Goiás, festa di Pasqua 2001 Cari fratelli e sorelle, Il Signore è veramente risorto, alleluia! Per chi crede, questo grido ostinato di fede offre nuove ragioni per vivere e sperare, pur in mezzo a tanti dolori e lotte della vita. È quest’annuncio che ci riunisce nuovamente, in questa Pasqua 2001, qui a Goiás e in tutte le comunità in cui risuona lo stesso canto di fiducia nella vita. In questi giorni una parte almeno dei fratelli e sorelle legati alla nostra comunità giunge qui in monastero, per celebrare con noi la profezia pasquale. Vi sto scrivendo per dirvi che vi sentiamo qui con noi e noi lí con voi per celebrare questa Pasqua nuova. È questa la prima Pasqua del millennio, la prima dopo il Giubileo dell’anno 2000, con le grazie, ma anche con le sfide che esso ha comportato. Giovanni Paolo II ha chiuso il Giubileo con la lettera "Tertio Millenio Ineunte", un bel documento, dal tono più personale e affettuoso di altri testi recenti del magistero romano. In questa lettera, il papa insiste sul primato della spiritualità come parte integrante dell’azione pastorale e non solo come condizione della sua efficacia. Insiste sulla priorità dell’ecumenismo e del dialogo interreligioso e pone la domanda: "Trentacinque anni dopo il Concilio, il Giubileo è stato per la Chiesa l’occasione per un nuovo impulso alla sua missione evangelizzatrice e per interrogarsi sul suo rinnovamento. Sarà che il Giubileo ha raggiunto quest’obiettivo?". A tal fine, è importante che la Chiesa diventi nuovamente "casa e scuola di comunione". Il papa offre esempi di ciò, citando la Regola di San Benedetto che impone all’abate di consultare tutti i fratelli, perché "spesso, Dio rivela al più giovane ciò che è meglio". Insiste anche che la Chiesa torni ad essere "dei poveri", tema quasi proibito negli ultimi anni: "I poveri devono sentirsi in ogni comunità cristiana como nella loro propria casa". Speriamo che questa luce della Parola diventi luce nell’azione coerente delle Chiese e noi celebriamo questa Pasqua, vedendo, come segnale di speranza, il fatto che, quest’anno, la Pasqua viene celebrata da noi cattolici, dalle Chiese orientali e dalle comunità ebraiche quasi negli stessi giorni. Un segno di questa Pasqua nuova è anche l’articolazione e organizzazione di tanti gruppi laici e di persone che si sentono emarginate dalla struttura ecclesiastica e che continuano nondimeno un cammino di fede. Basti menzionare per tutti la realtà, diffusa a livello internazionale, di "Noi siamo Chiesa". Ciò che accomuna questi gruppi è il desiderio di una maggior partecipazione di tutti, uomini e donne, nella vita della Chiesa e la richiesta di un servizio ecclesiale più profetico reso alla trasformazione del mondo. Quest’anno la settimana di Pasqua coinciderà con date significative del calendario civile. Il 17 aprile è la "Giornata internazionale della lotta contadina", una sorta di 1o maggio delle categorie bracciantili; il 19 aprile è il "Giorno panamericano dell’Indio", e il 22 aprile la "Giornata della Terra". Queste memorie ci ricordano l’urgenza e la necessità di trasformazioni, che la Pasqua celebra a livello di fede. Qui in Brasile, cinque anni fa, nel 1996, la Polizia militare dello Stato del Pará assassinó 23 persone di una comunità di contadini sem-terra, a Eldorado de Carajá. Per chi è cristiano, questa tragedia richiama la crocefissione di Gesù e la sua Pasqua. Lo scorso anno, più di tre mila indios presero l’inizaitiva di una camminata simbolica a Porto Seguro per ricordare i 500 anni dall’invasione e tutte le sofferenze che il processo di colonizzazione significó per la loro gente. Nonostante la dura repressione e le aggressioni che dovettero subire da parte della polizia federale, i delegati indigeni si riunirono e stilarono un documento che fu poi diffuso nel mondo intero e che riveló la loro resistenza e la loro speranza di vita: Pasqua nuova del nostro tempo. Quest’anno, il bel manifesto della Settimana dei Popoli Indigeni mostra bambini tupinambá, uno dei popoli, fino a poco tempo fa considerato pressocché estinto, oggi redivivo e organizzato. Credo sia bene, in questi giorni, far sapere al mondo che, in Brasile, 17 popoli indigeni, considerati definitivamente scomparsi negli ultimi trent’anni, appaiono oggi "risorti" Ricordano una canzone latino-americana, immortalata dalla voce di Mercedes Soza: "Quante volte mi hanno ucciso, quante volte sono morto, e tuttavia io sto qui, risorto..." Il testo preparatorio per la Settimana dei Popoli Indigeni - 2001 propone il tema: "Alla base della costruzione di altri 500" con l’obiettivo di stimolare un nuovo dialogo tra il complesso della società e i popoli indigeni. I popoli indigini ci si rivelano come segnali concreti di resistenza culturale, di speranza comunitaria e vi vita condivisa. Ci mostrano che è possibile vivere la dignità civica, rispettando la diversità etnica, valorizzando l’integrità della natura e riscoprendo una maniera più sana del vivere. Non abbiamo in ciò una sorta di programma pasquale? In questo Martedí Santo, facciamo memoria del martirio del Pastore luterano Dietrich Bonhöffer. Egli diceva "Cristo Risorto esiste in se stesso, ma si manifesta in forma di comunità" . Nella Conferenza dell’Episcopato latino-americano, tenuta a Puebla nel 1979, i vescovi ci invitavano a contemplare il volto di Cristo nelle fisionomie del popolo impoverito, migrante, sradicato dalla sua terra, soprattutto in quello indigeno. Quest’anno, i popoli indigeni ci appaiono ancora soffrendo la croce della miseria e dell’emarginazione a cui i grandi della terra li condannano, ma si rivellano in Messico, Equador, Bolivia e Brasile, come popoli risorti, Alla ricerca per il mondo intero di una Pasqua di giustizia e di fraternità, costruiamo insieme "le basi della costruzione di altri 500". "A tutti voi, una Pasqua santa e felice", è quanto vi augurano i fratelli e le sorelle del Monastero dell’Annunciazione con un abbraccio speciale del fratel Marcelo Barros |