Da: "Rocca", 15 novembre 1999, n. 22

Assemblea interreligiosa in Vaticano

UNITI IN DIO

Per la prima volta nella storia il Vaticano ha ospitato, dal 24 al 29 ottobre 1999, un’assemblea rappresentativa delle principali religioni del mondo. Essa è stata voluta da Giovanni Paolo II per rilanciare il dialogo interreligioso, specialmente tra i cristiani, gli ebrei e i musulmani, sulla scia del Concilio Vaticano II. Vi hanno partecipato duecento personalità in rappresentanza di 19 fedi e delle rispettive religioni. La rappresentanza delle varie Chiese cristiane, valdesi, anglicane, luterane e ortodosse è stata prevalente. Quattordici erano gli esponenti dell’Ebraismo presenti (tra cui il Gran Rabbino Sirat di Francia e il rabbino Kronish), ben 42 i rappresentanti dell’islam (tra cui l’ayatollah Taskhiri dell’Iran, il prof. Al Khalidi dell’Iraq, Omar Azziman del Marocco), 26 i buddhisti.

Scopo dell’assemblea: esaminare il posto delle religioni, nel positivo e nel negativo, nel secolo che sta per concludersi, e di stringere un alleanza per il futuro per affrontare insieme le sfide della giustizia e della pace. Una tale alleanza intende reagire allo scenario dello "scontro fra civiltà" delineato come ineluttabile per il futuro del pianeta, uno scontro di cui l'integralismo religioso sarebbe l’ingrediente principale.

Come ha sottolineato il presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso cardinale Francis Arinze, nell’introdurre la riunione, la violenza, le tensioni internazionali e la guerra sono a volte promosse in nome della religione. "È dovere dei credenti più illuminati" ha detto Arinze "di mostrare ai propri concittadini che la vera religione insegna l’amore di Dio e l’amore per il prossimo e non dice alle persone di uccidere gli altri".

Conversione dei cuori

Si è potuto tuttavia osservare che il riconoscimento assicurato al ruolo spirituale nella evoluzione dell’umanità è stato gestito con cautela. E stata scartata dal programma l’idea d’una preghiera in comune tra i rappresentanti religiosi. Ciascun raggruppamento ha potuto usufruire di propri spazi a Roma per raccogliersi nella preghiera della propria tradizione spirituale. E stata notata la cura con la quale si era omessa qualsiasi apparenza di sincretismo e assicurato il rispetto dell’identità di ogni religione. A differenza della Giornata di preghiera per la pace, svoltasi ad Assisi il 27 ottobre 1986, l’Assemblea interreligiosa vaticana ha usufruito di tre giorni per le discussioni tra i rappresentanti religiosi in assemblee plenarie e in piccoli gruppi di lavoro. Un’altra differenza sensibile è che mancavano i leader e che le rappresentanze erano state volutamente mantenute, su suggerimento dei dirigenti vaticani, ad un livello meno impegnativo. Infine, qualsiasi discussione teologica è stata rinviata, per consacrare l’intera attenzione al contributo pratico che le diverse religioni possono offrire sul piano dei problemi del mondo, attraverso lo sviluppo della loro vita spirituale e il loro impegno educativo, in particolare a favore della cultura del dialogo.

L'incontro di Assisi, il 27ottobre 1986, resta inciso nella memoria. In quel giorno il papa Giovanni Paolo II e i rappresentanti delle diverse religioni si erano riuniti per la prima volta per una giornata di preghiera a favore della pace, in piena crisi degli euromissili. L’evento suscitò l’opposizione delle correnti integraliste, mentre fu salutato da molti come il simbolo di un nuovo atteggiamento dei cristiani, che si lasciavano alle spalle l'epoca delle crociate e dell’intolleranza. Questo atteggiamento, già preconizzato dalla dichiarazione Nostra Aetate del Concilio Vaticano II, aveva avuto una espressione solenne nell’incontro di Assisi.

Ma era prevedibile che "lo spirito di Assisi" non avesse vita facile in Vaticano e dintorni. Esso doveva sfidare una prassi con secoli di esclusivismo alle spalle, all’ombra dell’assioma "fuori della Chiesa non c’è salvezza". La linea del dialogo interreligioso aveva dovuto subire le conseguenze di un clima più disposto alla cautela che all’audacia in questo campo. Il papa non aveva mancato di appoggiare la Comunità di Sant'Egidio che aveva tenuto vivo l’ideale profetico di Assisi mediante la celebrazione di dodici incontri interreligiosi, anno dopo anno, in diverse città del mondo. Nella cerimonia conclusiva a Piazza San Pietro il presidente della Comunità, Andrea Riccardi, ha sottolineato con una leggera punta critica che "Assisi non è finita come un bel sogno, ma il cammino è continuato". Egli ha riconosciuto al papa, che era presente, il merito di essere stato "guida e compagno spirituale in questo cammino".

Le diffidenze vaticane

In effetti, era difficile disconoscere che gli innegabili progressi già realizzati non sembravano scalfire in modo incisivo le abituali procedure e il sistema teologico dominante, quasi legittimando il timore di alcuni secondo i quali l’utopia di Assisi e l’istituzione vaticana seguissero percorsi paralleli. Malgrado i progressi della cultura del dialogo e le iniziative di Giovanni Paolo II, la curia romana era intervenuta ripetutamente negli ultimi anni novanta per bloccare le ricerche teologiche compiute in nome del pluralismo religioso, nel timore che il dialogo finisse per porre tutte le religioni sullo stesso piano. Teologi come l’asiatico Padre Tissa Balasuriya e padre Jacques Dupuis, che si erano dedicati alla ricerca della fondazione del pluralismo religioso, erano stati raggiunti dalle diffidenze vaticane.

Al Sinodo dei vescovi per l'Europa qualche giorno prima dell’Assemblea, erano emerse voci di prelati insoddisfatti della scarsa produttività del dialogo con l’Islam, in particolare dell’insufficienza di segni tangibili di un’evoluzione verso statuti di libertà religiosa in alcuni paesi islamici o a maggioranza islamica. Un arcivescovo, mons. Giuseppe Bernardini di Izmir, in Turchia, si era abbandonato a ricopiare, in un discorso al Sinodo, lo stereotipo delle angosce dei "benpensanti", affermando che la costruzione di moschee e centri culturali islamici nei paesi "cristiani" farebbero parte di una strategia di dominio e di un "chiaro programma di espansione e di riconquista".

Ad Assisi sono tornati in pellegrinaggio, il 27 ottobre di tredici armi dopo, i partecipanti dell’assemblea, conclusasi in Piazza San Pietro la sera del 28 ottobre con una cerimonia presieduta da Giovanni Paolo II. In faccia al principale tempio della cristianità e ai palazzi della curia, l’Assemblea interreligiosa presieduta dall’anziano papa ha portato la sua sfida pacifica nel cuore simbolico del sistema. Sullo schema degli incontri promossi da Sant'Egidio sono stati accesi cinque bracieri, simbolici dei Continenti ai quali è stata attinta la fiamma per le candele, a migliaia, nel crepuscolo rosso fuoco di Roma e si è fatto un lungo momento di silenzio, forse più eloquente di molti discorsi. Quarant'anni prima, in quella stessa ora, al balcone della Basilica era apparsa dinanzi alle trecentomila persone in attesa nella piazza la mite figura del nuovo papa, Giovanni XXIII, appena eletto dal conclave: il papa che avrebbe dichiarato chiusa l’epoca delle crociate e lanciato la Chiesa sulle strade del dialogo, secondo il metodo del "cercare ciò che unisce piuttosto che ciò che divide".

La fatica del confronto

Né allora né oggi gli inizi di un’età nuova, o di un ciclo culturale di grande portata, si fanno discernere con facilità sotto le apparenze immediate. Benché l’ora sembri volgere all’atteggiamento difensivo, pure si può comprendere che le Chiese cristiane non siano immuni dalla fatica nell’accettare di misurarsi in Europa con la trasformazione in senso multireligioso di una società fino a pochi anni fa a stragrande dominante cristiana. L'Islam non è una realtà remota, i minareti punteggiano l’orizzonte delle società europee, una grande moschea è stata aperta nel cuore della cristianità, a Roma. Questo mutamento ha cominciato a scuotere l’incondizionalità, almeno geopolitica, dell’ideologia della cristianità, e ha reso evidente, con l’eloquenza dei fatti, la necessità di un’azione comune fra le diverse religioni mondiali e del loro dialogo.

In un messaggio all’Assemblea, il patriarca ecumenico Bartolomeo I, capo d’onore delle Chiese ortodosse, ha ammesso che nei secoli passati, "molto sangue corse in nome di Dio. Il fanatismo religioso" ha aggiunto "fu provocato e scientemente utilizzato a profitto delle visioni e di piani politici. (...). Le nostre società miste, dal punto di vista religioso, e la grande maggioranza della gente semplice che aspirano alla pace universale, si accorgono che il fatto di praticare dei principi di dominazione mediante la forza, in altri tempi accettati da certe religioni, agirebbe in modo sovversivo sulla pace comune dei popoli e farebbe delle grandi città e delle società plurireligiose, alle quali appartengono la maggior parte delle società attuali, dei veri vulcani".

L’anglicano londinese Brian Pearce ha esposto durante la cerimonia conclusiva l'esperienza dell’Inter Faith Network, fondata nel 1987 per combattere i pregiudizi religiosi e l’intolleranza: "abbiamo imparato" ha detto "l’importanza di scoprire ciò che gli altri veramente credono e considerano come dei valori, abbiamo imparato a rigettare gli stereotipi che feriscono, a correggere le cattive interpretazioni ogni qualvolta ci imbattiamo in esse, non solo della nostra tradizione ma anche delle altre. Abbiamo imparato a non mettere a confronto i nostri ideali con la pratica degli altri. Tutti noi siamo lontani dagli ideali che le nostre tradizioni ci presentano. Abbiamo scoperto quanto possiamo guadagnare dalle relazioni interreligiose senza diminuire ie nostre identità religiose. Nel cercare sempre una base comune, abbiamo imparato ad essere onesti anche sui punti che ci differenziano. Abbiamo imparato che ogni vero rapporto è reciproco, che offre opportunità per domande reciproche".

A sua volta il Gran Rabbino René Samuel Sirat, di Parigi, ha rievocato "l'insegnamento del disprezzo" dei tempi prima del Concilio Vaticano II e prima di papa Giovanni, dei cardinali Bea e Koenig, di mons. Elchinger: "La profezia di Sofonia (III,9> di una preghiera comune non si è ancora realizzata" ha detto "ma l’iniziativa di Giovanni Paolo II converge verso il rispetto delle tradizioni liturgiche e la specificità degli atti di fede e di adorazione. (...). Il carattere essenziale dei nostri incontri" ha concluso il Gran Rabbino "è il rispetto assoluto delle convinzioni e della fede di ciascun partecipante".

Nella Piazza San Pietro, da dove alcuni papi avevano mobilitato le crociate contro l’Islam, ha parlato durante la cerimonia conclusiva l’Imam W. Deen Mohammed, dei musulmani degli Stati Uniti. Ricordando che la crescita della popolazione, i trasporti e i mass media moderni "sono circostanze che ci hanno inserito in un disegno globale", egli ha dichiarato che "non possiamo far altro che cercare occasioni perché le religioni si incontrino e con discussioni sincere arrivino ad una conoscenza migliore l’una dell’altra. Ringraziamo Allah" ha detto l'Imam col nome del suo Profeta "per questa occasione per cui i capi delle grandi religioni si incontrano qui nella Città Santa dei cattolici, ospitati da Sua Santità papa Giovanni Paolo II, loro capo, che tra i suo’ ammiratori ferventi può contare sui molti Musulmani qui presenti... Dio è uno, la sua creazione è una, c’è una legge universale per ogni cosa, per tutte le realtà materiali, ed ogni cosa è in relazione. Dio ha fatto differenti anche gli esseri umani, perché vuole che l’unità progredisca". La figura di Gandhi è stata evocata da una sua discepola induista, Usha Mehta.

Infine, Giovanni Paolo II ha constatato che i grandi progressi tecnologici "non sono sempre accompagnati da grandi progressi spirituali e morali", per cui non è esagerato parlare di una "crisi di civilizzazione". Essa si manifesta nelle "scandalose diseguaglianze" economiche nella ripartizione delle risorse mondiali, nei continui conflitti armati che insanguinano il mondo e che "urlano come ferite aperte, reclamando una guarigione che sembra non venire mai". Anche le religioni ha riconosciuto il papa talora sono "parte del problema", e ostacolano il cammino della pace e della prosperità mondiale. Ma Wojtyla ha affermato con forza che "ogni uso della religione per sostenere la violenza è un abuso della religione". "La religione non è e non deve diventare pretesto di conflitti" ha sostenuto il papa "particolarmente quando le identità religiose, e quelle culturali ed etniche coincidono. Religione e pace vanno insieme. Fare guerre in nome della religione è una contraddizione eclatante. I leaders religiosi devono chiaramente mostrare di essere impegnati a promuovere la pace proprio in ragione delle loro credenze religiose". Per questo egli ha proposto che la crescente stima reciproca fra membri di diverse religioni porti ad azioni "più coordinate ed efficaci tra loro a favore della famiglia umana".

Il Messaggio Conclusivo dell’Assemblea ha accentuato la necessità di creare "una nuova coscienza spirituale per tutta l’umanità" in modo che venga assicurato il rispetto dei principi della libertà di religione e di coscienza. Il Messaggio, sottoscritto dai partecipanti, ha impegnato i membri delle diverse religioni a rispettare le differenze e i valori comuni, a lavorare insieme per prevenire i conflitti rigettare il fanatismo, l’estremismo e l’antagonismo reciproco, a identificare gli elementi di una "morale fondamentale" basata sui comuni valori spirituali, a rifiutare l’uso della religione per incitare all’odio e alla violenza e per giustificare la discriminazione. Sono stati assunti impegni a favore del dialogo culturale, per rivedere gli stereotipi dell’antagonismo o le rappresentazioni parziali delle religioni nei libri di storia e nell’informazione e tutti si sono accordati, nello spirito del Giubileo, a chiedersi perdono reciprocamente per gli errori, le lacerazioni, gli odi derivanti dalle esperienze dolorose del passato.

 

Giancarlo Zizola




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