Il senso della solidarietà intergenerazionale nel peccato e la
richiesta di perdono

Un articolo di Giuseppe Barbaglio



Ho seguito più sui giornali che sulle riviste teologiche la discussione
circa il senso e la portata della dichiarazione del papa che ha chiesto
perdono delle colpe passate della chiesa, facendo più caso alle voci dei
laici che a quelle 'interne'. Una colpa, questa mia, di cui chiedere
perdono tra anni? Senza celia, le difficoltà, i dubbi, le contestazioni con
cui sono venuto a contatto mi hanno fatto pensare e riflettere. Gli
ostacoli a capire il gesto del papa vengono tutti dalla sensibilità moderna
che collega strettamente e inscindibilmente individuo e colpa e, a ragione,
collega questa con la responsabilità morale della persona. Come dunque
chiedere perdono per le colpe altrui, di persone lontane nel tempo? Una
diffusa corrente di pensiero morale moderno potrebbe essere sintetizzata in
questa costellazione ideale: soggetto, colpa, responsabilità individuale.
Per cui, se si vuole chiedere perdono, lo si deve fare delle colpe proprie,
non degli altri, e delle colpe presenti, non di quelle di un lontano
passato. E credo che in tale prospettiva chiedere perdono delle infedeltà
passate non abbia alcun senso accettabile.
Ma il problema è proprio qui: non restare schiavi di questo orizzonte
di pensiero. In realtà, sono appunto quei tre cardini a dover essere
scardinati, contrapponendovi la seguente triade: popolo, peccato,
continuità storica. E se non sbaglio, è la prospettiva in cui si muove la
bibbia.
Certo, non è il caso qui di passare in rassegna per intero la
documentazione scritturistica. Né mi sembra di grande utilità la
distinzione che la Commissione teologica internazionale fa, non senza
separarle, tra confessione dei propri peccati da parte dei singoli,
confessione collettiva per le proprie colpe, confessione collettiva per le
colpe delle generazioni passate.
Da parte mia, vorrei concentrare l'attenzione su alcune pagine di Ezechiele
e sulle confessioni della comunità postesilica guidata da Esdra attestate
in Esdra 9-10 e in Neemia 9.
La scelta non è casuale: tutti sappiamo che nei tempi più antichi il
popolo d'Israele condivideva la concezione di una responsabilità collettiva
nel male e nella colpa, accentuando la solidarietà di gruppo, clan, tribù e
popolo a scapito della soggettività e responsabilità dell'individuo. Ma al
tempo dell'esilio babilonese era già presente in forza, per merito di voci
profetiche incisive, come quelle per es. di Geremia e appunto di Ezechiele,
la coscienza della responsabilità individuale. A quest'ultimo si deve
addirittura un'elaborata esposizione in forma casistica della nuova
concezione, che spezza il legame di solidarietà morale tra padre e figlio e
all'interno stesso della vita dell'individuo, per cui il suo passato, in
bene e in male, non pregiudica il presente (cap. 18). E il profeta conclude
enunciando il principio generale che Dio, giusto giudice, giudicherà ognuno
secondo la sua condotta (18,30).
Ciò chiarito, le pagine assai significative di Ezechiele e di Esd 9-10 e
Ne sulla continuità storica tra passato e presente del popolo nel peccato
non potranno essere addebitate a un'arcaica concezione della responsabilità
morale. E lo stesso si dica dell'altro testo biblico indicato.

1. L'allegoria di Ezechiele

In due grandi affreschi allegorici nei capp. 16 e 23 Ezechiele narra in
modo interpretativo la storia del popolo, la prima con protagonista
Gerusalemme e la seconda ancora Gerusalemme ma con affiancata Samaria, le
due capitali che per sineddoche indicano di fatto i regni di Giuda e del
nord, ambedue tragicamente distrutti dalle fondamenta sia pure in tempi
diversi. Per amore di brevità mi soffermo sulla prima allegoria: il profeta
visualizza la storia di una cenerentola scelta per grazia e amata
gratuitamente da Dio, fatta sua sposa ma traditrice del legame sponsale:
infedele fin dai primi passi della sua avventura come città originariamente
cananea fino all'oggi del profeta che, con tutta probabilità deportato in
Babilonia nel 597, e chiamato pochi anni dopo a fare il profeta, individua
nella prossima tragedia del 586 che egli vede avvicinarsi a grandi passi,
il tragico epilogo della storia della città e, più in generale, del regno
di Giuda. Una storia ininterrotta di tradimenti e conclusa con il giusto e
tremendo castigo divino che ha posto la parola fine – così espressamente
Ezechiele – alla storia del patto.
L'allegoria è tutta costruita sull'io di Jhwh e il tu di Gerusalemme,
che fanno da fattori unificanti della vicenda secolare: Dio che sceglie e
sposa la città, dimostrandole fedeltà inconcussa, nonostante tutto, e
Gerusalemme che continua a tradirlo. Ecco il motivo ritornello che ci
interessa: "Tu, però, ti sei prostituita"; "Non ancora sazia, … hai
moltiplicato le tue infedeltà nel paese di Canaan … e neppure allora ti sei
saziata". "Perciò, o prostituta, ... ti infliggerò la condanna delle
adultere e delle sanguinarie". Sotto forma allegorica in primo piano appare
l'unità delle generazioni israelitiche nell'infedeltà, meritevole di una
tragica conclusione.
Il brano mi sembra una lezione chiara per noi intenti a cogliere il
significato genuino della richiesta di perdono. Il primo passo consiste nel
toccare con mano che qui non c'è una generazione attuale priva di peccato
investita del peso dell'infedeltà costante di quelle passate. Per liberarsi
dal senso di colpa per la tragedia di Gerusalemme del 597 e soprattutto di
quella spaventosa del 586, gli esuli andavano consolandosi con il proverbio
tradizionale che i padri hanno mangiato l'uva acerba e i figli si trovano
ad avere la bocca allegata (18,2). Un proverbio respinto da Dio per voce
del profeta (18,3ss). La solidarietà che vincola le generazioni
israelitiche è nel comune peccato d'infedeltà; anzi la generazione esiliata
non ha saputo imparare la lezione della storia in cui Dio aveva tentato con
tutti i mezzi – castighi pedagogici, presenza di profeti, l'esempio del
regno di Samaria - di riportare il popolo sui sentieri della fedeltà.
Se non si vuol finire in una colossale operazione di ipocrisia, per un
verso, e di autodifesa, per l'altro, la richiesta di perdono per il peccato
– il peccato come orizzonte generale, non le singole colpe – della chiesa
nel passato non può rompere il consistente legame di solidarietà nel
peccato che vincola la chiesa di oggi con quella di ieri e avanti ieri. E'
una chiesa peccatrice che si denuncia davanti al suo Signore nel suo
presente d'infedeltà, erede delle infedeltà del passato mai riconosciute,
anzi sbandierate allora come difesa del vangelo e della fede cristiana. Il
riconoscimento sincero investe ugualmente presente e passato. Il richiamo
alle passate infedeltà è farsi carico di una storia di tradimento,
incarnato in mille forme, che dall'inizio giunge fino ad oggi. Non una
chiesa pretestuosamente pura chiede perdono a Cristo e a Dio del passato,
ma una chiesa in ginocchio e penitente che lega il suo presente al suo
passato: storia unitaria di peccato, dunque riconoscimento penitenziale
unitario. Il nuovo che la chiesa oggi introduce è vestire l'abito penitente
non solo per sé, ma anche per quelle generazioni cristiane passate che
penitenti non sono state per l'infedeltà vissuta.
A scanso di equivoci, vorrei insistere nel sottolineare che
l'infedeltà della chiesa presente non si colloca soltanto accanto a quella
della chiesa passata, ma in qualche modo anche ne dipende. E dico questo
non per chissà quali vincoli mistici che uniscono noi ai nostri fratelli
del passato, ma per una semplice legge di vita e di storia per cui il
passato influisce sul presente. L'eredità non è solo un fenomeno
fisiologico ma anche di costume, di sensibilità morale, di valori e
credenze trasmessi, e le rivoluzioni nel corso dei secoli sono poche e
anch'esse non riescono a creare rotture totali e discontinuità assolute.

2. La confessione dei rimpatriati (Esd 9-10; Ne 9)

Se il suddetto testo di Ezechiele evidenzia l'unità di una storia
secolare di peccato e d'infedeltà in seno al popolo d'Israele, questo è
incentrato sulla richiesta di perdono, che però fa parimenti riferimento a
una storia di peccato. Esdra si fa portavoce della comunità riunita: "Dai
giorni dei nostri padri fino ad oggi noi siamo stati molto colpevoli e per
le nostre colpe, noi, i nostri re e i nostri sacerdoti, siano stati dati
nelle mani dei re stranieri… Ora, da poco, il nostro Dio ci ha fatto
grazia" (9,7-8). Quindi è tutta la comunità che prende la parola: "Noi
siamo stati infedeli verso il nostro Dio" (10, 2).
Parallelo è Ne 9 che racconta la liturgia penitenziale della comunità
giudaica postesilica nei momenti salienti di digiuno, presentazione nel
tempio, confessione. Notiamo qui una caratteristica formula binaria:
confessano "i loro peccati e le iniquità dei loro padri" (v. 2). Segue la
lettura pubblica della Torah, equivalente alla nostra costituzione, che i
presenti s'impegnano a seguire (v. 3). Quindi, di nuovo, abbiamo la
confessione dei peccati unita alla confessione di fede dei magnalia dei
compiuti lungo la storia d'Israele: creazione del mondo, elezione di
Abramo, liberazione della gente di Mosè, passaggio del mare, guida nel
deserto, dono della terra, ecc. L'infedeltà del popolo si evidenzia a
confronto con l'azione di grazia di Dio. E in chiusura abbiamo il
riconoscimento della fedeltà di Dio e dell'infedeltà del popolo: "tu hai
agito fedelmente, mentre noi ci siamo comportati con empietà" (9, 33).

E' chiaro: la comunità postesilica non si presenta vittima innocente
dell'infedeltà delle generazioni passate, si colloca perfettamente in linea
con esse nel peccato, e confessando davanti a Dio la propria infedeltà si
presenta unita a quella dei padri. Ed è questo riconoscimento penitenziale
che le vale la ripresa di un positivo rapporto di comunione con il suo
Signore.
I due passi suddetti però sono originali nell'unire confessione
dell'infedeltà, propria e dei padri, richiesta di perdono e impegno
all'obbedienza verso la Legge, ascoltata pubblicamente. Per dire che il
gesto del papa ha una sua intrinseca carica non solo nel fare i conti con
il presente e il passato, ma anche con il futuro, un futuro nuovo, di
fedeltà.
In conclusione, due telegrafiche precisazioni, La prima, il gesto del
papa non può risuonare isolato e solitario, ma farsi voce nel coro delle
voci della comunità cristiana. La seconda, il gesto non può restare una
meteora luminosa che solca il cielo cristiano di un giorno, ma diventare
espressione di quotidiana richiesta di perdono per la storia d'infedeltà
della chiesa

 

( da "Rivista di teologia morale", maggio 2000 )

 




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