"LA PREGHIERA, RESPIRO DELLE RELIGIONI- La sessione speciale del S.A.E di agosto Roma (da Notizie Evangeliche-NEV), 4 agosto 1999 - Parlare di preghiera e sperimentare diverse forme di preghiera in un luogo "laico", in una rinomata stazione termale come Chianciano: e' la sfida lanciata dal Segretariato attivita' ecumeniche (SAE), il movimento interconfessionale di laici per l'ecumenismo e il dialogo fondato da Maria Vingiani nel 1947, con la sua XXXVI Sessione di formazione ecumenica dedicata, appunto, alla preghiera nelle varie esperienze religiose e svoltasi a Chianciano Terme (Siena) dal 25 al 31 luglio, con la partecipazione di circa 400 fra corsisti, relatori ed esperti, appartenenti alle tre grandi tradizioni cristiane (cattolici, ortodossi, protestanti), all'ebraismo e alle grandi fedi viventi: islam, induismo, buddhismo. Introducendo i lavori della Sessione, la presidente del SAE, Elena Milazzo Covini, ha voluto sottolineare la "laicita'" del luogo scelto per l'incontro: non un monastero ma uno spazio "secolare", ha detto, da un lato idoneo al confronto fra tradizioni diverse, e dall'altro significativo perche' c'e' bisogno che la preghiera entri nel vissuto della gente, nel mondo. Il valdese Gioachino Pistone ha poi illustrato il percorso che lega questa Sessione alle precedenti, sottolineando che l'incontro non vuole essere una sessione di studi interreligiosi, bensi' un'occasione di formazione ecumenica: "Mettersi in dialogo di voci che vengono da tradizioni diverse allo scopo di arricchire la prassi, la spiritualita' e la teologia dell'ecumenismo fra cristiani". Piero Stefani, studioso cattolico di ebraismo, ha concluso la parte introduttiva con una citazione di un testo egizio del quindicesimo secolo avanti l'era volgare, in cui un credente cieco prega il Dio Ammon chiedendo di poter vedere la luce, ma anche ringraziando la divinita' perche' egli puo' vedere le tenebre: una preghiera, ha detto Stefani, che pur appartenendo a una fede non piu' vivente, ci parla ancora perche' esprime il senso di "radicale dipendenza nella poverta'" del credente e, insieme, "l'aspirazione a quello che ci manca". Dupuis :la preghiera comune tra cristiani e "altri" è possibile ed auspicabile La relazione fondamentale della Sessione, sul tema "Pregare insieme: perche', come?" e' stata affidata al gesuita dell'Universita' Gregoriana di Roma. Dupuis ha evocato la giornata di Assisi convocata dal Papa nel 1986 come primo grande esempio di preghiera interreligiosa, anche se in quel contesto non si tratto' di "pregare insieme" bensi' di "stare insieme per pregare", ciascuna tradizione religiosa per conto proprio. Tuttavia, ha detto Dupuis, sia pure evitando i rischi di sincretismo e relativismo, una vera e propria preghiera comune interreligiosa e' possibile e auspicabile. Tale preghiera comune e' radicata nell'origine comune e nel comune destino dell'intera famiglia umana, nella presenza universale dello Spirito Santo, nell'universalita' del "Regno di Dio", che va oltre i confini della chiesa, e nella considerazione delle diverse religioni come altrettanti doni di Dio ai popoli. Dopo aver messo in rilievo le ragioni teologiche che raccomandano la pratica della preghiera comune fra cristiani e credenti di altre religioni, citando fra l'altro testi biblici, dichiarazioni del Concilio Vaticano II, del Papa e della Conferenza episcopale indiana, padre Dupuis ha illustrato le possibilita' e modalita' concrete di preghiera comune con ebrei, con i musulmani e con i fedeli delle religioni orientali, sottolineando le condizioni essenziali per una corretta impostazione di tali incontri: la considerazione delle diverse situazioni e delle particolarita' di ciascuna famiglia religiosa, l'opportunita' di scegliere preghiere sinceramente condivise, l'adeguata preparazione dei partecipanti. "La pratica della preghiera comune - ha concluso Dupuis - e' basata su una comunione nello Spirito di Dio condivisa in anticipo da tutti, la quale cresce e va approfondita mediante tale pratica. Essa appare quindi come l'anima del dialogo interreligioso, come pure la garanzia di una conversione comune piu' profonda di tutti verso Dio e verso gli altri".
LA PREGHIERA NELL'ORTODOSSIA, NEL CATTOLICESIMO E NEL PROTESTANTESIMO Quale posto occupa la preghiera nelle diverse tradizioni cristiane? Su questo tema si sono confrontati, a conclusione della prima giornata di lavori, il prof. Paolo Ricca della Facolta' valdesedi teologia (Roma), don Manlio Sodi dell'Universita' Salesiana di Roma e l'archimandrita ortodosso greco Athanasios Hatzopoulos, docente di teologia in Svizzera. Il prof. Ricca ha richiamato l'attenzione sullo specifico contributo dell'esperienza protestante: "A cominciare dai riformatori - ha detto - la preghiera e la critica della preghiera si richiamano e si intrecciano". La critica dei riformatori si articola almeno su tre punti: la preghiera non va intesa come opera meritoria; cio' che conta e' la qualita', non la ripetizione o la moltiplicazione delle preghiere; solo il Padre e' il destinatario delle preghiere dei credenti. Dal Padre Nostro alle semplici e brevi preghiere che scandiscono la giornata, la Riforma, con la sua opera di "alfabetizzazione cristiana del popolo", ha inteso mettere la preghiera al centro della catechesi. Anche le critiche "esterne" al cristianesimo, mosse nel corso dei secoli da pensatori come Kant, Feuerbach, Freud, sono fondamentali: "Esse ci rendono avvertiti di quanto sia difficile pregare - ha affermato Ricca -, di quanto sia rara la preghiera". "La preghiera - ha proseguito Ricca - rivela quindi la struttura dialogica dell'essere umano". Pregare infatti significa "avventurarsi in mare aperto, riconoscere che di fronte all'Altro non si puo' restare spettatori, ma bisogna rischiare la fede". E la fede stessa e' preghiera: "Credere e' pregare e i vari tipi di preghiera rivelano i molteplici aspetti della fede". La preghiera e' dunque un atteggiamento, un modo di esistere del credente. Per questo motivo - ha concluso Ricca - la piu' alta richiesta che si possa rivolgere a Dio e' "insegnaci a diventare preghiera vivente". Don Manlio Sodi ha proposto in primo luogo alcune riflessioni sintetichesulla storia delle forme di preghiera nella tradizione cattolico romana, sottolineando l'intreccio ricorrente e fecondo fra la preghiera personale e quella comunitaria, fra la preghiera ufficiale e le numerose forme di pieta' popolare che si sono sviluppate nel corso dei secoli. Di seguito ha ricordato alcuni aspetti della preghiera liturgica: la centralita' della Parola, che resta il fondamento di ogni espressione di preghiera; l'importanza del linguaggio simbolico, che "ricorda che comunichiamo con tutti noi stessi e che il coinvolgimento di tutta la persona e' un dato essenziale"; la consapevolezza di essere sempre in cammino, in un itinerario spirituale mai concluso, che va accompagnato e sostenuto dalla preghiera liturgica. Nel rapporto con altre esperienze religiose - ha concluso - bisogna "educare all'esperienza della preghiera". "Educare al dialogo con il Dio della vita": questa e' la vera sfida di ogni espressione di preghiera. L'archimandrita Hatzopoulos ha offerto alcuni spunti di riflessione sullapreghiera nella tradizione cristiana orientale, con una attenzione specifica al pensiero patristico. Per la tradizione orientale - che pure lascia ampio spazio alla preghiera personale - resta centrale la dimensione comunitaria del pregare: "Dove due o tre persone sono riunite nel suo nome - ha ricordato - la' e' certa la presenza di Cristo". Dunque la preghiera in forma comune, "memoriale" di cio' che Dio ha fatto e fa per il genere umano, e' al centro della vita cristiana. La sua pratica costante e perseverante costituisce inoltre un modo per "orientare il credente, aiutarlo a capire e acquisire il linguaggio della tradizione". Hatzopoulos ha sottolineato tre caratteristiche della preghiera nella tradizione della chiesa d'oriente: la partecipazione del corpo (e non solo di cuore e intelletto), la preghiera silenziosa (spesso accompagnata dal "komvoskini", il rosario ortodosso i cui nodi vengono fatti scorrere fra le mani ma senza alcuna emissione di suono), e la preghiera con le icone, che "servono all'orante come ponte per passare dal sensibile e intelleggibile alla visione spirituale". Il teologo ortodosso ha concluso ricordando l'importanza, nella tradizione ortodossa, della "preghiera di Gesu'", cioe' della ripetuta invocazione del nome di Cristo: una invocazione radicata nella dottrina trinitaria, che non e' meccanica ripetizione di una formula magica, ma frutto della perseveranza e della fedelta' cristiana, il cui scopo e' di "dare all'intelletto di cercare, nella semplicita', non tanto l'ampiezza quanto la profondita'".
LA PREGHIERA NELLA TRADIZIONE DI EBRAISMO, ISLAM, INDUISMO E BUDDHISMO Dopo aver esaminato la preghiera nelle confessioni cristiane, l'attenzione della XXXVI Sessione ecumenica del SAE si e' spostata, nelle mattinate di lunedi' 26 e martedi' 27 luglio, sulla preghiera nelle grandi religioni mondiali. Intervistata dalla giornalista della RAI Gabriella Caramore, la bramina induista Jaya Murthy ha espostoalcuni elementi fondanti dell'induismo, partendo dalla propria biografia: dalla formazione religiosa avvenuta nella stessa famiglia d'origine, all'esperienza del confronto con la cultura occidentale in Italia. Molto suggestivo il confronto sulla preghiera del Padre Nostro, che ha aiutato la comprensione delle forti differenze teologiche e spirituali con il cristianesimo, ma ha anche offerto interessanti suggestioni e suggerimenti per il dialogo. Mettersi in ascolto della spiritualita' dell'altro e' dunque possibile: l'incontro con Jaya Murthy si e' concluso con la recitazione comune di un testo sacro: "O Signore portami lontano da cio' che non e' la verita', e conducimi verso il sentiero della verita'". Bruno Tonoletti, presidente del Monastero buddhista zen Soto Fudenji diSalsomaggiore, e' stato intervistato dalla giornalista Lucia Cuocci della rivista "Confronti": anche in questo caso si e' privilegiato l'intreccio fra la biografia e l'esperienza spirituale. Tonoletti si e' soffermato soprattutto sull'incontro fra la spiritualita' buddhista e la tradizione cristiana occidentale, fatta di incontro ma anche di pericolosi malintesi. Il dialogo, anche la preghiera comune sono possibili, ma "mai nella prospettiva della omologazione fra le diverse esperienze religiose, bensi' nella consapevolezza profonda e salda di cio' che si e', delle differenze e della peculiarita' della propria strada". La preghiera e' un dialogo dell'uomo con Dio e di Dio con l'uomo; la preghiera e' "culto del cuore": questo il messaggio del rabbino EliaKopciowski , intervistato da Simone Morandini del SAE sulle forme dellapreghiera ebraica. Un colloquio vivace, in cui l'ex rabbino capo di Milano ha ricordato come nella tradizione ebraica il confine tra preghiera personale o spontanea e preghiera codificata secondo la liturgia non sia mai stato netto. La preghiera familiare ne e' un buon esempio: allo stesso tempo spontanea e codificata in forme liturgiche specifiche. "La preghiera nasce nell'essere umano spontaneamente - ha affermato Kopciowski -, come meraviglia di fronte alla creazione: non appena si rivolge alla natura e al creato l'uomo non puo' fare a meno di rivolgere il proprio sguardo al creatore". Ma la preghiera nasce anche come "chiamata in causa di Dio nelle situazioni dolorose dell'esistenza". In ebraico si usa il termine "tehillah" per riferirsi all'atto del pregare, ma "tehillah" non significa solo pregare, bensi' anche meditare, riflettere, chiamare Dio a giudice. Pregare e' dunque "un invito a Dio ad intervenire nelle nostre vite, ad essere presente nell'esistenza delle sue creature; e' la richiesta rivolta a Dio di non dimenticare la sua creatura". Allo stesso tempo, ha ricordato Kopciowski, la pratica della preghiera implica l'accettazione della volonta' di Dio, per quanto imperscrutabile essa sia". In questo dialogo e' coinvolta tutta la persona: cosi' nella sensibilita' ebraica e' importante anche la gestualita', in quanto modo per accompagnare il "culto del cuore": "Non si puo' restare fermi di fronte all'incontro con Dio. La gestualita' e' una conseguenza del pronunciare una preghiera". Chi prega, dunque, sa di potersi rivolgere al "Dio vicino": la lode nasce dalla pienezza della vita, come ringraziamento al Dio vicino che da' ascolto alla sua creatura. Anche le benedizioni, che accompagnano e scandiscono la giornata sono dunque autentico "culto del cuore", attraverso cui instaurare un dialogo con Dio e "chiamare Dio a dialogare con noi". La centralita' del corpo coinvolto nella preghiera e' emersa anche nell'intervento del musulmano Ali Schuetz, intervistato da Paolo Naso,direttore della rivista "Confronti". Dopo aver estratto da una valigia di cartone gli "strumenti" della preghiera musulmana (il tappeto, il vestito da preghiera, il calendario che indica gli orari quotidiani, il rosario che serve a contare le lodi di Dio e, naturalmente, il Corano), Schuetz ha ripetuto i movimenti della preghiera canonica ("salat"), illustrando i significati delle varie posizioni del corpo e delle parole che le accompagnano. L'esponente musulmano ha affermato che per l'islam non vi sono problemi a condividere la preghiera con credenti di altre fedi, ricordando che nella moschea di Maometto pregarono anche dei cristiani e persino dei politeisti; ha pero' invitato a non forzare le occasioni di preghiera comune, rispettando le diverse sensibilita' ed evitando le scenografie allestite ad uso e consumo dei media. LA PREGHIERA ILLUMINATA DALLA SCRITTURA: LE MEDITAZIONI BIBLICHE QUOTIDIANE Dopo le relazioni iniziali, che hanno messo a fuoco il significato della preghiera nel cristianesimo, nell'ebraismo, nell'islam, nell'induismo e nel buddismo, i lavori della Sessione ecumenica del SAE sono stati scanditi dalle meditazioni bibliche quotidiane, dalle liturgie e da una serie di gruppi di studio. La serie di meditazioni bibliche e' stata inaugurata lunedi' da AmosLuzzatto , presidente dell'Unione delle comunita' ebraiche in Italia, conuna riflessione su Genesi 4, 26: "Anche Set ebbe un figlio e lo chiamo' Enos. Allora incomincio' ad invocare il nome del Signore". "Si tratta - ha detto Luzzatto - della prima menzione, nei testi biblici, della preghiera. Da quel momento l'essere umano, con le sue emozioni e il suo sentire, si appella al Dio unico, lo chiama e lo invoca". Attraverso numerosi esempi biblici (in particolare Genesi 3, 9: "Abramo, dove sei?") Luzzatto ha evidenziato la doppia valenza del verbo chiamare nel contesto biblico: la chiamata di Dio rivolta all'essere umano, ma anche l'invocazione dell'uomo rivolta a Dio: la preghiera. "Non sempre l'uomo e' in condizione di rispondere a questa chiamata. A volte l'essere umano non e' capace di recepire la voce di chi lo chiama. Spesso - ha affermato Luzzatto - riteniamo che sia Dio a sottrarsi alla chiamata, ma dovremmo renderci conto che siamo noi stessi (cosi' come Adamo nel giardino) a sottrarci alla relazione con lui". L'uomo dunque riceve la chiamata, ma allo stesso tempo si rivolge a Dio e lo chiama nella preghiera. Dalla preghiera, ha concluso Luzzatto, il credente "non aspetta contropartite, non chiede alcun premio ma attende solo la vicinanza di Dio". Il dialogo fra Dio e l'uomo "non ha altro fine che se stesso e premia in quanto ha luogo". Il credente quindi non chiede compensi o benefici attraverso la preghiera, ma si limita ad affermare la sua fiducia in Dio. In questo senso la preghiera puo' dirsi, secondo Luzzatto, un "atto di fiducia senza limiti". Commentando il brano biblico in cui Mose' intercede per il popolo, colpevole di aver adorato il vitello d'oro (Esodo 32), il pastore valdese Fulvio Ferrario ha rilevato che Mose' fa valere contro Dio la stessa Parola e la promessa di Dio. La preghiera e' dunque anche lotta con Dio: ma per poter "giocare Dio contro Dio", come fa Mose', e' necessario che la nostra preghiera sia radicata nella lettura quotidiana della Bibbia, che sia "innervata di parola". La preghiera autentica, ha proseguito il teologo protestante, e' sempre solidale con l'umanita' peccatrice: Dio propone a Mose' di distruggere il popolo idolatra e dargli un nuovo popolo, ma Mose' rifiuta l'offerta: "il profeta, infatti, e' uomo di Dio davanti al popolo, e uomo del popolo davanti a Dio". Commentando il Salmo 148, in cui l'intero creato e' invitato a lodare il Signore, Enzo Bianchi, priore della comunita' monastica di Bose, ha proposto una meditazione sul rapporto tra la preghiera e la bellezza: "La bellezza - ha detto - e' rivelazione, produce comunione, e chi cerca la bellezza cerca, anche se non lo sa, in modo sordo e confuso, Dio stesso". Il pastore battista Paolo Spanu ha invece affrontato la drammatica preghiera di Gesu' nel Getsemani, affermando che la preghiera puo' essere lotta: "non una contesa che si risolve sul piano del puro contrasto di posizioni e di ruoli, ma che viene assunta come dimensione della problematicita' della fede". In questo senso, l'invocazione "Padre mio" e' "una frase paradossale, perche' grida e proclama che Dio e' lontano e devi usare il piu' dolce degli appellativi per attirarlo a te". "Cosi' tocca a noi - ha concluso Spanu - pregare di fronte alle tragedie di questa nostra umanita'". L'ultima meditazione quotidiana e' stata affidata, sabato mattina, alla religiosa benedettina suor Myriam Mele, che ha commentato l'esclamazione di Gesu': "Ti ringrazio, Padre, perche' hai nascosto queste cose ai grandi e ai sapienti e le hai fatte conoscere ai piccoli" (Matteo 11,25): "L'epifania della Sapienza - ha detto suor Mele - si annida nella debolezza e si rivela solo agli umili"; viene sconfitta "la pretesa orgogliosa di conoscere Dio, di possederlo quale oggetto del proprio compiaciuto argomentare".
IL PADRE NOSTRO, PREGHIERA COMUNE DI TUTTI I CRISTIANI Una eucarestia cattolica, un culto protestante di Santa Cena, una divina liturgia ortodossa, due celebrazioni ecumeniche e una preghiera ebraica di introduzione al Sabato hanno concretamente arricchito l'esperienza di preghiera dei partecipanti alla Sessione di formazione ecumenica del SAE. La liturgia cattolica, svoltasi domenica, e' stata presieduta da mons. Giuseppe Chiaretti, arcivescovo di Perugia e presidente del Segretariato per l'ecumenismo e il dialogo della Conferenza episcopale italiana (CEI), che ha affermato che "la preghiera, denominatore comune di tutte le esperienze religiose, anche le piu' ardue, e' la prima via di un serio dialogo ecumenico ed interreligioso" ricordando l'intuizione di Giovanni Paolo II, che nell'ottobre 1986 convoco' ad Assisi gli esponenti delle religioni mondiali per pregare simultaneamente per la pace. Durante il culto protestante, svoltosi nel pomeriggio di martedi', la pastora battista Elizabeth Green ha affermato che Dio non rende vane le diverse tradizioni religiose, ma al contrario le valorizza. "L'importante - ha detto - e' che l'Iddio che viene invocato in modi diversi e in forme diverse risponda alla preghiera". La liturgia ortodossa si e' svolta mercoledi' mattina, presieduta dall'arcivescovo ortodosso rumeno Iosif Pop, che ha rivolto un appello a superare le divisioni di cristiani, rivolgendosi in primo luogo ai laici e ai giovani delle diverse confessioni: "Credo che l'unita' della Chiesa deve e puo' partire dal popolo. E' il popolo di Dio che spinge verso la conoscenza reciproca e la riconciliazione". Giovedi' pomeriggio i partecipanti alla Sessione si sono trasferiti a Montepulciano dove, nella splendida cornice del Tempio di San Biagio, opera di Antonio da Sangallo, i partecipanti alla Sessione hanno pregato insieme il Padre Nostro, per la prima volta nella nuova traduzione interconfessionale recentemente varata in un convegno ecumenico svoltosi a Perugia su iniziativa della Conferenza episcopale, della Federazione delle chiese evangeliche e della Arcidiocesi greco-ortodossa d'Italia. La preghiera che Gesu' ha insegnato ai discepoli e' stata commentata a tre voci. Monsignor Vincenzo Savio, vescovo ausiliare di Livorno, si e' soffermato sulla domanda dei discepoli che precede il Padre Nostro, "insegnaci a pregare", affermando che questa richiesta va rinnovata quotidianamente, e sull'invocazione "Padre nostro": "Cristo ci spinge a relazionarci con Dio con la sua stessa confidenza"; Dio non e' piu' l'impronunciabile, l'Altissimo irraggiungibile ma, appunto, nostro Padre. La richiesta "venga il tuo regno", ha detto il pastore Valdo Benecchi, presidente dei metodisti italiani, non va intesa in senso spiritualistico, perche' il regno di Dio viene sulla terra: "in Cristo esso si intreccia ai nostri destini e li riscatta∑ Il regno di Dio e' la realta' della nostra speranza di pace e di giustizia. Non c'e' piu' un destino immutabile, ma un nuovo dinamismo viene impresso alla vita umana". L'arciprete ortodosso rumeno Traian Valdman ha sottolineato il carattere plurale delle domande del Padre Nostro, che "ci fa uscire dall'egoismo isolazionista e ci predispone alla comunione con tutti i figli di Dio, facendoci scoprire l'universalita' della chiamata di Dio alla figliolanza". L'ultimo momento liturgico si e' svolto venerdi' sera, con la cerimonia ebraica di "ingresso del Sabato", accompagnata da melodie tradizionali eseguite da Manuela Sorani, esperta di musica ebraica.
SOLO NEL RISPETTO DELL'ALTRO E' POSSIBILE ANNUNZIARE IL NOME DI CRISTO I lavori della trentaseiesima Sessione di formazione ecumenica del SAE si sono conclusi con la presentazione del lavoro svolto dai gruppi e con una tavola rotonda conclusiva. Ben tredici i gruppi, animati da una cinquantina di esperti: oltre a gruppi di studio veri e propri, che hanno approfondito il significato della preghiera in rapporto alle diverse tradizioni religiose e a tematiche di attualita' (la preghiera e le donne, l'impegno per la giustizia, i mass media, modernita' e post-modernita'), vi erano anche alcuni laboratori pratici, come quelli su poesia, gestualita', musica. Alla tavola rotonda finale, svoltasi sabato 27 luglio, hanno preso parte il teologo protestante Paolo Ricca e Piero Stefani, esperto cattolico di ebraismo. Parlando sul tema "L'Ineffabile dai molti nomi", Paolo Ricca ha affermato che non solo Dio e' ineffabile, per cui su di lui noi umani "possiamo solo balbettare", ma anche l'essere umano e' ineffabile, nel senso che "siamo tutti creature provvisorie, ancora da trasformare nell'immagine del nuovo Adamo": alla fine dei tempi Dio ci dara' un nuovo nome. Il Dio ineffabile, imprevedibile, che "frantuma e disarticola ogni discorso" che noi possiamo tentare su di Lui, e' pero' al tempo stesso un Dio "invocabile, affidabile e reperibile". Nel suo intervento, Piero Stefani ha ripreso i grandi temi affrontati durante la Sessione, concludendo con una riflessione sul nome di Cristo: un nome che, come e' scritto nella lettera ai Filippesi, e' "al di sopra di ogni nome", ma che i cristiani possono proclamare solo a condizione di avere "lo stesso sentimento di Cristo" (Filippesi 2,5), cioe' la sua umilta', il suo "abbassamento" (kenosis), la capacita' di rispettare gli altri stimandoli "superiori a se stessi". Gli Atti della Sessione saranno pubblicati presso l'editrice Ancora di Milano.
|