APPUNTIRELATIVI ALL ’APPELLO: "NOI SIAMO CHIESA" 1) Ogni separazione. Gesù non è un uomo separato dal popolo; non organizza i discepoli come gruppo separato, la qual cosa contraddice l’organizzazione religiosa ebraica, fondata sulla separazione tra il popolo e la tribù-casta sacerdotale, quella dei leviti, l’unica legittimata a fornire sacerdoti e sommi pontefici. Gesù non prevede nemmeno formule o riti di consacrazione né l’imposizione di particolari abbigliamenti, come era d’obbligo nel sacerdozio ebraico. 2) Ogni privilegio. Gesù abolisce per i discepoli ed apostoli ogni forma di privilegio, superiorità e onore. 3) Ogni forma di dominio. Per Pietro i dirigenti della chiesa debbono aver cura del proprio gregge "non tiranneggiandolo" ma essendo di esempio a tutti" (Pt 5, 1-4) Lo stesso Concilio Vaticano II (LG. 27, 1) riconosce che l’esercizio dell’autorità deve essere improntato tenendo in conto che "chi è più grande deve farsi come il più piccolo e che chi occupa il primo posto deve essere servo" (Lc 22,26-27). Fin dai primi secoli la formazione del "consenso" relativo a decisioni o a formulazioni di leggi si salda con la "ricezione" per cui: 1) sono importanti le qualità intrinseche della legge piuttosto che l’autorità estrinseca 2) la mancata ricezione viene considerata come segno possibile dell’inadeguatezza intrinseca della legge. 3. quando la maggioranza di una comunità disobbedisce a una legge è ingiusto imporla ai pochi "virtuosi." Per tutto il primo millennio discipline e controversie ecclesiali sono regolate da sinodi e concili, per i quali il consenso è un elemento fondamentale. Per Cipriano la frase chiave è "in unum convenire", cioè riunirsi con la mente e il cuore, per raggiungere insieme un consenso ( una consensio, comune consilium). Inoltre non basta il consenso ottenuto durante la riunione: prova ne sono le lettere sinodali inviate ad altre chiese per invitare altri ad unirsi al consenso raggiunto. Cosicché l’importanza di un sinodo non dipende dal numero o dalla dignità dei vescovi presenti ma dalla misura in cui i decreti vengono accettati. Papa Leone Magno, sebbene forte sostenitore del primato papale, assegna grande importanza ai sinodi, al punto da istituirne due all’anno in Roma, con l’invito a dibattere le questioni con obiettività e ascoltare il parere di tutti i partecipanti. Bonifacio VIII fa sua la massima "quod omnes tangit ab omnibus tractari et aprobari debet", rimanendo così ancorato alla tradizione canonica al passo di Graziano (d.D:96 c4) nel quale si afferma che, dal momento che la conservazione della fede è preoccupazione di tutti, essa riguarda non solo i chierici, ma anche i laici e quindi ogni cristiano. Per secoli le comunità cristiane non hanno problemi di vocazioni, seminari, nomine di vescovi. L’accesso al ministero episcopale o sacerdotale non è un problema dell’individuo ma della comunità, alla quale si riconosce il diritto di eleggere i propri ministri e anche di rimuoverli. L’esempio più eloquente è quello di Cipriano: in tre diocesi spagnole, il popolo aveva deposto i tre vescovi per non aver resistito alla persecuzione. Il papa Stefano riconferma nel suo posto uno dei vescovi, Basilide. A questo punto i fedeli ricorrono a Cipriano che convoca un concilio nella cui risoluzione, firmata da 37 vescovi partecipanti si scrive che: a. "vediamo che è di origine divino eleggere il vescovo in presenza del popolo" b. "il popolo ha il diritto di eleggere vescovi degni e rifiutare gli indegni" c. "non può essere annullata dal papa l’elezione che si è svolta in modo retto (Epist. 67,IV, 1-2) Il Nuovo Testamento afferma la necessità che nella Chiesa esistano "ministeri" o servizi per il buon funzionamento della comunità. Mai si parla di clero, preti o presbiteri nel senso moderno. Il termine greco kleros (che significa sorte eredità) piuttosto viene utilizzato a volte nel N.T. per significare non i ministri della comunità, bensì quest’ultima rispetto ai pastori. Per la nomina e la selezione dei pastori Paolo da le seguenti indicazioni (1 Tim 3,1-10): "Ecco una parola sicura: se qualcuno desidera avere un compito di <pastore> nella comunità, desidera una cosa seria. Un pastore deve essere un uomo buono, fedele alla propria moglie, capace di controllarsi, prudente, dignitoso, pronto ad accogliere gli ospiti, capace d’insegnare. Non può essere un ubriacone, un violento o uno che litiga facilmente: sia invece gentile e non si mostri attaccato ai soldi. Sappia governare bene la sua famiglia, i suoi figli siano obbedienti e rispettosi. Perché se uno non sa governare bene la propria famiglia, come potrà aver cura della Chiesa di Dio? Egli non deve essere convertito da poco tempo, altrimenti potrebbe andare in superbia e finire condannato come il diavolo. Infine che egli sia stimato anche da quelli che non sono cristiani, perché nessuno lo disprezzi ed egli non cada in qualche trappola del diavolo" La distinzione tra chierici e laici, sconosciuta alle prime comunità cristiane, appare nel III sec. con Tertulliano e nel IV con S. Girolamo. La formazione di un clero come ordine separato dai fedeli è la copia secolarizzata di uno dei 3 ordines (senatorius, equester e plebeius) vigente nell’impero romano, dove il termine "ordo" si applicava solo ai primi due: quello dei senatori e quello dei cavalieri. La plebe, di fatto, non aveva alcuna dignità Questa terminologia che discriminava la società secondo ranghi e privilegi fu assunta dal gruppo dirigente della chiesa (il clero) per differenziarsi dal popolo (plebs) (Tertulliano: De export. cap. VII, PL2, 971). E così l’ordo e i suoi derivati (ordinatio e ordinare), diventano il termine chiave per dividere i cristiani in due categorie: quelli del rango superiore, gli ordinati, cui era dovuto l’onore e quelli del rango inferiore, la plebs, privi di qualunque onore e potere. Le lettere di Paolo non sono dirette ai capi della gerarchia ma a tutta la comunità: in caso di conflitto è la comunità che deve cercare l’accordo e la soluzione. Quando nella comunità di Corinto si presentano seri problemi di divisione tra i cristiani (I Cor. 6, 10-13), di scandalo (I Cor. 5, 1-3), d’immoralità (I Cor. 6, 12-199, di disordine nelle assemblee (Cor. 14, 26-40) o per dubbi sulla resurrezione I Cor. 15), Paolo mai raccomanda di rivolgersi ai dirigenti, ma insiste che è la comunità che deve riunirsi e risolvere fraternamente i problemi. Anche nelle lettere di Giovanni mai si parla di ricorrere ai dirigenti della comunità, ma di discernimento e di amore reciproco per risolvere dubbi e questioni. San Cipriano, uno dei vescovi più eminenti della Chiesa antica diceva: "Sin dall’inizio del mio episcopato ho deciso di non prendere alcuna risoluzione da solo senza il vostro consiglio e il consenso del popolo" (epist. 14,IV,1)
.-Per i primi cristiani vi sono due verità essenziali: 1) la comunità cristiana è "chiesa di Dio", è "chiesa del Cristo", è "tempio dello Spirito Santo". Il Nuovo Testamento non conosce opposizioni tra ciò che viene "dall’alto" e ciò che viene "dal basso": tutta la comunità è tempio dello Spirito Santo, corpo del Cristo. 2) tutta la chiesa è apostolica, in continuità diretta sia con le 12 tribù d’Israele (segno della comunità umana escatologica) sia gli apostoli garanti dell’esperienza originaria di Gesù. L’accento è posto non tanto sulla dottrina quanto sulla sequela Jesu. - Sulla base del Nuovo Testamento si può dire che nel 1° secolo si assiste ad un ministero indifferenziato e carismatico, in cui intervengono soprattutto profeti e dottori. - Successivamente e lentamente si passa all’istituzione di una direzione presbiterale; ma essa non costituisce un’autorità dottrinale. I ministri sono guide, animatori: la loro principale occupazione non è l’eucarestia o la liturgia, ma la predicazione e l’esortazione. Nel primo secolo, come ci attestano sopratutto le lettere di Paolo, le donne erano a capo delle comunità cristiane (Rom 16,1; 12; 1 Cor 16,19; Fil 4,37). La svolta verso la sacerdotalizzazione si ha dopo il primo millennio, nel 3° e 4° Concilio del Laterano (1179 e 1215), dove si stabilisce che: - l’eucarestia può essere celebrata solo da un prete validamente ordinato; - ai fini di tale ordinazione non si prevede alcun consenso da parte della comunità; - si diventa preti non come presidenti o animatori della comunità, ma in virtù di un "carattere sacramentale" - Il presbiterato diventa "uno stato di vita personale", piuttosto che servizio della comunità. Si è preti indipendentemente da una chiesa determinata. Le ordinazioni assolute, cioè svincolate dalle comunità e proibite dal Concilio di Calcedonia, diventano valide. - L’ordinato possiede un potere eucaristico. L’ordinazione serve a dare una forza particolare per compiere la consacrazione eucaristica. - L’antica relazione tra ministero e chiesa si sposta verso una relazione tra potere ed eucarestia. - Nella chiesa medievale un prete è ordinato per poter celebrare l’eucarestia, nella chiesa antica il ministro era istituito come capo della comunità. Con il Concilio di Trento: - viene ridotto a nulla il ruolo del popolo dei credenti anche nella designazione dei ministri, come evidente reazione alla riforma protestante che accentua il ruolo della comunità. Il Concilio non definisce l’essenza del ministero ecclesiastico (date le divergenze tra tomisti e scotisti). - si lega il ministero ecclesiale alla presidenza dell’eucarestia (culto) e la predicazione-direzione pastorale all’episcopato. - il sacro potere sacerdotale fa di qualcuno (e lui soltanto) un uomo partecipe del sacerdozio di Cristo. Egli possiede un potere anche in assenza di tutte le comunità. - tutto ciò non è mai definito come dogma, anche perché contrasta con quanto professato dalla Chiesa nel 1° millennio. Secoli più tardi Pio X scrive nell’enciclica Vehementer nos (1906) "Solo nella gerarchia risiede il diritto e l’autorità necessaria per promuovere e dirigere tutti i membri al fine della società. In quanto al popolo non ha altro diritto che lasciarsi condurre e seguire docilmente i propri pastori". Le persone che Gesù sceglie come apostoli e discepoli sono, in maggioranza, sposati. Paolo eplicita il diritto dell’apostolo a una vita di coppia: "Non abbiamo anche noi il diritto di portare con noi una moglie credente come l’hanno gli altri apostoli e i fratelli del Signore e Pietro?" (1 Cor 9,5) Nei primi 10 secoli nessuna chiesa, occidentale od orientale, pone il celibato come condizione per l’ammissione al ministero: i ministri sono sposati e non sposati. Nella chiesa antica ricorre l’idea che il ministro deve essere "l’uomo di una sola donna". Nel Concilio di Nicea non ci sono discussioni sulla continenza dei preti, tanto meno sull’obbligatorietà del celibato. A partire dal IV sec., sotto il pontificato di Damaso e Siricio (366-399), viene interdetto ai celebranti il rapporto sessuale nella notte che precede l’eucarestia. E’ evidente l’origine liturgica della continenza per il clero. Non si tratta del "celibato" ma dell’astensione dal rapporto sessuale in nome della purità rituale. Da allora in poi tutti i documenti ecclesiastici sul celibato dei preti fanno riferimento alle leggi di purità del Levitico (Lev 15, 16-18; 22,4) Alla base della legge della continenza vi è una concezione della sessualità ben espressa da S. Girolamo, secondo cui il "rapporto sessuale è una cosa sporca" (omnis coitus immundus). Gran parte dei Padri della Chiesa ironizzano e svalutano la sessualità (Origene, Agostino, Ambrogio, Tertulliano, Gregorio Nisseno). Alcune chiese cristiane considerano la continenza sessuale come un obbligo battesimale. Il piacere sessuale non è ritenuto del tutto lecito. Dopo il primo millennio l’obbligo della continenza per i preti sposati si trasforma in legge del celibato ministeriale (2° Concilio del Laterano, 1215), anche perché la legge della continenza non era praticata n modo diffuso, nonostante le sanzioni anche economiche. Solo con il Concilio Vaticano II si riconosce insostenibile l’antica motivazione della legge sul celibato (purità rituale e sessualità sporca): l’accento viene posto sul "celibato per il Regno di Dio: Il discernimento secondo il Nuovo Testamento non è un procedimento singolare o eccezionale della prima comunità cristiana: esso è abituale per trovare quello che piace al Signore.(Rom. 12, 1-2; Ef 5,8-10; Fep. 1, 8-11, 1Cor. II,28-29; 2 Cor. 13, 5-6; 1Gio 4, 1; Eb 5, 14). Dialogare, pregare e consultarsi, sono attività primarie della comunità. Negli ordini di perfezione (religiosi) c’è un equilibrio tra processi decisionali comunitari ed autorità dei membri incaricati che debbono rendere conto agli organi che li hanno eletti. Tutti sono responsabili della congregazione e vige una uguaglianza di base tra tutti i membri. Con il Concilio Vaticano II cambia il modo di intendere la Chiesa:la Chiesa è interpretata come una comunione generata dallo spirito e strutturata dai sacramenti. La Chiesa non è più vista a partire dal binomio sacerdozio-laicato, cioè una società divisa in due categorie di persone: i pastori e il gregge, ma un "popolo", "stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa". Proprio la sostanziale uguaglianza è la base perchè la scelta delle persone destinate ai diversi incarichi (diaconi, sacerdoti, vescovi, ecc.) sia elettiva. L’eucarestia primitiva è strutturata sul modello della preghiera giudaica recitata a tavola. La concezione comune è che colui che ha l’incarico di guidare la comunità presiede l’eucarestia. Per la celebrazione dell’eucarestia è determinante la vitalità evangelica della comunità. Non è necessario il prete ma il presidente. Tutta la comunità "concelebra". La frazione del pane implica sia una unione dei cuori sia una reale comunione dei beni. (Atti 2) Non esiste un culto liturgico, perchè l’unico culto essenziale e gradito a Dio è la pratica della giustizia e l’amore fraterno. (Mt 5, 23-24). Non si può celebrare l’eucarestia se nella comunità vi sono "gruppi rivali"(1 Cor 11, 17-21) Nella prima lettera di Clemente si attribuisce la presidenza dell’eucarestia all’episcopo-presbitero o "a coloro che sono stati incaricati da altri membri eminenti con l’approvazione di tutta la chiesa".
IL CONTROLLO DELLE NASCITE.Nel 1963 durante i lavori del Concilio, Giovanni XXIII nomina una commissione per il controllo delle nascite, composta da 13 persone. Il P. Haring invita caldamente la commissione a non discutere il tema del controllo delle nascite solo nell’ambito delle teorie del diritto naturale. Nel 1964, nel corso della 3a sessione conciliare, il Card. Léger (Canada) afferma: "Noi abbiamo una concezione pessimistica e negativa dell’amore. Questo schema (in discussione) intende contribuire a migliorare questa idea e a chiarire che cos’è l’amore e che funzione ha. Dobbiamo ammettere che l’unione coniugale intima raggiunge un proprio fine autorizzato anche quando non avviene il fine della procreazione." Nella stessa sessione il Card. Suenens (Belgio) afferma: "La Chiesa ha fatto molti progressi dai tempi di Aristotele e anche di Sant’Agostino. E’ ora di finirla con il pessimismo manicheo. Allora capiremo meglio che cosa è compatibile con l’amore e che cosa non lo è... vi prego confratelli, cerchiamo di evitare un altro "caso Galileo". Alla Chiesa ne è davvero bastato uno". Per il Patriarca orientale Maximos IV le vecchie dottrine ecclesiastiche relative al controllo delle nascite derivano da una psicosi celibataria." A seguito del dibattito conciliare sui fini del matrimonio Paolo Vi pur avocando a sé ogni decisione, nomina. alla fine del 64, altre 40 persone come membri della Commissione per il controllo delle nascite, tutti cattolici, di cui 34 laici, 9 preti secolari e 12 membri di ordini religiosi: molti erano insegnanti di importanti università. Nel 1965 i membri della Commissione, tra l’altro, respingono la dicotomia tra "finalità primarie e secondarie" del matrimonio, così come erano state definite nel 1930 da Papa Pio XI e nel 1951 da PioXII. Di fronte al problema su come i coniugi possono amarsi e nello stesso tempo limitare il numero dei figli, la presidenza del Concilio decide di affidare il problema alla Commissione, che viene ulteriormente ampliata con 7 Cardinali e 9 Vescovi- Tra questi Karol Wojtyla. Arc. di Cracovia, che mai partecipò ai lavori della Commissione. Durante i due mesi di discussioni, emergono due posizioni emblematicamente rappresentate da due Cardinali. a)-quello di Milano (Card. Colombo, consulente del Papa), secondo cui ammettere errori in tema di sessualità da parte del Magistero "significherebbe mettere in pericolo la stessa infallibilità della Chiesa, maestra di verità in questioni attinenti la Salvezza. Non significherebbe forse che le porte dell’inferno hanno sconfitto la Chiesa?": b)-e quella di Monaco (Card. Dopfner) secondo cui "se la dottrina ecclesiastica finora sostenuta sul controllo delle nascite non era infallibile - e questo nessuno lo ha mai affermato - allora era fallibile. La conseguenza non è forse che un magistero fallibile può anche commettere errori?" Di fronte al fatto che la grande maggioranza della Commissione è favorevole a modificare l’insegnamento tradizionale e a rimettere alla coppia la decisione di usare metodi contraccettivi "non naturali", il Card. Colombo, consulente del Papa, assicura che il Papa non voterebbe quel documento. Contemporaneamente il Card. Ottaviani consegna al Papa una relazione di minoranza. Alla stampa vengono consegnate le relazioni di maggioranza e di minoranza. Nel 1965 termina il Concilio: nessuna decisione è presa dai padri conciliari in tema di regolazione delle nascite. Nel 1967 la Commissione presenta al Papa il rapporto: 64 membri si dichiarano favorevoli a modificare il divieto sui metodi contraccettivi e solo 4 (tutti teologi) sono contrari al rapporto di maggioranza, pur ammettendo di non essere in grado di dimostrare il proprio no sulla base della legge naturale e mancando al riguardo un qualsiasi argomento nella Sacra scrittura o nella Rivelazione Divina. Nella relazione di maggioranza si spiega la ragione per cui la Chiesa aveva bisogno di aggiornare i suoi insegnamenti sulla sessualità citando "i cambiamenti sociali avvenuti nel matrimonio... nella posizione della donna, la riduzione della mortalità infantile, i progressi in campo fisiologico, biologico, psicologico e sessuale; una diversa valutazione del significato della sessualità... Si deve infine tener conto dell’opinione dei fedeli". Nel 1968 il Papa pubblica l’enciclica "Humanae vitae" secondo cui "ogni atto coniugale deve essere aperto alla trasmissione della vita", riconfermando la vecchia dottrina sul controllo delle nascite, che altro non è che il punto di vista della "minoranza della Commissione " L’enciclica non viene presentata come un documento infallibile , né vengono condannati quanti non la seguono. Le Conferenze episcopali danno un’interpretazione più elastica all’enciclica, dicendo che il Papa poneva ai fedeli un ideale elevato ma che, se in coscienza, essi non si sentivano in grado di viverlo, non avrebbero per questo dovuto sentirsi in peccato. Papa Wojtyla ribadisce che "coloro che praticano la contraccezione o addirittura pensano che sia normalmente lecita, rifiutano oggettivamente di riconoscere Dio (17 sett. 83).
________________________________________________________________________________ Bibliografia. Fondamentale ci pare per la parte storico-dogmatica il testo di E. Schillebeckx "Per una Chiesa dal volto umano", ed Queriniana. |