DIVISE SUI TEMI RELIGIOSI, UNITE SUI PROBLEMI DEL MONDO. COSI LE CHIESE "MONDIALI" ALL'ASSEMBLEA DI HARARE Intervista a Luigi Sandri, inviato speciale ad Harare ROMA-(ADISTA) L'VIII Assemblea generale del Consiglio Ecumenico delle Chiese (Cec), svoltasi ad Harare lo scorso dicembre (vedi "Cronaca di Harare" e documentazione seguente) è stato certamente l'avvenimento ecumenico più significativo del 1998. La Chiesa cattolica romana, pur non essendo membro del Cec, ha partecipato all'Assemblea come "osservatore" con una delegazione di 23 persone. Il dibattito tra le diverse Chiese è stato di livello altissimo e ha pure registrato momenti di tensione e di contrapposizione su temi e problemi legati alle diverse situazioni culturali, sociali e politiche in cui vivono le stesse Chiese. Per avere una chiave di lettura del dibattito e della documentazione che ne è scaturita, Adista ha intervistato Luigi Sandri, inviato all'Assemblea di Harare, esperto di problemi ecumenici per essere stato a lungo corrispondente dell'Ansa dall'Unione Sovietica e da Israele. La prima impressione che si ricava a caldo dalla cronaca di Harare è che in quell'Assemblea il Cec e le Chiese che ne fanno parte abbiano vissuto momenti di grande travaglio. Insomma è stata un'assemblea cruciale? E perché? L'impressione è giusta. E stata un'assemblea cruciale per il Consiglio Ecumenico delle Chiese. Cruciale perché ha messo in grande evidenza la tensione tra l'ala protestante del Cec e quella legata alle Chiese ortodosse, in particolare quella russa; cruciale perché ha posto le basi che permetteranno, forse, di superare l'attuale difficile situazione; cruciale perché ha dimostrato come, al di là delle loro divisioni, le Chiese possano ritrovare un comune sentire se si pongono a servizio del mondo e dei più gravi problemi che oggi incombono sull'umanità. E qual è stato il nodo cruciale? Quello del variegato mondo ortodosso. Nelle Chiese ortodosse, in questi anni Novanta, dopo la caduta del comunismo, è andato crescendo il malessere verso il Cec, accusato di appoggiare gruppi e sètte occidentali che, con uno sfrenato proselitismo, hanno invaso i Paesi est-europei tradizionalmente ortodossi, a cominciare dalla Russia; e, ancora, di sostenere scelte, legate al Protestantesimo occidentale - ministeri femminili, linguaggio inclusivo, apertura alle religioni non cristiane, comprensione verso gli omosessuali - considerate del tutto inaccettabili per l'Ortodossia. Ma già prima dell'Assemblea c'era aria di crisi con le Chiese ortodosse? Nel '97 e '98 due Chiese - la georgiana e la bulgara sono uscite dal Cec. La Chiesa russa è rimasta ma, diversamente da quasi tutte le altre delegazioni ortodosse, pur essendo presente ad Harare, in linea di principio non ha partecipato né alle votazioni né ai culti (non eucaristici) comuni. Poi ha posto un ultimatum: o il Cec attua radicali cambiamenti, o anch'essa - cioè la più numerosa delle Chiese aderenti al Consiglio - lo abbandonerà. E comunque tutte le altre Chiese ortodosse, sia pure con toni più sereni, hanno chiesto una riforma del Cec. Come hanno reagito le altre Chiese e la leadership del Cec? Nella relazione introduttiva il segretario generale, Konrad Raiser, aveva già prospettato la necessità di una riforma che l'Assemblea ha fatto propria approvando l'istituzione di una Commissione mista Cec-Ortodossia che, non prima del 2002, dovrà proporre i necessari cambiamenti nella struttura, nello stile e nell'ethos del Cec per permettere appunto agli ortodossi di sentirsi a casa loro nel Consiglio Ecumenico. Un'ipotesi di cambiamento - da verificare - sug gerisce che le Chiese entrino nel Consiglio non più come singole, ma all'interno della rispettiva famiglia confessionale (ortodossa, protestante, anglicana). In attesa dei futuri cambiamenti, i delegati russi hanno sospeso comunque la loro partecipazione ai lavori del Comitato centrale del Consiglio. La riuscita, o l'insuccesso, di questa Commissione dipenderà anche da come sarà concretizzata la rinnovata piattaforma ecclesiologica e politica del Consiglio, approvata ad Harare con il titolo "Verso una comprensione e visione comune del Cec (Cuv, in sigla inglese). Dalla lettura di questi elementi sembra che ad Harare le Chiese abbiano preso atto che le loro strade e le strade dell'ecumenismo sono cosparse di spine, di qualche risultato e di molte speranze. Oltre il progetto di riforma, quale altro elemento hai visto come premessa di un futuro ecumenico più di fatti che di parole? L'Assemblea ha voluto e ha approvato la nascita di un Forum di tutte le Confessioni cristiane. Spiego cos'è. Tenuto conto che il Cec è una "parte" del movimento ecumenico, ma non il "tutto", il Consiglio - come "uno degli sponsor", non come "unico" - intende promuovere un incontro con altre organizzazioni ecumeniche internazionali (la Federazione luterana mondiale, l'Alleanza riformata mondiale...) e, si spera, anche con le Chiese pentecostali. Ma soprattutto con la Chiesa cattolica romana, la più numerosa a non far parte del Cec, anche se dodici suoi teologi sono membri a pieno diritto di "Fede e Costituzione", I'organismo del Cec che approfondisce i problemi ecclesiologici. Fuori dalle belle parole, con un po' di scetticismo, potrebbe rivelarsi questo Forum il solito grande summit produttore di documenti e buoni propositi? Mi pare di no. Il Forum non dovrebbe votare documenti o dibattere sui contrasti ecclesiologici tra le Chiese, ma semplicemente favorire la loro mutua conoscenza e sviluppare i rapporti reciproci per servire meglio, insieme, il mondo. Il capo degli "osservatori" cattolici ad Harare, mons. Mario Conti, vescovo della diocesi scozzese di Aberdeen, non ha escluso che la Santa Sede accetti di partecipare al Forum; ma, naturalmente, non senza prima aver ottenuto "chiari menti" sulla sua natura e sulle sue prospettive.
Qual è la data prevista? Il Forum potrebbe forse svolgersi alla Pentecoste del 2001, e potrebbe tirare la volata ad un esito positivo dei lavori della Commissione mista Cec-Ortodossia. Spetterà comunque alla futura IX Assemblea del Cec valutare le prospettive aperte dal Forum e poi le proposte della Commissione mista. Nessun esito, dell'una e dell'altra iniziativa, può oggi essere dato per scontato; anche se ad Harare forte è stata la consapevolezza che nessuna Chiesa da sola, né le Chiese nel loro insieme, possono permettersi il lusso di una lacerante contrapposizione. Per stemperare i rigori invernali che ora gravano sul movimento ecumenico, importanti saranno le iniziative di dialogo locali e la crescita dei rapporti personali e comunitari già avviati, a vari livelli, tra Chiese "sorelle". Su quali grandi temi hai visto le Chiese trovarsi più divise e su quali invece le hai viste più unite? Come sempre avviene, è sui molti problemi ecclesiologici ed etici che le Chiese si trovano divise e ad Harare questo è stato chiarissimo. Invece, quando si sono soffermate sui maggiori problemi del mondo, hanno rivelato una grande unità: rapporto Nord-Sud con tutti i suoi squilibri; globalizzazione; diritti umani (a cinquant'anni dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo in gran parte ancora non rispettati); problemi dell'Africa (povertà crescente, abisso tra ricchi e poveri, Aids, guerre intestine); status di Gerusalemme, città contesa tra israeliani e palestinesi; debito estero (per la sola Africa, 227,2 miliardi di dollari), con un forte appello ai Paesi del Nord perché, nello spirito del Giubileo biblico, all'alba del Terzo Millennio condonino completamente i debiti dei Paesi più disastrati, molti dei quali sono proprio in Africa. Tuttavia non mi sembra che sia emersa compiutamente ad Harare la consapevolezza di quello che significhi, per le Chiese, spendersi per contribuire a sanare i problemi cruciali del mondo e degli impoveriti del mondo, e, in questa situazione, ripensare la propria ecclesiologia; certo, in questa direzione sono venuti comunque input preziosi che fanno sperare la stagione decisiva per questa conversione.
|