L'ALTRO GIUBILEO

DOCUMENTO DI 'NOI SIAMO CHIESA' (ITALIA)

La fine del millennio alla mente ed al cuore di molti credenti e non credenti si presenta come una scadenza importante, che ritma il percorso dell'umanità, che impone una riflessione e quasi una sospensione della quotidianità nella vita personale, familiare e collettiva. Il 2000 è sentito come un anno diverso, un anno che può essere di discontinuità rispetto a tutti gli altri.

Naturalmente, occorre essere consapevoli della "relatività" del 2000, e del fatto che esso è una scadenza convenzionale nel calcolo del trascorrere del tempo. Infatti, se per i cristiani, come del resto per i calendari civili della maggior parte del mondo, il 2000 ha un suo particolare

fascino simbolico, emotivo o commerciale, bisogna essere consapevoli che per credenti di altre fedi, ed in particolare per ebrei e musulmani - che con i cristiani si rifanno ad Abramo, ma hanno un altro modo di computare il tempo - l'anno che noi celebriamo con tanta enfasi non ha alcun particolare significato.

In questo anno 2000, comunque, Giovanni Paolo II ha convocato un Giubileo.

Su questo avvenimento vuole portare un contributo di riflessione, per offrirlo all'insieme della nostra Chiesa cattolica italiana, anche il nostro movimento - nato nel '95 in Austria, e poi diffusosi in molti Paesi, Italia compresa, dando vita all'"International Movement We Are Church" (Imwac) - che chiede una profonda riforma della Chiesa cattolica romana.

1. Giubileo biblico, Giubileo cattolico, bimillenario di Cristo

Nella lettera apostolica "Tertio millennio adveniente (10 novembre '94) con cui ha avviato la preparazione del Giubileo, e poi nella bolla "Incarnationis mysterium" (29 novembre '98) con cui lo ha formalmente convocato, Giovanni Paolo II mescola insieme tre cose molto distinte: il

Giubileo biblico, il Giubileo papale, la celebrazione dei duemila anni dalla nascita di Cristo. Questo mescolamento ha provocato molte negative conseguenze teologiche ed ecumeniche.

A/ Il Giubileo biblico. Come e perché questo dovesse essere celebrato

ce lo indica il capitolo 25° del libro del Levitico: allo scadere di sette settimane di anni, cioè ogni cinquantesimo anno, in terra d'Israele doveva essere proclamato il Giubileo. In questo anno la terra doveva riposare, e doveva essere restituita agli antichi proprietari; inoltre si liberavano

gli schiavi ebrei. A prescindere se questo Grande Sabato sia stato mai davvero compiutamente celebrato, esso nella Bibbia rappresenta un alto grido profetico di giustizia sociale e il sogno di una società pacificata, riconciliata in se stessa e con la terra.

Isaia (61, 1-4) profetizza un "anno di grazia del Signore" che si situa nella stessa linea prospettica del Giubileo. Gesù si riferirà proprio ad Isaia, dicendo che "questa scrittura si è adempiuta", quando nella sinagoga di Nazareth (Lc. 4, 16-21) leggerà i versetti del profeta che dicevano: "Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione, e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi, e predicare un anno di grazia del Signore".

B/ Il Giubileo papale. Fu Bonifacio VIII, il 22 febbraio 1300, a proclamare il primo Giubileo cristiano: identica nel nome, ma ben lontana da quella del Levitico, la nuova istituzione ha il suo asse nella concessione delle indulgenze (la remissione della pena temporale ai peccati già perdonati quanto alla colpa) che si otterranno con un pellegrinaggio a Roma, alle tombe degli apostoli. Il pellegrinaggio, assente nel Giubileo biblico, diventa il cuore del Giubileo papale. Così il papato esalta il suo ruolo centralizzatore e il suo esclusivo "potere delle chiavi".

Pur con alcuni cambiamenti, il Giubileo "inventato" da papa Bonifacio (e che dal secolo XV si celebrerà ordinariamente ogni 25 anni; l'ultimo è stato nel 1975), nella sostanza rimarrà eguale. La stessa "Incarnationis mysterium" afferma: "L'indulgenza è uno degli elementi costitutivi dell'evento giubilare. Con l'indulgenza al peccatore pentito è condonata la pena temporale per i peccati già rimessi quanto alla colpa" (n. 9).

C/ Il bimillenario della nascita di Cristo. Nel 2000 ricorre il bimillenario della nascita di Gesù (anche se tutti sanno che questa cronologia è sbagliata di circa 5-7 anni). Ma, partendo comunque dall'ipotesi che Gesù sia nato esattamente duemila anni fa, tutte le Chiese cristiane erano, e sono, naturalmente felici e interessate a celebrare in modo fraterno, concorde e sincero quest'eccezionale "festa di compleanno" o, se si vuole, quest'evento "giubilare". Per questo, il 2000 poteva essere un momento di particolare concordia ecumenica, foriera di altri importanti passi nel cammino del ristabilimento della piena unità tra tutti i discepoli e le discepole di Gesù Cristo; un'unità lacerata, in particolare, nel secondo millennio, dalle

irreparabili e reciproche scomuniche tra Roma e Costantinopoli del 1054, e nel secolo XVI dalle vicende della Riforma e Controriforma.

Ma, mescolando insieme questi tre Giubilei, e invitando poi alle celebrazioni da lui indette i cristiani non cattolici, papa Wojtyla ha compiuto un gesto unilaterale, ed una strumentalizzazione, che rende tutto più difficile. Le Chiese ortodosse ed evangeliche - giustamente - non intendono partecipare come ospiti a festeggiamenti decisi unilateralmente a Roma, che ha posto le altre di fronte al fatto compiuto. Malgrado ciò vi saranno, certamente, delle occasioni in cui rappresentanti non cattolici parteciperanno durante il 2000 a iniziative decise dal papa; ma come sarebbe stato più bello se tutte le Chiese, attorno allo stesso tavolo, avessero discusso e deciso insieme "come" celebrare i 2000 anni delle nascita di Gesù Cristo, senza che Roma tentasse di essere il centro di ogni cosa!

D'altronde, il modo con cui è stato organizzato il Giubileo papale non ha creato imbarazzo solo in àmbito ecumenico. Esso ha creato e crea disagio, ed un senso di fastidio, anche in alcune aree "conciliari" interne alle Chiesa cattolica. Noi, comunque, ci riconosciamo in queste, e dunque riteniamo che sia nostro diritto-dovere dire ad alta voce quanto ci sembra contraddire lo spirito del Concilio Vaticano II.

2. Ascoltare gli ultimi, cambiare le strutture

Cercando di cogliere lo spirito profondo del Giubileo biblico, noi oggi vorremmo - e per questo ci impegniamo - che questo "anno di grazia del Signore", il 2000, sia un tempo forte d'ascolto della voce degli ultimi, degli esclusi, di quello sterminato numero di donne e di uomini, di bambini, di vecchie e di vecchi che vivono in condizioni tremende. Tutta questa gente, e cioè la gran maggioranza dell'umanità, non solo non partecipa agli aspetti positivi del progresso (è infatti privata dei diritti più elementari: alla vita, alla salute, alla casa, all'istruzione...), ma ne subisce pesantemente gli aspetti negativi, e spesso è mortificata nella sua identità culturale e religiosa.

Se anno "giubilare" ha da esserci, esso non può che essere un anno di cambiamenti profondi dei comportamenti e delle strutture di dominio politico, economico e militare; di abbandono della cultura della violenza e della guerra; di cessazione dell'abuso del creato e della sua violazione; di messa in crisi del dominio del Nord opulento del mondo - in gran parte formalmente cristiano - sul Sud depredato.

L'azione per la liberazione dei poveri e contro le strutture che generano l'iniquità dovrebbe intrecciarsi, ci sembra, con momenti in cui si sospende l'attivismo, si privilegia l'assoluto sul contingente, l'essere sul fare, e si contrasta l'erosione del senso di Dio. Insomma, come cristiani dobbiamo comprendere il senso profondo del Sabato biblico e del riposo della terra richiesto dal Giubileo, per tradurlo nella vita e nell'espressione della fede.

3. Ecumenismo o celebrazione della propria identità dottrinale?

Anche se i citati documenti papali sono verbalmente aperti all'ecumenismo, la logica della macchina organizzativa del Giubileo 2000 mette in evidenza le sue contraddizioni profonde.

Essi, infatti, prevedono sì che il Giubileo, oltre che a Roma, si possa celebrare a Gerusalemme e, soprattutto, nelle Chiese locali (diocesi). Ma il tam-tam turistico e devozionale - ampliato dai martellanti servizi di Rai, Mediaset e di altre reti televisive, salvo poche eccezioni - esalta la centralità assoluta di Roma e, dunque, invita al pellegrinaggio per l'acquisto delle indulgenze.

Un pratica rafforzata dall'ultima edizione dell'"Enchiridion indulgentiarum" (catalogo delle indulgenze, datato 16 luglio e pubblicato il 17 settembre 1999). Documento edito alla vigilia, quasi, di un evento che avrebbe imposto un ben diverso senso di misura. Infatti, il 31 ottobre '99, ad Augusta, Germania, la Chiesa cattolica romana e la Federazione delle Chiese luterane hanno insieme sottoscritto una "Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione" che "su verità di fondo" raggiunge un importante consenso su un punto capitale - quello del modo con cui Dio, per grazia, salva l'uomo che crede in Cristo - che per oltre quattro secoli aveva diviso le due Chiese. Una divisione innescata dalla protesta di Martin Lutero contro l'indegno traffico delle indulgenze e l'idea che ci si potesse "meritare" la salvezza dell'anima con un'offerta in danaro.

E' davvero difficile conciliare il documento di Augusta con la riproposta dottrina delle indulgenze che costituisce anche un pilastro del Giubileo papale. Perciò queste contraddittorie scelte di Roma provocano malessere in campo ecumenico. Ci si domanda che ne è della lettera e dello spirito delle Assemblee ecumeniche europee di Basilea (1989) e di Graz (1997), pur fortemente volute anche dai vescovi cattolici oltre che dal "popolo ecumenico" della Chiesa romana, in sintonia con le altre Chiese.

Ci sembra, in definitiva, che il vino nuovo dell'ecumenismo non possa entrare negli otri vecchi del Giubileo papale, da sempre istituzione tutta interna alla Chiesa cattolica.

4. Il pellegrinaggio: conversione del cuore o primato di Roma?

Se nessuno può giudicare come il singolo pellegrino viva nel suo animo il pellegrinaggio giubilare a Roma, è certo che il pellegrinaggio come istituzione serve alla Curia romana per un'ulteriore e forte affermazione della centralità e dell'autorità del papato, e per riproporre una Chiesa che deve "apparire", contare nei media, imporsi, quasi dominare il mondo ed anche le altre fedi.

Il Giubileo biblico non prevedeva nessun pellegrinaggio: ogni pio israelita doveva celebrare il Grande Sabato ove egli viveva: là cercando di ascoltare la Parola di Dio, fare giustizia sulla sua terra, servire i suoi fratelli.

Del resto, noi cristiani mai potremmo dimenticare le parole di Gesù alla Samaritana:"Viene un'ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. I veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità" (Gv. 4, 21-23). Alla luce di queste forti parole di Cristo, noi diciamo alle nostre sorelle e ai nostri fratelli cattolici: se Giubileo nel 2000 ha da esserci, esso sia celebrato non pellegrinando a Roma, ma rimanendo nella propria terra, nella propria città, nel proprio paese. Ciascuno si converta là ove vive, là si liberi dalle sue schiavitù, là operi per la liberazione, là perdoni i suoi nemici, là faccia riposare la terra, là si riconcilii con se stesso, con gli altri, con il mondo, con il creato.

Se ci si pone in questa prospettiva crea davvero disagio la rete imponente e pervasiva con cui si cerca di convogliare a Roma, durante il Giubileo, tutte le categorie (bambini, governanti, militari, artisti...).

Il Vaticano ha poi fatto discrete pressioni perché la tradizionale celebrazione operaia, a Roma, per il Primo Maggio, guidata dai sindacati confederali, non abbia luogo, in modo che tutti gli operai, i cattolici e sperabilmente anche gli altri, confluiscano nella celebrazione papale prevista lo stesso giorno. Ovviamente, tutte queste manifestazioni di massa goderanno di una copertura mediatica fortemente sollecitata.

Lo Stato italiano ed il Comune di Roma hanno speso alcune migliaia di miliardi per favorire il Giubileo, non solo con opere comunque utili alla collettività, anche passato l'evento, ma pure con scelte molto discutibili - ecologicamente e archeologicamente - come la galleria del Gianicolo, o ristrutturando con denaro pubblico case di ospitalità di enti ecclesiastici.

La grande macchina giubilare presenta una Chiesa cattolica compatta e convinta che questo modo di essere "presente" sia quello giusto per affrontare un mondo sempre più secolarizzato, al quale solo, o soprattutto, la Chiesa cattolica avrebbe la parola salvatrice da offrire.

Il nostro disagio verso il programma dei pellegrinaggi che porterà a Roma milioni di persone non significa certo che noi non apprezziamo l'utilità di muoversi dalle proprie case per visitare, altrove, paesi e culture diverse. Anzi, pensiamo che il 2000 potrebbe essere un'occasione privilegiata per incontrare altre Chiese, altre fedi e altre culture.

Gruppi di cattolici di diocesi italiane, ad esempio, potrebbero andare a visitare i cattolici che vivono in diocesi brasiliane, o canadesi, o sudafricane, o filippine; o comunità luterane della Scandinavia, o anglicane della Gran Bretagna o del Kenya; o ortodosse russe, greche, georgiane, o delle antiche Chiese orientali, copte, sire ed armene. Oppure comunità ebraiche in Israele, musulmane e cristiane nei Territori palestinesi, buddhiste in Thailandia, shinto in Giappone, indù in India, maya in Centro America.Sarebbe davvero benedetto questo pellegrinare, slegato dalle indulgenze e da ogni pretesa centralizzatrice, e basato invece solo sulla gioia di portare agli altri - della stessa fede o no, non importa - i propri "doni" (esperienze di fede e di vita, difficoltà, speranze, solidarietà, affetto), e ricevere da essi i loro "doni".

Del resto, già alcune parrocchie o alcuni gruppi cattolici più sensibili si sono lodevolmente posti in questo cammino, convinti che non è ammirando le "pietre morte" (i monumenti), o cercando rassicurazioni nell'istituzione ecclesiastica, ma piuttosto incontrando le "pietre viventi" (cioè le persone con le loro culture, le loro gioie e le loro sofferenze) che si possono scoprire le meraviglie dello Spirito che soffia dove vuole, e crescere nella fede, nella solidarietà e nella stessa comprensione dell'Evangelo.

5. "Mea culpa" per i peccati di ieri o di oggi?

Nei documenti ufficiali sul Giubileo e in svariate altre occasioni papa Wojtyla ha manifestato la sua intenzione di fare un pubblico "mea culpa" per alcuni peccati storici dei "figli della Chiesa", come l'Inquisizione, la violazione della libertà religiosa, l'antisemitismo e l'antigiudaismo. Il giorno scelto per questo gesto che darà un segno preciso al Giubileo è la prima domenica di Quaresima, il 12 marzo del 2000.

E' certamente importante che il papa faccia un simile gesto, necessario per "purificare la memoria"; e noi apprezziamo il fatto che Giovanni Paolo II insista in questa scelta malgrado l'opposizione di alcuni settori ecclesiali più conservatori.

Vi è tuttavia modo e modo di proclamare l'annunciato "mea culpa": l'uno di fare i conti fino in fondo con certe storture delle strutture ecclesiastiche che permisero certi misfatti (infatti, solo a Dio spetta il giudizio sulla coscienza dei singoli; ed alle scienze storiche situare i singoli accadimenti nei loro precisi contesti) ; l'altro di ammettere il minimo possibile sulle vere cause teologiche che hanno provocato nella Chiesa romana le grandi e pesanti ombre ormai inconfutabilmente "radiografate" dagli storici. Per giudicare la scelta papale, dobbiamo

dunque aspettare il 12 marzo.

Ma, seppure ci sarà, questo "mea culpa" sarà del tutto insufficiente, anzi un grandioso alibi, se esso si fermerà al lontano passato, e non arriverà anche al Novecento. In questo secolo i vertici della Chiesa cattolica hanno appoggiato - con poche eccezioni - i regimi fascisti e dittatoriali in Italia, Portogallo, Spagna, ed anche le loro guerre di aggressione ed il loro dominio coloniale in Africa, ottenendo in cambio favorevolissimi Concordati. E, in Germania, il potere nazista non avrebbe potuto innescare la terribile seconda guerra mondiale, e poi programmare la "Shoah" (lo sterminio del popolo ebraico, in quanto tale), mandando alla morte sei milioni di ebrei, se non ci fosse stata almeno la latitanza o il silenzio complice dei vertici ecclesiastici e di larga parte del corpo complessivo delle Chiese (cattolica e, occorre aggiungere, anche evangelica). L'eroismo, fino al martirio, di quei pochi cristiani che si opposero al nazismo mette in ancor maggiore e sinistra luce, la massa di quei cristiani che l'approvarono, o che di fronte ad esso pavidamente tacquero.

Agli inizi di questo secolo con metodi brutali Roma ha represso il movimento modernista, cioè il tentativo di teologi e studiosi cattolici di rapportare la verità del Vangelo alle scoperte scientifiche ed alle nuove interpretazioni teologiche. E negli ultimi due decenni Roma ha operato, spesso, per mortificare le scelte, anche sinodali, delle Chiese cattoliche locali in Olanda, Germania, Austria, Svizzera, Stati Uniti d'America, Brasile, e per svuotare le potenzialità riformatrici del Vaticano II che, attuate, avrebbero naturalmente messo in questione molte strutture storiche del potere papale e curiale, per aprire invece la Chiesa ad una gestione collegiale e sinodale, coinvolgente l'intero popolo di Dio.

Proprio sotto l'attuale pontificato, poi, la libertà della ricerca teologica è stata limitata, e variamente puniti o emarginati sono stati teologi e teologhe invisi alla Curia romana. La lista è lunga: il tedesco Hans Küng, il brasiliano Leonardo Boff, l'olandese Edward Schillebeeckx, il francese mons. Jacques Gaillot, lo statunitense Charles Curran, la brasiliana Ivone Gebara, il cingalese Tissa Balasuriya. Se a tutti costoro durante il Giubileo non sarà pienamente ridato l'onore ecclesiale ingiustamente tolto, il "mea culpa" per l'Inquisizione sarà stato solo un diversivo per non affrontare oggi la "conversione" che riguarda le colpe storiche di "oggi" della Gerarchia ecclesiastica.

Ma un altro dato lascia perplessi sull'annunciato "mea culpa": l'idea ventilata dal Vaticano di elevare agli onori degli altari, durante il Giubileo, Pio IX e Giovanni XXIII.

Se attuata sarebbe una autentica e inaccettabile "provocazione" ecclesiale ed ecumenica la proposta di proporre alla venerazione dei fedeli un papa che condannò la libertà religiosa, la libertà di stampa, la libertà di coscienza, e che usò tutte le maniere per costringere di fatto i vescovi riottosi a votare il dogma della infallibilità pontificia (al Concilio Vaticano I, nel 1870) insieme ad un altro papa che con ardimento profetico volle un Concilio per varare - tra l'altro - la dichiarazione sulla libertà religiosa.

Noi non vogliamo ovviamente giudicare la vita personale o la coscienza di Giovanni Maria Mastai Ferretti; ma non possiamo non valutare storicamente ed ecclesialmente le sue scelte come papa (scelte già "a quei tempi" fortemente criticate da alcune personalità cattoliche più illuminate, oltre che dalla cultura laica). Per questo, l'idea di Wojtyla di elevare Pio IX alla gloria degli altari ci appare un'insanabile contraddizione che disorienta il popolo di Dio. Con tale decisione, infatti, nella sostanza si affermerebbe che, in fondo, la Chiesa romana è sempre la stessa, sempre santa, e sempre nel giusto: sia quando condanna la libertà religiosa, sia quando l'approva. Perciò è possibile "pentirsi" per le violazioni, nei secoli passati, da parte dei "figli della Chiesa", della libertà religiosa, e insieme beatificare un papa che condannò come eretica tale tesi.

Di fronte a questa situazione, ci sembrerebbe opportuno che quanti - nella Chiesa - si sentono disorientati dall'ipotizzata scelta papale scrivano al vescovo della loro diocesi, esprimendogli la loro inquietudine per una beatificazione sconcertante, e chiedendo che il pastore si faccia interprete a Roma di questo loro sentire ecclesiale.

Infine, sempre a proposito di "mea culpa", noi ci aspetteremmo che durante il Giubileo anche la Chiesa cattolica italiana, nel suo insieme, riconosca che, salvo nobili eccezioni, nella sua grande maggioranza, dai vescovi ai semplici fedeli, essa si compromise con il fascismo e ne appoggiò le guerre di aggressione contro paesi africani (perché non fare un pellegrinaggio di pentimento a Tripoli, ad Asmara, ad Addis Abeba?).

La Conferenza episcopale italiana (Cei), poi, dovrebbe fare il suo esplicito "mea culpa" per aver tentato, nel 1974, con pretesti teologici ma in realtà per esaltare il potere clericale e democristiano in Italia, di imporre il "sì" all'abrogazione della legge sul divorzio nel referendum in proposito; e. nell'81, di imporre il "sì" all'abrogazione della legge sull'aborto. In ambedue i casi violando le dichiarazioni enunciate pochi anni prima dal Vaticano II sulla libertà religiosa e sull'autonomia dello Stato dalla Chiesa.

6. Immobilismo autoritario o riforma della Chiesa?

Come testimonianza della volontà concreta ed attuale di "conversione" della Chiesa cattolica, da alcune parti sono stati proposti due atti che darebbero un effettivo tono di fraternità al Giubileo: la riammissione dei preti sposati a celebrare l'Eucaristia e l'ammissione dei divorziati risposati a riceverla. Nulla lo impedirebbe, se non una rigidità etica e normativa che non ha radici né nell'Evangelo né nella storia della Chiesa cristiana complessivamente considerata. L'esclusione dei divorziati risposati non è mai esistita nelle Chiese della Riforma e nelle Chiese ortodosse, e del resto già ora non è rispettata da un certo numero di preti nella loro pastorale quotidiana.

Queste proposte si inseriscono ovviamente in una prospettiva generale di riforma della Chiesa cattolica, che potrebbe essere avviata proprio nell'anno giubilare. Adesso, in questi dodici mesi, si dovrebbero fare i primi, decisi passi perché la donna nella Chiesa non rimanga nell'attuale ruolo subalterno, e radicalmente esclusa da una piena eguaglianza, con i maschi, nei ministeri ecclesiali; perché gli omosessuali si incontrino con una pastorale non fondata sulla emarginazione; perché il popolo di Dio partecipi alla scelta dei propri pastori.

Vorremmo insomma un anno giubilare in cui tutta la Chiesa rifletta sulla sterilità di una precettistica rigida, atemporale e diffusamente non rispettata in campo morale (soprattutto per quanto riguarda la sessualità); e, per quanto riguarda specificamente la Chiesa italiana, vorremmo che la Gerarchia ponesse fine al suo interventismo in politica e alla sua martellante campagna per ottenere finanziamenti pubblici per le sue scuole.

Vorremmo un anno giubilare in cui vescovi, parroci, religiosi, suore, laici donne e uomini si confrontino con sincerità su come annunziare credibilmente l'Evangelo in un mondo secolarizzato, chiudendo un periodo fin troppo lungo di silenzio, quando non di finzione, determinato dal diffuso clima di conformismo o anche dalla paura di parlare, per tema di ritorsioni, nella proprio Chiesa, malgrado il pressante invito a saper esporre con umiltà e coraggio le proprie opinioni che a preti e laici pur rivolse la costituzione conciliare "Gaudium et spes" (n. 62). Ma, per questo, ci debbono essere delle strutture in cui si possa parlare in libertà, e con libertà. L'evento giubilare diventerà questo "anno di libertà"?

7. Ridurre il debito estero o restituire il maltolto?

Cercando di "attualizzare" il Giubileo biblico, il papa ha insistito perché le grandi organizzazioni internazionali ed i Paesi ricchi del Nord riducano sensibilmente il debito estero che schiaccia molti Paesi del Sud.

Noi pensiamo invece che si debba parlare solo di "condono globale" del debito estero. Ma, soprattutto, che si debba andare alle radici del problema e giudicare le cause dello sviluppo e del sottosviluppo a partire dal XVI secolo (inizio dello sfruttamento su larga scala dell'America "scoperta" e dell'Africa). In questo quadro si invertirà l'ordine dei soggetti: paesi debitori (responsabili di rapine, schiavitù, oppressioni, colonialismo e neocolonialismo) sono i Paesi del Nord, Paesi creditori gli altri.

Se è il Nord che deve restituire il maltolto al Sud, e non pretendere da questo crediti, tale capovolgimento di posizioni non si potrà attuare senza radicali modifiche delle strutture economiche che dominano oggi il mondo. Dunque, un impegno in questo immenso campo di giustizia deve diventare, all'alba del nuovo millennio, un elemento determinante della fede dei credenti e della loro capacità critica contro il neoliberismo e contro la globalizzazione capitalista.

In tale contesto è problematica la campagna promossa in Italia dalla Cei -"Tu in azione" - per riconvertire in investimenti locali una parte del debito del Sud "comprato" con 100 miliardi di lire che si dovrebbero raccogliere nelle parrocchie. E, infatti, questa campagna è stata contestata dagli Istituti missionari del nostro paese. Questi, in un documento del settembre scorso, sostengono "l'urgente necessità della cancellazione immediata e globale del debito estero dei paesi più poveri"; chiedono "la denuncia chiara delle cause, dei meccanismi e delle

responsabilità che sono alla base del grave problema del debito"; criticano il mancato

collegamento della campagna con quelle già esistenti. Ad integrazione dell'iniziativa della Cei, poi, propongono: un impegno maggiore e più trasparente nella cooperazione per lo sviluppo; maggior controllo del commercio delle armi e maggiori investimenti nella prevenzione e nella soluzione dei conflitti; l'istituzione di un tribunale di arbitrato internazionale per il debito; la revisione delle strutture finanziarie internazionali e accordi di mercato per favorire scambi equi.

Dopo quanto avvenuto poche settimane fa a Seattle - ove un variegato mosaico di persone, di gruppi di base, ma anche di politici - hanno contestato il modo con cui i Grandi volevano imporre le regole del Wto (Organizzazione mondiale del commercio), un impegno nel problema del debito estero, nella linea indicata anche dagli Istituti missionari italiani, appare ancor più urgente.

Intanto, come piccolo ma tangibile segno della proclamata conversione, perché l'anno giubilare non inizia con una forma semplice e concreta di restituzione? Si mettano a disposizione degli immigrati extracomunitari e delle loro organizzazioni spazi fisici di parrocchie e di ordini religiosi che in Italia abbondano.

8. Un sogno: nel Duemila si avvii il cammino verso un nuovo

Concilio

L'insieme dei problemi che abbiamo sollevato - debole eco di molte altre voci che si levano dai quattro angoli della Chiesa cattolica - non può certamente essere affrontato in un Giubileo papale pensato per esaltare la centralità di Roma. E, infatti, praticamente assenti sono, nel programma ufficiale giubilare, momenti dove la gente possa parlare, intervenire, discutere, oltre che ascoltare i discorsi papali.

Noi tuttavia abbiamo un sogno: che nel 2000 la Chiesa di Roma, nella sua coralità, avvii il cammino che la porti un giorno a celebrare una grande assemblea conciliare per affrontare insieme - vescovi, preti, religiosi, suore, laici, uomini e donne - i problemi che pone oggi l'annuncio al mondo dell'Evangelo di sempre. Sarà, il cammino invocato, lungo e difficile; ma nessun traguardo ambizioso si raggiunge se non ci si decide a fare i primi, coraggiosi passi. Né l'indifferibile - ecclesialmente ed ecumenicamente - riforma del modo di esercizio del primato papale, pur apertamente auspicata dallo stesso Wojtyla, potrà mai concretizzarsi se l'intero popolo di Dio non si assume le sue responsabilità per mettere in crisi l'imperante centralismo che la Curia romana difenderà a tutti i costi.

Questo itinerario dovrà incrociarsi, Dio sa come, con il più ampio cammino dell'insieme di tutte le Chiese cristiane verso la celebrazione di un Concilio autenticamente universale, che faccia compiere un balzo decisivo per la riconciliazione delle Chiese e la piena comunione eucaristica tra loro, così che in una "diversità riconciliata" insieme servano il mondo, e soprattutto l'immensa massa delle persone oppresse ed emarginate.

Traguardi utopici? Ma nessuna grande meta è mai stata raggiunta se qualcuno prima non ha sognato di raggiungerla, e per questo ha operato. E, del resto, noi sappiamo che lo Spirito - come e dove vuole - continua a soffiare sulle Chiese e sul mondo. Lo preghiamo, dunque, perché possiamo discernere ciò che Lui oggi dice alle Chiese. E con il suo aiuto noi speriamo, malgrado i molti segni dell'inverno che incombe, che la primavera sia vicina.

"Noi Siamo Chiesa"-Italia

(aderente all'International Movement We Are Church - Imwac)

 

Roma, 22 Dicembre 1999

 

Per informazioni o chiarimenti rivolgersi a Luigi De Paoli portavoce nazionale di "Noi Siamo Chiesa"( tel. 0656470668 E-mail < luigi.depaoli@eurodatabank.com>) oppure a Vittorio Bellavite (tel. 022664753 E-mail <vi.bel@iol.it>)

Il sito Internet di "Noi Siamo Chiesa" è <www.we-are-church.org/it>




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