Clodovis Boff sui Pentecostali in Brasile

Clodovis Boff, brasiliano, religioso dell'ordine dei Servi di Maria, è uno

dei principali esponenti della teologia della liberazione latinoamericana.

L'agenzia NEV lo ha intervistato ad Ariccia, dove ha svolto due relazioni

sul rapporto fra la Chiesa cattolica e le nuove Chiese, sotto il profilo

teologico e dell'impegno sociale, nell'ambito del seminario promosso dal

SEDOS - un organismo che riunisce varie congregazioni missionarie

cattoliche - sul tema "Ecumenismo e missione" (vedi il nostro articolo in

questo stesso numero).

Professor Boff, quali sono le dimensioni del fenomeno pentecostale in

America Latina?

Si tratta di un fenomeno in crescita e di grande visibilità. I dati non

sono certi, ma si parla di tre milioni e mezzo di cattolici che ogni anno,

in America Latina, diventano pentecostali: 400 persone all'ora! Per il

Brasile abbiamo statistiche più sicure: nel '91 i pentecostali erano il 10%

della popolazione (13 milioni), e oggi sono già 22 milioni. Insomma, alcuni

dicono che se questa tendenza continua fra vent'anni l'America Latina sarà

un continente pentecostale.

E questo crea una grande preoccupazione in casa cattolica?

Sì, anche se personalmente ritengo che quello delle nuove chiese sia un

problema secondario. Il vero problema è il fatto che la loro crescita è il

risultato di un triplice abbandono. Anzitutto, un abbandono sociale: le

nuove Chiese sono la religione dei poveri, sono - come mi diceva con una

immagine efficace un taxista battista a Rio de Janeiro - il "centro di

rianimazione dei miserabili". Paul Freston, un sociologo britannico che

lavora in America Latina, afferma che la miseria sociale svuota le chiese

convenzionali e riempie le sette. In secondo luogo, la crescita

pentecostale è frutto di un abbandono esistenziale, della crisi del senso

della vita nella società moderna, secolarizzata e spersonalizzante. Infine,

vi è un abbandono pastorale, che per la Chiesa cattolica è dovuto

senz'altro a fattori quantitativi - la grande crescita demografica, la

mancanza di quadri e strutture - ma anche qualitativi: dov'è la nostra

creatività pastorale? Quello che sappiamo proporre è quasi sempre solo il

modello parrocchiale classico. Le nostre strutture sono troppo pesanti e

accentrate per adattarsi alle nuove realtà, e sono anche troppo

razionalizzate. Quello che ci manca è mistica, potere di appello, di

convocazione. Le nostre chiese funzionano bene, ma siamo troppo preoccupati

da questioni dottrinali, morali, amministrative e ci manca la fiamma dello

Spirito. Infine vorrei dire a chi si preoccupa tanto delle "perdite" di

fedeli: erano veri cattolici quelli che diventano pentecostali? Di solito

si tratta di cattolici all'acqua di rose, persone che hanno un rapporto

molto debole con l'istituzione e una fede molto tradizionale. In questo

senso, per molti di loro passare a una nuova chiesa è un progresso

religioso, è fare un'esperienza cristiana autentica. Insomma, è un successo

dell'Evangelo. Il successo delle "sette", bisogna riconoscerlo, si deve più

ai loro pregi che alle nostre mancanze.

E quali sono i pregi del movimento pentecostale?

unità pentecostali; il forte senso di identità,

che dà autostima e crea dignità; la partecipazione comunitaria a culti

vivi, la preghiera fatta non con formule ma in libertà, la partecipazione

attiva ai vari ministeri; ancora, un messaggio vitale cristocentrico, un

rigore etico, un entusiasmo nell'evangelizzazione. Come fattori oggettivi

menzionerei la capacità di penetrazione fra le fasce più povere della

popolazione, la flessibilità istituzionale, la grande capacità di

comunicazione, l'intraprendenza apostolica. I pastori pentecostali sono dei

professionisti della pastorale: anche se spesso la mentalità non è moderna,

lo sono i metodi pastorali. Sono dei grandi comunicatori: nel caso di un

dibattito fra un pastore pentecostale e un vescovo cattolico, di solito è

il primo ad avere la meglio: perché il vescovo ha la lingua legata dai

dogmi e dai canoni, mentre il pastore ha la libertà dello Spirito.

Naturalmente, accanto a queste luci si possono intravvedere altrettante

ombre: l'emozione rischia di diventare emozionalismo ai limiti

dell'isteria, a volte non si crea comunità ma una sorta di supermercato

religioso, il forte senso di identità può trasformarsi in arroganza e

settarismo, la lettura biblica è fondamentalista e vi è una carenza di

cultura teologica, il rigore etico può scadere in perbenismo, vi è il

rischio di manipolazione delle masse, posizioni politiche spesso alienate e

alienanti, un atteggiamento antiecumenico e antidialogico. Ma se mettiamo

sulla bilancia luci e ombre il bilancio è fondamentalmente positivo.

L'arcivescovo brasiliano dom José Maria Pires sostiene che dal punto di

vista dei poveri il pentecostalismo è fondamentalmente benefico: i poveri

ci guadagnano. E io sono sostanzialmente d'accordo con lui: alle volte mi

viene da ringraziare Dio perchè le chiese pentecostali consolano i poveri,

li inquadrano, danno loro dignità. Il criterio per giudicare il fenomeno

non è la chiesa cattolica, ma il Regno di Dio. Ciò che conta è che Cristo

sia annunciato.

Quale può essere una possibile strategia per un rapporto positivo fra le

chiese storiche e i pentecostali?

Non è facile instaurare un rapporto perchè in generale queste chiese si

caratterizzano per uno spirito fortemente antiecumenico. Occorre però

capire le ragioni del loro antiecumenismo: anzitutto la "psicologia dei

convertiti", destinata a temperarsi nella seconda generazione, poi una

identità forte affermata nel contesto di una notevole competitività sul

"mercato religioso"; infine spesso l'ecumenismo - caratteristico delle

chiese protestanti storiche, fortemente impegnate sul piano sociale - è

malvisto perché accusato di "comunismo". Credo comunque che sia sbagliato

demonizzare le nuove chiese, e che una strategia di contrapposizione

frontale sia perdente. Penso piuttosto che bisogna sforzarsi di capire

queste nuove realtà, di rispettare le scelte religiose delle persone, di

operare un discernimento delle pratiche, apprezzando ciò che vi è di

positivo e rifiutando gli aspetti negativi, ed infine occorre sfruttare

tutti gli spiragli di incontro, cercando di vedere queste chiese non come

concorrenti ma come compagne di strada nella predicazione del Vangelo. In

fondo, si tratta di chiese che vivono nella storia, e quindi cambieranno, e

già si vedono spiragli. Molte di queste chiese, nel continente, aderiscono

agli organismi ecumenici come il Consiglio latinoamericano delle chiese o

il Consiglio ecumenico. Ci si comincia ad incontrare sul piano dell'impegno

sociale, vi è una sete di approfondimento della fede, per cui accade che ai

corsi biblici organizzati dalle Chiese storiche vi sia una certa presenza

pentecostale. Anche al recente incontro delle Comunità ecclesiali di base

del Brasile vi era una significativa partecipazione pentecostale. Insomma,

occorre approfittare delle brecce che si aprono, affidandosi allo Spirito,

che è sempre imprevedibile.

 

Roma Maggio 1999




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