La dichiarazione di padre Robert Nugent

dopo la sconfessione

(Roma, 14 Luglio 1999)

(I commenti in corsivo al testo integrale sono di Gianni Geraci de "Il Guado )

 

"Il principale obiettivo del mio ministero educativo e pastorale nei confronti delle persone cattoliche omosessuali, dei loro genitori e delle loro famiglie, e' stato sin dal 1971 promuovere nella Chiesa e nella società la giustizia e la riconciliazione, attraverso la ricerca, la scrittura, conferenze, laboratori, seminari, ritiri ed attività di consulenza. Il ministero si e' sempre basato sugli autentici insegnamenti della chiesa e i tradizionali principi teologici e pastorali. Mi sono servito di documenti del Vaticano e di altre fonti del magistero come base per i miei scritti e per le mie conferenze.

Molti vescovi hanno acconsentito che tenessi i miei programmi in strutture cattoliche delle loro diocesi, alcuni vescovi li hanno appoggiate, altri vi hanno addirittura partecipato.

Solo in pochi hanno impedito l'uso di strutture diocesane e lamentele sul mio ministero giunsero solo da pochi ecclesiastici influenti e da alcuni gruppi di opposizione di natura reazionaria."

Come vedete l’attività di padre Nugent non era svolta in contrasto con i vescovi statunitensi, ma spesso si avvaleva del loro tacito consenso o della loro aperta collaborazione.

"Per quel che riguarda la mia formazione posso dire di avere avuto una regolare formazione accademica nelle discipline teologiche pur essendo principalmente un pastore, non un teologo professionista.

A partire dal 1977 ho cooperato con deferenza e pienamente, alle cinque inchieste sul mio ministero che si sono svolte a vari livelli nella chiesa. Queste hanno incluso: quattro inchieste interne svolte dalla mia congregazione religiosa, tra il 1977 e il 1985, su richiesta della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata (CICL); un'inchiesta pubblica della commissione Maida, nominata dalla stessa CICL nel 1988 con il mandato di "dare un giudizio sulla chiarezza e sull'ortodossia delle mi pubbliche presentazioni dell'insegnamento della chiesa sull'omosessualità"; e una diversa indagine svolta nel 1998 dalla Congregazione per la dottrina della Fede (CDF) che si è conclusa con una particolareggiata contestazione di critiche e domande.

La più grave accusa fattami riguardo al mio ministero pastorale di questi ultimi 25 anni è stata la percezione, da parte di qualcuno, di una certa "ambiguità". Dal 1988 al 1994 la Commissione Maida ha esaminato le metodologie da me utilizzate e alcune espressioni di "Building Bridges" (1992) in una lunga e dettagliata indagine che comportò numerose comunicazioni scritte e tre giorni di incontri con la commissione a Detroit.

Sin dall'inizio ho notato che la composizione della Commissione mancava di un'equilibrata e vasta rappresentanza delle differenti visioni teologiche sull’argomento e di esperti teologi accademici nel campo dell'omosessualità. Richiesi allora l'applicazione delle "Responsabilità Dottrinali" (1989) che afferma che gli esperti "debbono conoscere la materia oggetto di discussione e debbono rappresentare le differenti posizioni che ci sono all’interno della tradizione cattolica" e che debbono essere scelti tra "teologi professionisti o persone pratiche del ministero pastorale".

Nonostante il fatto che la Commissione mancasse di certi fondamentali requisiti di basilare imparzialità e che le mie richieste al CICL di allargare ed equilibrare la Commissione con membri suggeriti dal SSND e dal SDS fallisse, io cooperai pienamente ad ogni passo del processo investigativo e ad ogni interrogazione fatta dalla commissione o dal CICL".

Le "Responsabilità dottrinali" sono le norme che regolano i procedimenti di inchiesta contro i teologi da parte dell’autorità nella chiesa. Non si tratta perciò di sciocchezze, ma di norme al cui rispetto tutti dovrebbero essere tenuti, nella chiesa. SSND e SDS sono invece le sigle che rappresentano le due congregazioni a cui appartengono rispettivamente padre Nugent e suor Gramick.

"E ho continuato ad operare anche quando i testi completi di alcuni documenti ufficiali riguardanti gli atti del mio caso e il mandato della commissione Maida furono nascosti al mio consulente (avvocato) canonico, mettendomi in situazione di grave svantaggio. Ho comunque espresso le mie preoccupazioni su questi punti e sulle pressioni esterne a cui la commissione stessa era esposta, pressioni di cui ero venuto a conoscenza dopo che un vescovo mi aveva mostrato la copia di una lettera in cui un alto ecclesiastico statunitense chiedeva di arrivare a una "veloce e rapida conclusione" del mio caso.

Nonostante questi elementi di disturbo, ho tuttavia risposto in modo esauriente e sinceramente alle domande scritte ed orali, nonché ai commenti della commissione su tutte le espressioni che venivano considerate dubbie. Ho chiaramente spiegato e ho chiarito, sia oralmente che per iscritto, ogni affermazione problematica in modo da indicare con precisione cosa effettivamente io intendessi o cercassi di comunicare. La mia collaborazione con la commissione Maida ha richiesto una grande quantità di tempo e di energie, che ho dedicato alla preghiera personale, alla riflessione seria, allo studio, e a numerose consultazioni con vescovi, teologi ed avvocati canonici.

Nell'ottobre 1994, mi furono consegnate le 12 pagine del rapporto finale della commissione Maida senza però le sue raccomandazioni al Vaticano. Nel 1995, la mia collega, suor Jeannine Gramick, SSND, ed io abbiamo risposto congiuntamente alle conclusioni della commissione. Nel dicembre 1995, mi fu chiesto di rispondere, attraverso la commissione Maida, a tre ulteriori domande postemi dalla CICL. Nel febbraio 1996, ho spedito le mie risposte alle tre domande. Nel 1996 appresi che il caso era stato trasferito, dalla giurisdizione della CICL, a quella della CDF e che quest’ultima congregazione aveva intrapreso un'altra inchiesta in cui sarebbe stato esaminato anche "Voci di Speranza", un libro da me curato e pubblicato nel 1995, in cui venivano raccolte alcune dichiarazioni cattoliche (provenienti anche da documenti ufficiali) che affrontavano in positivo l’argomento ‘omosessualità.

Nel dicembre 1997, i miei superiori religiosi mi informarono che l'indagine del CDF aveva trovato nei miei scritti delle "visioni erronee e pericolose". Queste mi furono comunicate dal CDF in una contestazione formale e tecnica, cui mi fu chiesto di rispondere personalmente ed indipendentemente da suor Gramick.

Ho dedicato molta attenzione al contenuto di questo documento anonimo di 6 pagine e ho cercato di offrire tutta la mia più sincera collaborazione nella speranza di arrivare finalmente a una conclusione positiva e fruttuosa.

Con questo spirito ho iniziato nuovamente a formulare una lunga e dettagliata risposta alla contestazione, così come mi era stato richiesto. Ho chiarito e ho corretto esplicitamente, in accordo con gli insegnamenti della chiesa, ognuna di quelle posizioni che erano state giudicate ‘erronee’ e ‘pericolose’. Ho inoltre affermato che accettavo e rispettavo gli insegnamenti della chiesa sull'omosessualità, così come sono contenuti nei documenti della chiesa, e che rifiutavo ogni opinione contraria. Ho cercato ancora una volta di spiegare le mie concezioni pastorali ed educative il più chiaramente possibile per sgombrare il campo dagli equivoci che erano sorti. Nella mia risposta, riconoscevo che molti problemi nascevano da una mancanza di precisione o di chiarezza in alcune mie espressioni, o da uno squilibrio che c’è nei metodi da me utilizzati. Riconoscevo pure che queste imprecisioni e questi squilibri potevano aver causato degli equivoci in alcuni luoghi ed esprimevo il mio dispiacere personale per queste situazioni.

E così risposi entro il periodo canonico di due mesi che mi era stato accordato dalla CDF.

Dal principio alla fine di questi processi, ho mantenuto il più assoluto riserbo, così come mi era stato richiesto dalle stesse congregazioni romane e dai miei superiori religiosi.

Nel giugno 1998 fui informato che le correzioni, le ritrattazioni e le scuse che avevo messo a punto nel rispondere alla contestazione che mi erano state mosse, non erano accettabili per la CDF che però non forniva in proposito alcuna spiegazione. Di conseguenza, mi fu chiesto di formulare entro un mese una dichiarazione di consenso personale agli insegnamenti della chiesa sull'omosessualità', e di riconoscere la mia responsabilità per qualsiasi errore contenuto nei miei libri e di chiedere perdono.

In risposta andai a Roma e feci la seguente dichiarazione scritta, datata 6 agosto 1998: "Non ho mai deliberatamente negato o messo in dubbio alcun insegnamento della chiesa che richiede il consenso di fede teologica. Non ho mai pubblicamente rifiutato od avversato qualsiasi proposizione che deve considerarsi definitiva. Non sono mai stato accusato di dissentire pubblicamente dall'insegnamento del magistero. Alcune proposizioni nei miei scritti pubblici su questioni pastorali legate all'omosessualità sono state considerate ‘erronee’ e ‘pericolose’. Come tali, queste proposizioni sono contrarie a certe dottrine del magistero autentico che richiedono religiosa adesione della volontà e dell'intelletto (Commentario sui paragrafi conclusivi della Professione di Fede, n.10), assumo quindi piena responsabilità per ogni errore nei miei scritti. Sono dispiaciuto per i danni che possono esserne derivati e chiedo perdono. Accetto la dottrina contenuta nei documenti Persona umana (1975), Homosexualis Problema (1986) e nel Catechismo della Chiesa Cattolica (1994) e vi aderisco come debbo".

Nella sua dichiarazione padre Nugent fa riferimento alla Professione di Fede che i teologi e quanti ricoprono incarichi nella chiesa, sono tenuti a fare. Il testo del giuramento è il seguente: "Aderisco inoltre con religioso ossequio della volontà e dell’intelletto agli insegnamenti che il romano pontefice o il collegio episcopale propongono quando esercitano il loro magistero autentico, sebbene non intendano proclamarli con atto definitivo". Si tratta dell’adesione che viene richiesta per le verità di ‘terzo livello’, quelle che cioè non sono state definite come infallibili dal magistero della chiesa nelle forme richieste dal Codice di diritto canonico.

Poiché per le verità di livello superiore si usano, nello stesso giuramento, espressioni quali "Credo con ferma fede" e "Fermamente accolgo e ritengo", è forse il caso di vedere fino a che punto è vincolante quell’ "Adesione della volontà e dell’intelletto" a cui si fa riferimento.

Per rispondere mi faccio aiutare da un importante ecclesiologo, il professore Francis Sullivan della Gregoriana che, nel suo libro "Capire e interpretare il magistero" sostiene che un teologo che, "dopo lunga ed accurata riflessione trova di non poter concordare con qualche spunto dell’insegnamento ufficiale" non per questo vien meno all’impegno che ha preso di aderire con religioso ossequio agli insegnamenti del magistero ordinario e, se sceglie il luogo giusto in cui farlo, può anche pubblicare le proprie conclusioni non presentandole comunque come indiscutibili (cfr. documento sulla Vocazione ecclesiale del Teologo).

"Il 22 Dicembre 1998 ho ricevuto dalla CDF, per mezzo del mio superiore generale, una professione di fede che mi si chiedeva di firmare e restituire entro due settimane. Fui informato dal mio Superiore Generale che, sebbene la CDF avesse trovato "vari elementi positivi" nella mia dichiarazione del 6 agosto 1998, rimaneva qualche ambiguità perché non veniva espressa con la necessaria chiarezza la mia "intima adesione ai vari aspetti dell'insegnamento della chiesa sull'omosessualità".

La Professione di Fede conteneva sei paragrafi della dottrina della Chiesa sull'omosessualità, ordinati in accordo con i tre livelli degli insegnamenti della chiesa messi in evidenza in nel documento "Ad Tuendam Fidem". Mi fu richiesto di firmare la Professione di Fede prima che la Congregazione procedesse alla determinazione definitiva delle misure disciplinari.

L'obiettivo di tutta la questione si era così spostato, gradualmente ma in modo metodico dalla determinazione dell'ortodossia delle mie presentazioni pubbliche sull'omosessualità, che era lo scopo affermato della Commissione Maida, all'esame attento dei miei intimi, personali, convincimenti.

Io credo che alla conclusione di questo decennale processo non sia stata rilevata nessuna evidenza stringente che potesse sostenere qualsiasi accusa di pubblico, persistente dissenso da qualsiasi insegnamento della chiesa sull'omosessualità che meritasse una punizione talmente dura.

Non avendo trovato alcuna seria obiezione alle mie presentazioni pubbliche, che non fosse stata chiarita e corretta nella mia risposta alla ‘Contestatio’, l’obiettivo era ora divenuto un tentativo, per mezzo di una Professione di Fede eccezionalmente costruita ad arte, di farmi confessare la mia adesione intima alla malvagità intrinseca degli atti omosessuali, una dottrina di secondo livello, considerata infallibile e definitiva da un atto non definitivo del Magistero ordinario ed universale.

Poiché stavo concludendo un periodo sabbatico di 6 mesi in Inghilterra e non potevo utilizzare importanti risorse o consultarmi con dei fidati consiglieri per formulare la mia risposta, il mio Superiore Generale informò la CDF che la mia risposta sarebbe pervenuta per la fine del Gennaio 1999.

Dopo settimane di intensa consultazione con teologi ed avvocati canonici, ho trasmesso alla CDF, attraverso il mio superiore generale, una "Risposta firmata alla professione di fede sottopostami dalla Congregazione per la dottrina della Fede", datata 25 gennaio 1999, la festa della Conversione di San Paolo.

In una lettera d'accompagnamento al segretario della CDF, arcivescovo Tarcisio Bertone, spiegavo le mie preoccupazioni riguardo al linguaggio teologico tecnico della Professione di Fede che mi si chiedeva di firmare e l'impatto che questo documento avrebbe avuto sulla vita pastorale della chiesa nei paesi di lingua inglese. Ho fatto diverse correzioni al testo originale, utilizzando la terminologia propria dei vescovi statunitensi nel loro insegnamento sulla moralità degli atti sessuali. Naturalmente i cambiamenti di linguaggio che io suggerivo preservavano l'integrale insegnamento della chiesa così come contenuto nella Professione di Fede originale. Le mie correzioni evitavano termini tecnici come ‘malvagio’ e ‘disordinato’ che sarebbero stati accolti da molti come pastoralmente inadeguati e causa di ulteriore dolore per gli omosessuali cattolici e le loro famiglie con cui io avevo svolto il mio ministero per 25 anni.

Nel mio testo alternativo mantenevo il rispetto delle intenzioni e dello scopo del testo originale mentre esprimevo sensibilità pastorale. Nel formularlo credevo di applicare l'insegnamento del Pontificio Consiglio per la famiglia che, nel documento del 1996, scriveva a proposito di verità e significato dell'omosessualità che le persone giovani dovrebbero essere aiutate a distinguere tra "colpa soggettiva e disordine oggettivo, evitando ciò che potrebbe far nascere delle ostilità".

Sebbene la Professione di Fede che mi veniva proposta non fosse in se stessa un documento pastorale, la possibilità di una sua pubblicazione e le serie implicazioni pastorali che ne sarebbero derivate provocavano in me delle grandi preoccupazioni personali. Pensavo, per esempio, che certi termini tecnici come ‘malvagità intrinseca’ non fossero essenziali per mantenere l'autenticità o l'integrità della dottrina della chiesa riguardo alla sessualità umana, al matrimonio ed agli atti omosessuali. Io proposi, perciò, per ragioni pastorali, l'uso dell'alternativo, ma comunque teologicamente adatto, ‘oggettivamente immorali’. Questa espressione, rinvenibile in alcuni documenti episcopali come "Vivere in Gesù Cristo" (1976), "Sessualità Umana"(1990) e "Sempre nostri figli" (1997) è pienamente consono con il magistero sull’omosessualità.

Il mio ministero di oltre 25 anni ha sempre incluso tentativi di: adottare un linguaggio teologico accurato ma equilibrato e pastoralmente adeguato nel parlare e nello scrivere di omosessualità; apprezzare ed utilizzare intuizioni attuali delle scienze umane sull'orientamento sessuale; e impersonare l'impegno espresso della chiesa di accogliere le persone omosessuali con "rispetto, compassione e sensibilità" (Catechismo della Chiesa Cattolica).

La mia Professione di Fede includeva inoltre due paragrafi aggiuntivi.

Il primo, riferito alle discussioni teologiche circa le difficoltà pratiche ed i precisi criteri coinvolti nel determinare se un particolare insegnamento sia stato, di fatto, impartito come infallibile da un atto non definitivo del magistero ordinario ed universale. Feci riferimento pure al canone 749.3 che stabilisce che nessun insegnamento può essere considerato infallibile a meno che non sia stato esplicitamente dichiarato tale. Io riconoscevo la natura autorevole e vincolante del magistero sulla omosessualità e promettevo di continuare a pregare, studiare e mantenermi in comunicazione con la sede apostolica su queste materie.

Osservavo inoltre che intendevo firmare il testo nello spirito del 1999 come anno di perdono e di riconciliazione in preparazione del nuovo millennio, e con l'intento di portare l'ormai decennale indagine sul mio ministero, ad una pubblica ed ufficiale chiusura.

Esprimevo poi la mia aspettativa di poter continuare, in accordo con gli insegnamenti sottoscritti alla mia risposta alla Professione di Fede, il mio ministero pastorale con gli omosessuali cattolici e con le loro famiglie. Il 1 luglio 1999 il mio Superiore Generale mi informò che la CDF aveva raggiunto una decisione finale. Mi fu chiesto di venire a Roma per incontrare la Congregazione e conoscerne la decisione. Il 9 Luglio mi fu data una spiegazione scritta del perché la CDF aveva respinto la mia Professione di Fede come inadeguata. Le mie correzioni, si diceva, "oscuravano il significato del testo" in cui, "anche per motivi pastorali", certe espressioni non potevano essere rimpiazzate da una terminologia molto chiara.

Esprimendo le mie preoccupazioni circa la difficoltà del processo, di determinare l'insegnamento infallibile della Chiesa sull'omosessualità, per mezzo di un atto non definitivo del magistero ordinario ed universale, mi si diceva che ‘mettevo in questione’ lo stato definitivo di tali dottrine e sottintendevo che lo stato di tali dottrine è ‘aperto al dibattito’. Sebbene la dottrina sulla ‘malvagità intrinseca’ degli atti omosessuali appartenga al secondo livello di dottrine infallibili e definitive, l'insegnamento sul ‘disordine oggettivo’ dell'orientamento omosessuale fa riferimento al terzo livello, non infallibile, dell'insegnamento, che richiede la religiosa obbedienza che già io detti nella mia dichiarazione del 6 agosto 1998.

Il 14 luglio 1999 una notifica ufficiale della decisione della CDF fu pubblicata sull'Osservatore Romano, con l'affermazione che mi era proibito in via permanente qualsiasi ministero pastorale con le persone omosessuali.

Come figlio della Chiesa, presbitero e membro di una Congregazione Religiosa con voto di obbedienza ho accettato la decisione della CDF ed ho espresso la mia intenzione di darvi attuazione, secondo quanto stabilito. Sono grato ai mie Superiori Religiosi ed ai miei confratelli della Società del Divino Salvatore per le loro preghiere, per il supporto personale, per la guida e per il coraggio con cui mi hanno accompagnato. Sono stato benedetto dall'amicizia di così tanti gay e di così tante lesbiche cattolici e dei loro genitori e delle loro famiglie che hanno seguito ed aiutato il mio ministero sia prima sia durante questo lungo e doloroso processo.

Continuo a pregare, sperare e credere che, alla fine, la mia decisione (questa sentenza) sarà per il maggior bene della chiesa e delle persone con le quali ho avuto il privilegio di compiere il mio ministero con tanta gioia per cosi tanti anni."

 

 




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