Don Domenico Pezzini contro Ratzinger

-Una presa di posizione sulla notificazione contro Padre Nugent e Suor Gramick

 

Tra i tanti acquazzoni dell’estate ’99 è arrivata dal Vaticano una doccia fredda sull’attività pastorale di un prete, Robert Nugent, e di una suora, Jeannine Gramick, che sono impegnati da più di vent’anni in un’attività di accompagnamento pastorale rivolta alle persone omosessuali. L’iniziativa, chiamata New Ways Ministry, è nata a Washington nel 1977 con lo scopo di promuovere “giustizia e riconciliazione fra lesbiche e omosessuali cattolici e la più vasta comunità cattolica”. I due hanno nel frattempo pubblicato due volumi, intitolati Building Bridges (Costruire ponti), 1992, e Voices of Hope (Voci di speranza), 1995. Le parole non sono mai senza significato. Nugent e Gramick hanno pensato che per costruire ponti tra gli omosessuali cattolici e la loro comunità, e per tener viva la speranza di una riconciliazione, bisognasse inventare nuove forme di ministero. La Congregazione per la Dottrina della Fede (CDF) ha pubblicato sull’Osservatore Romano in data 14 luglio 1999 una Notificazione in cui dichiara che questo “nuovo” approccio alla condizione omosessuale è errato, che le posizioni dei due hanno suscitato “numerose lamentele” nei vescovi statunitensi, e creato una “dannosa confusione” nel mondo cattolico e “danneggiato la comunità della Chiesa”. Conclusione: a Sr. Gramick e a P. Nugent “è permanentemente vietata ogni attività pastorale in favore delle persone omosessuali ed essi non sono eleggibili, per un periodo indeterminato, ad alcun ufficio nei loro rispettivi ordini religiosi”.

Davanti a questi interventi la prima reazione è quella di sorvolare. Simili documenti assomigliano molto alle gride di manzoniana memoria, il cui moltiplicarsi era direttamente proporzionale alla loro pratica inefficacia. D’altra parte, poiché la posizione di Nugent e Gramick non è solo loro, e siccome, a differenza di quello che sembra pensare la CDF, crediamo che si debba tenere aperto un margine di discussione, sembra utile riprendere alcuni punti della Notificazione, che risultano cruciali.

Il testo, pubblicato con grande evidenza dall’Osservatore Romano (un’intera pagina, con testo in inglese e in italiano), spende molte parole per descrivere la procedura seguita a Roma e negli Stati Uniti per convincere i due dei loro errori e ottenerne la ritrattazione. L’implicito sembra essere quello di mostrare che in questo processo i tentativi fatti dalle autorità hanno seguito le regole della correttezza e della pazienza: ad essere in colpa sono dunque i due, e la punizione stabilita alla fine ne è la logica conclusione. Ma non si può fare a meno di notare che la proporzione tra i contendenti è quella tra l’elefante e la formica, e che sull’Osservatore Romano non c’è posto per quanto i due possono eventualmente dire a loro difesa.

Se poi si entra nel merito della questione, i punti chiave su cui si articola la Notificazione sono sostanzialmente due, e cioè: l’attività pastorale di Nugent e Gramick non ha rispettato “l’insegnamento della Chiesa circa l’omosessualità”, e questo ha causato confusione nei fedeli e arrecato danno alla comunità cattolica.

Parto dal secondo punto per fare una rapida annotazione: c’è qualcuno a Roma che quando considera la comunità cattolica non guarda solo un settore, ma allarga l’attenzione a tutto il campo, dove pare non siano pochi quelli che sono invece offesi e confusi dall’attuale “insegnamento della Chiesa”, almeno come è riproposto nei documenti vaticani, insegnamento che li fa sentire di fatto come “persone non gradite” nella comunità a cui sentono comunque di appartenere? È lecito chiederselo. Temo che questa visione unilaterale delle cose sia ingenerata dal sentirsi sempre e comunque dalla parte giusta esattamente perché si sta in una Congregazione che controlla errori e deviazioni, degli altri, naturalmente. In questa logica, gli unici lamenti che hanno valore e che vengono ascoltati sono quelli di chi è d’accordo con le tesi della CDF, e invece di cercare di costruire ponti tra gli uni e gli altri si preferisce schiacciare e azzerare gli sforzi di chi lavora per mantenere aperto il confronto. Non vorrei apparire impertinente, ma se devo essere sincero confesso che davanti a interventi così pesanti provo un senso di compassione non tanto per chi è colpito, ma piuttosto per chi colpisce. E questo perché non posso fare a meno di chiedermi, ogni volta: ma da dove traggono tutta la loro sicurezza?

Quanto agli errori e ambiguità dei due, evocati più volte in modo generico, ci si rende conto che in realtà di tratta di un solo punto, al quale viene applicata l’etichetta di “insegnamento della Chiesa”, o “dottrina cattolica sull’omosessualità”, e cioè “la malizia intrinseca degli atti omosessuali e il disordine oggettivo dell’inclinazione omosessuale”, dottrina che viene qualificata come “definitiva e immutabile”.

Non è mia intenzione ritornare ancora una volta sulla formulazione infelice di questa frase, e sull’effetto negativo che produce impedendo sul nascere ogni attività pastorale, o confinandone le possibilità in spazi troppo angusti. Così come ho già detto in altre occasioni che la dottrina cattolica sull’omosessualità non è cosi monolitica e immutabile come si pretende. In realtà, se in questi ultimi due decenni sono nati gruppi di omosessuali credenti in quasi tutte le chiese è esattamente perché ci si è resi conto che l’insegnamento ricevuto, e la pastorale relativa non funzionavano. Mi rendo conto sempre più che l’insistenza cocciuta su questa “malizia intrinseca”, appoggiata al solito grappolino di cinque citazioni bibliche, finisce per ritorcersi contro la stessa Congregazione, in quanto annulla di fatto tutto lo sforzo che anche gli stessi documenti vaticani e i catechismi hanno fatto per mostrare quanto la “dottrina cattolica” sull’omosessualità cerchi di essere aperta, positiva, accogliente. L’effetto pratico di questa formulazione, che chiunque abbia parlato anche una sola volta con un solo omosessuale è in grado di verificare, è che per la Chiesa cattolica le relazioni omosessuali sono semplicemente, comunque e inguaribilmente peccaminose. D’altra parte, che tipo di pastorale si può immaginare se nella persona cui tale attività di accompagnamento si rivolge non si riscontra niente di positivo su cui lavorare? E non si esce certo dal problema dicendo che nella “persona” in quanto tale ci possono essere tante cose positive, ma nella sua “omosessualità” no, dato che la “persona omosessuale” non è separabile dalla sua omosessualità, proprio perché, come riconoscono anche gli stessi documenti vaticani, la sessualità “deve essere considerata come uno dei fattori che danno alla vita di ciascuno i tratti principali che la distinguono” (Cfr. Dichiarazione su alcune questioni di etica sessuale, 1975, n. 1).

C’è un ultimo problema in questa storia, ed è là dove si dichiara che la dottrina della Chiesa sull’omosessualità, che nel testo si riduce di fatto ad affermarne la malizia intrinseca e il disordine oggettivo, è “definitiva e immutabile”, e dunque si esige che a tale dottrina venga dato un “assenso interiore”. Il Padre Nugent ha detto che non gli si può chiedere l’assenso interiore a un insegnamento morale ufficiale che non è un fondamentale articolo di fede. Mi domando se sia ancora lecito esprimere qualche dubbio su tali qualifiche riferite in fin dei conti a una “formula”. E più ancora amerei che su tale formula si facesse una puntuale verifica storica. Per quello che ho visto lavorando su manuali penitenziali del medioevo, e anche analizzando documenti recenti, non sarei così sicuro su tale “immutabilità” riferita alla dottrina in materia nel suo complesso, a meno che essa non valga da qui in avanti. E poi, con tutto quello che si è detto e si dice sull’intrinseca povertà del linguaggio in ordine a esprimere ciò che conosciamo, non si rischia forse di mitizzare delle parole? Con quello che dovrebbe insegnare la storia della Chiesa, dove vere e proprie guerre di “parole” hanno provocato ferite e lacerazioni che hanno richiesto secoli per essere guarite!

Questa Notificazione è un documento triste: perché vuole spegnere un’attività mirata a dare speranza, perché appiattisce la dottrina della Chiesa su una frase, dando un’idea paurosamente riduttiva della stessa dottrina ed un’immagine insopportabilmente angusta della stessa Chiesa, perché termina con una punizione che sa più di cattiveria gratuita (che senso ha proibire l’assunzione di cariche all’interno delle congregazioni religiose a cui i due appartengono?) che di correzione fraterna, perché lascia il sospetto di un intervento più “politico” che ecclesiale, in quanto colpisce duro negli Stati Uniti mentre lascia in pace tanti altri, pastori e teologi, che altrove dicono e scrivono quelle stesse cose che sono costate un prezzo così caro a Nugent e Gramick. E la tristezza si allarga se si pensa con quale faccia questa Chiesa che distrugge ponti, spegne la speranza, ha paura del nuovo, possa celebrare un giubileo di gioia e di riconciliazione, aprire “porte sante” e nello stesso tempo chiudere, sbattendole in modo sgradevole, le molto più importanti porte di casa.

Lo so che la tristezza non è una categoria dottrinale, ma so anche che la Chiesa non è solo né primariamente una “dottrina”, ma una “comunità di vita”, e che nel far funzionare o nel far fallire i rapporti tra le persone che vivono insieme nella stessa comunità la tristezza ha un peso rilevante.

Tra le numerose reazioni suscitate dalla Notificazione, soprattutto, come era da aspettarsi, nel mondo anglosassone, vorrei riportare quella che mi sembra la più significativa perché dice in modo semplice molte cose e per il tono che la pervade. È una lettera di un prete, Padre Peter Cornwell, apparsa sul periodico cattolico inglese The Tablet del 14.8.99. (NB: le espressioni virgolettate si riferiscono al testo della Notificazione vaticana):

“A caldo, a ridosso del caso Nugent-Gramick, stanno arrivando notizie che riferiscono di un predicatore itinerante del Medio Oriente a cui è stato “permanentemente vietato ogni lavoro pastorale in favore di” esattori delle tasse e prostitute. È stato giudicato colpevole di non aver espresso con sufficiente chiarezza una adesione interiore ai vari aspetti dell’insegnamento della Chiesa sulla raccolta delle tasse e la prostituzione.

Secondo la Congregazione per la Dottrina della Fede egli “ha causato confusione nella comunità cattolica” per aver detto ai membri della gerarchia che le prostitute sono destinate a entrare nel Regno di Dio prima di loro. All’udire il giudizio della CDF il predicatore, che desidera rimanere anonimo, ha detto semplicemente: “Voi caricate gli uomini di pesi insopportabili, e quei pesi voi non li toccate nemmeno con un dito!” (Lc 11,46)”.

Una sola piccola chiosa, a modo di lezione che derivo proprio da questa reazione: resta vero che l’ultima difesa contro la tristezza rimane pur sempre un sano umorismo.

Domenico Pezzini

 

(Lettera inviata a "Il Regno " settembre '99)




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