Al Presidente al Consiglio di Amministrazione al Direttore Generale ai Direttori di Rete della RAI TV
Pur riconoscendo il costante sforzo di perseguire nell’informazione e nella programmazione della RAI TV la rappresentazione pluralista degli interessi e delle opinioni presenti nella società, riteniamo doveroso segnalare che, in materia d’informazione e cultura religiosa, il servizio pubblico radiotelevisivo - come la gran parte dei mezzi "privati" d’informazione italiani - opera una sorta di rimozione, per cui si ignora quasi totalmente la ricchezza e la pluralità di esperienze e di opinioni all’interno della Chiesa cattolica, nazionale e internazionale. Si tratta, probabilmente, di pratiche professionali disattente, più che di meccanismi censori. Ma il risultato resta obiettivamente grave: i cittadini, cattolici e non, sono privati di notizie e di punti di vista significativi sul piano culturale, sociale e politico. Il servizio pubblico, in pratica, rende visibile quasi esclusivamente la dimensione centralizzata e personalizzata del vertice ecclesiastico (Papa e Presidenza della CEI) oppure, più raramente, quella della pietà popolare (apparizioni, guarigioni, esorcismi, ecc). Se da un lato apprezziamo e incoraggiamo quelle trasmissioni che la RAI TV dedica ad eventi o problemi religiosi secondo la logica di un vero e fecondo pluralismo (esemplare è la recente puntata di Pinocchio dedicata a Don Gallo), dall’altro registriamo una prassi quotidiana per cui il "servizio pubblico" omette sia l’informazione che la discussione di quei "casi" che appaiono sulle pagine dei giornali: risulta francamente sorprendente che, solo per parlare di questi ultime settimane, siano stati occultati agli utenti della RAI TV gli echi relativi ai "casi" di P. Dupuy, di Don Zega, e di Lombardi Vallauri, "casi" che potrebbero costituire motivo per approfondimenti e conoscenze di grande utilità e interesse per tutta la comunità civile. Ma vi sono anche informazioni viziate o devianti, che mostrano solo una faccia della "luna": ci riferiamo, ad esempio, all’enfasi con cui sono state sottolineate in tutti i TG alcune affermazioni del Papa rivolte ai vescovi austriaci, senza dare notizia degli avvenimenti che avevano preceduto e motivato l’intervento del Papa, e cioè del "dialogo della Chiesa di Austria", svoltasi qualche settimana prima a Salisburgo. Confortati dalle opinioni di autorevoli studiosi non cattolici, riteniamo che lo sviluppo della cultura non possa prescindere dalla dimensione "religiosa", e che questa non sia di pertinenza esclusiva delle "religioni" o delle autorità religiose: pertanto, così come la conoscenza del mondo animale non può essere delegata agli allevatori e la conoscenza della tecnica non può essere appaltata alle imprese, altrettanto deve avvenire con la cultura "religiosa", che non può essere "riserva" esclusiva delle religioni o delle autorità religiose.
Ci sembra, dunque, compito ineludibile del servizio pubblico radiotelevisivo predisporre una programmazione della cultura e dell’informazione che speri l’attuale semplificazione, per cui la "religione" coincide con l’autorità confessionale e il professionista del servizio pubblico con il "vaticanista". La complessità e il pluralismo sono interni allo stesso universo cattolico, dove ormai le opinioni relative a valori morali e a scelte pastorali si differenziano sensibilmente da quelle dell’autorità: ne fanno fede, ad esempio, i risultati di ricerche realizzate da autorevoli istituti demoscopici, con il coordinamento del Prof. Greeley, in sette nazioni (Italia, USA, Spagna, Irlanda, Filippine, Germania e Polonia) su cattolici praticanti. La maggioranza dei cattolici (con l’eccezione dei Filippini) preferisce che il Papa: 1. sia più aperto ai cambiamenti (media 61); 2. consenta ai laici di avere più voce nella Chiesa (media 71); 3. permetta che i vescovi siano eletti dai parroci e fedeli (media 57); 4. conferisca più potere ai vescovi (media 55); 5. permetta ai sacerdoti di sposarsi (media 63); 6. permetta alle donne di essere ordinate sacerdote (media 54). Ai vertici e agli operatori della RAI TV domandiamo: non sarebbe ora che queste, ed altre, ricerche demoscopiche fossero conosciute dai cittadini e dai cattolici, e che nei dibattiti o nei commenti si desse spazio anche a quella "opinione pubblica" che non coincide con la quella ufficiale? A rendere più legittimo e possibile il pluralismo delle voci nella realtà del cattolicesimo italiano c’è il fatto che la CEI si è dotata recentemente di una propria emittente televisiva, attraverso la quale può svolgere il proprio compito educativo-informativo senza vincoli statali. Sarebbe, quindi, opportuno che il servizio pubblico passasse ad assumere in proprio l’informazione religiosa, come esige una società civile e pluralista. Mentre ci auguriamo che il nostro appello sia accolto come espressione della volontà di contribuire alla valorizzazione sia della religione che della democrazia, porgiamo ai dirigenti e agli operatori della RAI TV i nostri più cordiali ringraziamenti per il loro lavoro.
Il comitato nazionale del "Movimento Internazionale Noi Siamo Chiesa"
Roma 6 Dicembre 1998
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