noi preghiamo che diventi parte di una vita e di una testimonianza comune.

Aspiriamo all'unità visibile del corpo di Cristo, per affermare i doni di tutti, giovani e vecchi, donne e uomini, laici e ordinati.

Aspettiamo la guarigione della comunità umana, la pienezza dell'intera creazione di Dio.

Crediamo al potere liberatore del perdono che trasforma l'ostilità in amicizia e infrange l' ingranaggio della violenza.

Siamo interpellati dalla visione di una Chiesa che va incontro a tutti nella condivisione, nell'amore, nell 'annuncio della buona novella della redenzione di Dio, che è segno del Regno e a servizio del mondo.

Siamo interpellati dalla visione di una Chiesa, popolo di Dio in cammino, che lotta contro qualsiasi divisione fondata sulla razza, il sesso, l' età e la cultura e che opera per lagiustizia e la pace e la salvaguardia del creato.

Camminiamo insieme come popolo che ha fede nella risurezzione. In mezzo all'esclusione e alla disperazione, crediamo nella gioia e nella speranza, nella promessa della pienezza della vita.

Camminiamo insieme come popolo che prega. In mezzo allo sconcerto provocato dalla perdita delle identità, discerniamo i segni del compimento del disegno di Dio e aspettiamo la venuta del suo Regno.

 

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