In Cina c'è una sola Chiesa cattolica

 

Reportage di Vittorio Bellavite su "Confronti" di gennaio 2001

 

 

 

In questi ultimi mesi la Cina è ritornata all’attenzione dell’opinione pubblica, soprattutto di quella cattolica. Tra le tante manifestazioni in ambito Onu per l’inizio del nuovo millennio, a New York c’è stato a fine agosto un summit dei rappresentanti delle religioni di tutto il mondo. Il Dalai Lama non è stato invitato perché la delegazione cinese, nominata dal governo, si era opposta in tutti i modi sostenendo che il leader religioso tibetano "fomentava disordini". A capo della delegazione cinese vi era il vescovo patriottico di Pechino, Michele Fu Tieshan che, denunciando il Dalai Lama, si meritava il titolo di apertura del China daily, il quotidiano in lingua inglese pubblicato a Pechino e naturalmente filogovernativo.

La situazione dei rapporti Cina-Vaticano, già aggravatasi con la consacrazione, nel gennaio 2000, di cinque vescovi senza il consenso del papa, è diventata incandescente con la beatificazione di 120 martiri cinesi, il primo ottobre. festa della Repubblica popolare. Pechino ha reagito duramente a questa scelta di papa Wojtyla, addirittura accusando alcuni dei nuovi beati di "crimini" (così p. Alberico Crescitelli, del Pime – Pontificio istituto Missioni estere – che nel luglio del 1900 subì il martirio ad opera dei Boxers, è stato accusato di plagio e di stupro).

Contraddizioni a Roma

Pochi giorni prima di questa beatificazione, il card. Roger Etchegaray, presidente del Comitato centrale del Giubileo, andava a Pechino per partecipare a un simposio su "Religioni e pace"; vi veniva molto ben accolto dalla Chiesa patriottica, i cui uomini hanno "accompagnato" il porporato durante tutto il suo viaggio. Al suo ritorno, il 25 settembre il prelato rilasciava una sorprendente intervista alla Radio Vaticana, molto lontana dal clima di guerra fredda scatenato dalle beatificazioni. Sul rapporto tra Chiesa patriottica e Chiesa clandestina così infatti egli si esprimeva:"Si è ancora nella stagione evangelica in cui non si può separare il grano dal loglio. Tanto più che si tratta in fondo di una sola Chiesa in cui una fede comune cerca, a poco a poco, di superare ciò che fino a questo momento separa sfortunatamente ‘clandestini’ ed ‘ufficiali’. Il tempo rende le loro frontiere sempre più porose, almeno in certe regioni in questo immenso paese dove tutto è mobile". E, a proposito della "assistenza" ricevuta dalla Chiesa patriottica, il porporato rilevava:"Prima di partire, avevo detto chiaramente che nessuno dei miei passi avrebbe potuto essere interpretato come un’approvazione delle strutture della Chiesa ufficiale [patriottica]. Sono le persone che m’interessano prima di tutto, ma non potevo raggiungerle se non attraverso un’Associazione legata al governo e onnipresente".

A molti la contraddizione tra la linea di Etchegaray e quella che trapela dalla decisione delle beatificazioni e dalle dichiarazioni della Sala-stampa della Santa Sede appare come una conseguenza dello stato di confusione e di conflittualità interna, tipica di questo periodo di fine-pontificato, ai vertice della Chiesa cattolica.

Immobilità e cambiamenti tra il ’94 ed il 2000

Mi sono trovato, abbastanza casualmente, a confrontarmi direttamente con alcune situazioni della Chiesa cattolica in Cina, e credo sia interessante una testimonianza diretta. Nel ’94 avevo fatto un lungo viaggio motivato dal desiderio di conoscere, se mai possibile, i luoghi e le opere della missione dove era vissuto (e morto nel 1934) il mio prozio p. Isaia Bellavite, missionario del Pime di Milano, partito per la Cina nel 1897 e mai più tornato in Italia. In quel viaggio, visitata questa missione, avevo continuato nel tentativo di capire di più e, in un mese di turismo un po’ fuori dei giri delle grandi agenzie, avevo conosciuto altre situazioni in varie città (Kaifeng, Chongqoing, Nanchino, Suzhou, Shanghai, Canton, Pechino). Di questo viaggio ho già scritto su Confronti (11/94).. L’agosto scorso sono ritornato in Cina, insieme ad alcuni familiari, ed ho conosciuto altre situazioni ecclesiali come quelle di Kumming nel Sud, X'ian ed ancora Pechino, in chiese diverse da quelle del ‘94. Ovviamente ho rivisitato la diocesi di Anyang nella pianura dell’Henan, a sud di Pechino, dove aveva svolto la sua attività il mio prozio.

Le impressioni – paragonando il secondo con il mio primo viaggio – mi portano a constatare una certa continuità in questi anni nelle linee di tendenza del grande paese asiatico (e il più popolato del mondo: 1,2 miliardi di abitanti!), sia per quanto riguarda lo sviluppo, sia per quanto riguarda la situazione delle Chiese (oltre la cattolica, clandestina e patriottica, vi sono anche Chiese protestanti, con molti problemi anche queste. Ma qui mi occupo solo della Chiesa cattolica cui sono riuscito ad avere contatti perché è quella con). Nel ‘94 tutti aspettavano di capire con una certa ansia cosa sarebbe successo alla morte di Deng Xiaoping. Mentre però la situazione era radicalmente cambiata nel ’76, alla morte di Mao, alla scomparsa di Deng, nel ’97, non è invece successo nulla. Ciò mi induce a pensare che ci sia una certa stabilità politica nell'ambito di un sistema dittatoriale che ormai sembra avere superato l’isolamento del dopo Tien An Men (la grande piazza di Pechino ove nel giugno ’89 la rivolta degli studenti fu soffocata nel sangue). Nel marzo del ‘99 la Costituzione è stata modificata, inserendo tra i princìpi ispiratori della Repubblica popolare la "Deng Xiaoping Teoria" che si è così aggiunta al "Mao Zedong Pensiero".

Con i segni della continuità ho trovato, però, anche quelli del cambiamento. Lo sviluppo delle grandi città, la modernizzazione, il nuovo ruolo del "privato" continuano in modo accelerato e sono visibili in modo evidente – non solo nelle grandi città – i modelli di consumo di tipo occidentale. I programmi più aggiornati di software tradotti dall’inglese si trovano in librerie che non sono più la modesta cosa che avevo visto precedentemente; i telefonini sono frequenti; le ragazze hanno un abbigliamento ormai del tutto simile a quello delle nostre città; il traffico privato è sempre modesto ma il caos sulle strade sta aumentando rapidamente, seppure le biciclette sono sempre un mezzo di trasporto diffusissimo; la televisione, quando non fa trasmissioni di propaganda, ha film e programmi di varietà che mi sono sembrati simili ai nostri; nelle strade ci sono spesso grandi scritte, ma sono pubblicità di prodotti e non più slogans politici; i bambini che si vedono per le strade sono sempre pochi a causa della politica del figlio unico che crea drammi in tante famiglie; si inizia a trovare qualcuno che parla qualche parola di inglese; a Pechino c’è una nuova linea del metrò, a Shangai c’è un metrò nuovo, Puddong (un grande quartiere di grattacieli come ad Hong Kong), ed un nuovo aeroporto; i canoni di locazione ed i valori immobiliari nel centro delle città hanno valori proibitivi mentre il rapporto di cambio (uno yuan vale 280 lire) è sempre molto favorevole agli occidentali e quindi la vita ci appare molto a buon mercato – contrariamente a quanto succede in Giappone.

La storia della Chiesa in Cina

Il tentativo di comprensione della situazione della Chiesa cattolica in Cina non solo deve avere presente queste dinamiche dello sviluppo della società cinese ma anche cercare di conoscere almeno qualcosa della sua storia. A X'ian abbiamo visto una stele alta cinque metri con cui si ricorda la diffusa presenza, nel secolo settimo ed ottavo del cristianesimo nestoriano (i nestoriani, separatisi nel 451 e dai bizantini e dai latini, ebbero un grande sviluppo missionario dalla Mesopotamia all’Asia centrale e alla Cina, poi distrutto dall’avanzata dell’Islam); in seguito missionari cattolici nel 1300 e poi nel ‘600 il gesuita Matteo Ricci (le cui intuizioni che portarono all’accettazione dei "riti cinesi" furono stroncate da Roma) hanno preceduto un’evangelizzazione che si è sviluppata soprattutto nell’Ottocento e agli inizi del Novecento, ad opera di congregazioni religiose che, in qualche modo, si intrecciavano con la presenza coloniale dell’Occidente, con tutti gli aspetti negativi che ciò ha comportato.

All’alba del ‘900 ci fu la rivoluzione dei "Boxers" (nazionalisti) contro gli stranieri, i missionari in primis. Ci fu quindi un periodo di rapido sviluppo della Chiesa nei primi anni del secolo che dovette poi fare i conti con i successivi drammi della storia della Cina: la caduta dell’impero, la guerra civile tra nazionalisti e comunisti, l’invasione dei giapponesi, il regime comunista. I missionari stranieri furono tutti espulsi nel ‘51. La situazione già difficile nei primi anni della Repubblica popolare precipitò con la Rivoluzione culturale iniziata nel ‘66 e continuata, anche se poi in forme attenuate, fino alla morte di Mao.

La devastante rivoluzione culturale, la resurrezione

Ogni valutazione della situazione della Chiesa cattolica in Cina deve avere ben presente quanto successe durante la Rivoluzione culturale. Ho avuto molte testimonianze dirette tutte concordanti: qualsiasi attività religiosa collettiva fu impedita; tutte le chiese e cappelle sequestrate ed adibite alle più diverse attività (magazzini, fabbriche; i preti e i vescovi in campi di lavoro spesso in regioni distanti ed in attività molto pesanti; le suore costrette a ritornare in famiglia; devastato quanto poteva essere distrutto e non serviva ad altro (come i cimiteri e le lapidi). Questa distruzione di tutto ha coinvolto, anche se con diversa gravità, tutte le Chiese cristiane e tutte le religioni. Ciò ha impedito la continuità tra le generazioni.

Ora i vescovi e i preti sono molto vecchi, dai settant’anni in su, oppure molto giovani. Lo stesso si può dire per le suore. Tutte le trasformazioni portate nella Chiesa cattolica dal Vaticano II non sono arrivate in ritardo in Cina, le forme della liturgia e l’iconografia nelle chiese sono preconciliari. Nella cattedrale "patriottica" di Pechino ho assistito nel '94 ad un’affollata messa recitata in latino con il celebrante che voltava le spalle ai fedeli( ora però il cinese è usato comunemente nella liturgia). Del resto, anche le costruzioni dei missionari dovunque sono espressione diretta dell’architettura europea mescolando lo stile gotico o quello romanico. Anche ora quello che si sta costruendo ripete le forme del periodo dei missionari, quando il cristianesimo veniva conosciuto come la religione dell'Occidente. Fa una certa impressione vedere chiese che si potrebbero trovare in Brianza o in Veneto o dovunque in Italia.

Per la Cina il periodo della Rivoluzione culturale è stato un periodo oscuro in tutti i sensi (quella parte della sinistra europea che l’osannava o non conobbe niente o non capì niente di quello che succedeva effettivamente). Senza avere la consapevolezza di quel periodo non si riesce a capire la situazione di oggi, che vorrei riassumere così: la Chiesa è risorta. Dopo l’Ottanta, certo in modo lento, contraddittorio e diverso da regione a regione, la vita collettiva della Chiesa (di tutte le Chiese, anche se qui ci occupiamo di quella cattolica) è ripresa. Gli edifici ecclesiastici sono stati in buona parte – con lentezza, certo – restituiti; i seminari hanno ripreso a funzionare; le vocazioni al sacerdozio o alla vita religiosa, a quanto ho capito, sono riprese con un trend simile a quello di molti paesi del cosiddetto terzo mondo; la Bibbia (impossibile trovarla nelle librerie) viene stampata e diffusa per canali interni; aiuti economici consistenti per nuove strutture (tipografie, edifici) arrivano in qualche modo dall’estero – dalle fondazioni e dagli ordini religiosi – anche se la Chiesa è complessivamente povera ed i cristiani sono prevalentemente presenti nelle campagne ed esterni ai grandi fenomeni di sviluppo di questi anni.

Quello che meraviglia è la tenuta dei cristiani (cattolici e non) che sono stati dispersi per un lungo periodo e che hanno ripreso la loro vita comunitaria senza defezioni di massa; probabilmente le Chiese godono anche di una certa ripresa dell’interesse verso la dimensione religiosa dell’esistenza che si è verificata in molti paesi del socialismo reale dopo anni di "predicazione" materialista. Ogni giudizio quindi deve essere capace di confrontarsi soprattutto con la situazione del decennio '66-'76.

Cattolici, tra "patriottici" e "clandestini"

La concessione di una certa libertà negli ultimi anni si è accompagnata con il rilancio dell’Associazione cattolica patriottica (Acp) costituita nel '57 con lo scopo dichiarato di estromettere dalla Cina un potere ad essa esterna come quello del Vaticano. La Chiesa cattolica, nel suo insieme, è ora divisa e in proporzioni difficili da sapere (alcuni parlano di cinque milioni di fedeli per parte, ma è arduo verificare): da una parte i "patriottici", dall’altra i "clandestini". I motivi delle divisione sono legati solo al rapporto col Vaticano, ma non ad altre questioni teologiche . Del resto, la teologia dei seminari "patriottici" è stata riconosciuta ortodossa dal Vaticano e in essi vengono invitati a tenere conferenze esponenti esterni al cattolicesimo cinese.

Ad aggravare la situazione c’è il problema di Taiwan: il Vaticano non ha formalmente interrotto i rapporti con l’isola, come Pechino reclama per normalizzare i rapporti con Roma. La pretesa di Pechino ha anche una sua logica se si tiene presente che la Repubblica della Cina nazionale (Taiwan) è esclusa dall’Onu e che gli Stati che la riconoscono sono pochissimi.

Altra questione spinosa è quella della nomina dei vescovi. Periodicamente Pechino ottiene dagli aderenti all’Acp la consacrazione di nuovi vescovi (l’ultima volta in gennaio 2000), del tutto ignorando Roma. Così facendo, le strutture della Chiesa che aderiscono all’Associazione hanno libertà d’azione molto maggiore, riconoscimenti, facilitazioni, rapporti ufficiali con l’apposito Ufficio statale per gli Affari religiosi.

E veniamo ai cosiddetti "clandestini". Questi non devono essere pensati come cristiani nelle catacombe, nascosti in ogni loro attività o ignorati nella loro appartenenza. Invece anche questi godono di una – relativa! – libertà di culto e di organizzazione: ma sono con insistenza sollecitati ad aderire all’Acp, vengono controllati nella posta e nei telefoni, periodicamente alcuni di loro vengono fermati o arrestati, hanno continue difficoltà di tipo amministrativo, sono visti con grande sospetto i loro rapporti con l'estero. Insomma, vengono tenuti sotto pressione.

In tale situazione – questa l’impressione complessiva ricavata da contatti diretti e da informazioni avute da fonti credibili – molti "clandestini" sono stati indotti ad aderire all’Acp dalla necessità di salvare il salvabile e di garantirsi una certa libertà d’azione, ma senza alcuna volontà di scissione definitiva. Si è cioè in attesa di una soluzione che potrebbe avere due sbocchi: o una liberalizzazione del regime che rinunci alle sue attuali rigidità che non tollerano un potere esterno al sistema istituzionale cinese, oppure una rinuncia del Vaticano al riconoscimento di Taiwan unita ad un compromesso sul resto (le beatificazioni del primo ottobre sono l’espressione della linea contraria all’accordo, nonostante che il papa durante la cerimonia abbia tentato di attenuare il significato antagonistico del fatto).

Una situazione complessa

La situazione è complessa e non si presta a semplificazioni e a distinzioni nette come invece è colpevolmente facile fare da qui. La divisione pare essere più nelle strutture che non nella "base" dei cattolici. Dove c'è l’Associazione la gran parte dei credenti partecipa alla vita di questa Chiesa; dove non c’è, tutti partecipano alla Chiesa che trovano. Comunque, mi sembra che le situazioni siano molto differenziate da regione a regione.

Certamente il rapporto col governo ha dei costi pesanti, dalla consacrazione di vescovi senza il consenso di Roma al dovere di sostenere il governo quando ci sono delle sollecitazioni di tipo politico. Emblematico è l’appoggio all’esclusione del Dalai Lama dalla citata conferenza dell’Onu o alla campagna contro la cosiddetta setta Fa Lun Gong. Per quanto riguarda invece i cattolici "clandestini" ho avuto l'impressione che il legame con Roma, che altrove nella Chiesa cattolica in molti casi in questo postconcilio wojtyliano è un fattore di freno ed anche di repressione delle dinamiche innovatrici, nella situazione cinese può essere invece l’espressione di valori positivi di indipendenza e quindi di libertà critica nei confronti del potere politico.

Certo, il regime gradirebbe fare della Chiesa cattolica una specie di organizzazione controllata sulla base di uno schema culturale, già tipico delle democrazie popolari est-europee, che prevede un potere monolitico (quello del partito comunista e delle istituzioni dello stato socialista) e poi tante organizzazioni di contorno che non possono mai obiettare alcunché sulle questioni fondamentali che riguardano la politica e le caratteristiche del regime. Ma, per non rimanere sulle generali, vorrei descrivere alcune delle situazioni concrete così come ho potuto conoscerle.

Pechino. La chiesa-cattedrale Nan Dan (chiesa del sud della città), dedicata all'Immacolata Concezione, è la chiesa del vescovo Michele Fu Tieshan, l'esponente più importante dell'Associazione Cattolica Patriottica e, in quanto tale, membro del Comitato permanente dell'Assemblea Nazionale del Popolo ( il Parlamento cinese). Grande, in una posizione prestigiosa, contenuta in uno spazio chiuso (come tutte le Chiese in Cina) non ha immagini del papa nella propria minilibreria anche se mi dicono che la domenica si prega pubblicamente per lui.

A Pechino la Chiesa è particolarmente e comprensibilmente "patriottica". Addirittura sulla principale via della capitale, la Wangfujing (una vetrina dei nuovi consumi) il municipio, con tanto di lapide che enfaticamente lo ricorda, abbattendo edifici ha creato dal niente una grande ed elegante piazza, davanti alla antica chiesa di S. Giuseppe che esso sta ristrutturando insieme al complesso degli edifici parrocchiali. Noi abbiamo visto i lavori quasi terminati e l’inaugurazione credo sia stata fatta in questi giorni. Ovviamente il regime si aspetta un ritorno di immagine per un’iniziativa così visibile nel pieno centro della capitale ed è certo che ci sarà una contropartita ad una scelta così impegnativa. Sarà l’unica chiesa in Cina che si apre su una piazza.

X'ian. Qui, nella città dei guerrieri di terracotta, il vescovo Anthony Li Duan ci riceve con grande calore anche se non avevamo alcun appuntamento. Nella diocesi – apprendiamo – vi sono 240.000 cattolici, 40 preti di cui dieci ordinati di recente, 350 chiese, piccole o grandi, in gran parte distrutte e ora ricostruite, 157 seminaristi nel seminario minore e 150 in quello maggiore, 600 suore. C’è una foto del papa, ma non abbiamo capito con esattezza quale sia il rapporto con l’autorità civile. L’impressione è che quella di Xian sia una diocesi legata a Roma ma anche riconosciuta dalle autorità, certamente è una comunità vitale e, a quello che ci dice il vescovo, presente non solo nelle campagne ma anche tra i giovani e in città. Un suo giovane prete che ha studiato negli Usa ci parla della loro difficile ricerca di una strada tra il comunismo ed il nuovo capitalismo (i giovani preti vengono inviati a studiare, quando è possibile, negli Usa e non a Roma, come invece succedeva una volta).

Anyang. Nella diocesi del mio prozio, il cantiere che avevamo visto nel ‘94 è da tempo terminato. Ora c’è una grande chiesa di uno stile indefinibile ma comunque occidentale, alta sessanta-settanta metri che si fa molto notare in città. Il vescovo e la diocesi sono esplicitamente "clandestini" e le sollecitazioni delle autorità ad aderire all’Acp sono continue ma, a quanto pare, senza seguito. Il vescovo ci dice:"E’ stata dura in questi anni".

La nostra presenza non passa inosservata: come accadde nel ’94, anche adesso sicuramente le autorità andranno a chiedere cosa erano venuti a fare gli stranieri. I telefoni sono controllati, il vescovo è riconosciuto solo come parroco e non avrebbe potuto consacrare recentemente tre nuovi preti i quali, quindi, non potrebbero, secondo le autorità, celebrare messa in pubblico. Ovviamente la celebrano, ma sono sempre passibili di provvedimenti amministrativi. Nella diocesi ci sono poi sei preti molto anziani e sei giovani che non c’erano nel ‘94 (e tre studiano negli Usa). I cattolici sono quarantamila. All’Eucaristia della domenica pomeriggio, cui abbiamo partecipato, erano presenti circa cinquecento fedeli.

Le suore professe di un ordine diocesano fondato dal mio prozio sono ora cento, quasi tutte molto giovani. Ad esse spetta il compito della catechesi nelle famiglie dei cristiani dispersi nelle campagne. Oltre alla chiesa è stato costruito un edificio semplice ma funzionale, come casa episcopale e, a lato, per le suore. Anche nelle due parrocchie della diocesi che visitiamo (e dove suore e fedeli già ci conoscevano) hanno costruito piccoli edifici per abitazione. Hanno due ambulatori oculistici ben attrezzati.

In una di queste due parrocchie il governo ha restituito due anni fa quasi tutto il grande complesso di edifici di cui era costituita la missione negli anni ’30, e che poi era stato confiscato. Sono edifici fatiscenti e la parrocchia non sa proprio come fare a renderli utilizzabili. Insomma, nel complesso la chiesa è povera ma riesce comunque a crescere con fatica, anche con aiuti esterni e vivendo in modo molto semplice, omogeneo alla situazione sociale in cui si trova.

Le suore ci accolgono con grande calore invitandoci a pranzo e poi nei posti dove lavorano e vivono. Il tutto in un clima informale e gioioso. Ritroviamo i luoghi dove operò il nostro antenato, un paio di vecchissime suore lo ricordano, le due grandi lapidi in cinese ed in latino che ne ricordavano le virtù sono state distrutte durante la Rivoluzione culturale dalle "guardie rosse", anche la tomba è stata devastata. Ma la memoria è rimasta ed il seme ha ripreso a germogliare.

Che dire, concludendo? La situazione è complessa come poche altre. In una stabilità di fondo del sistema politico, almeno nel medio periodo, quelli che contano sono i mutamenti nella cultura e nelle dinamiche sociali. Forse la Chiesa cattolica in Cina ha delle opportunità come non ha mai avuto, quelle di essere e di dimostrarsi libera dalla vecchia dipendenza dall’Occidente nel contesto della quale essa si sviluppò nell’Ottocento e nel primo Novecento e di poter cercare contemporaneamente propri criteri di ispirazione evangelica per confrontarsi con una ideologia comunista quasi moribonda e con un capitalismo arrembante di cui noi ben conosciamo l’ispirazione materialista.

Per quanto riguarda la questione Chiesa patriottica-Chiesa clandestina e Vaticano-Repubblica Popolare Cinese, le parole del card. Etchegaray che citavo all’inizio mi sembrano quelle più capaci di vedere e di affrontare i problemi, lontane da quella volontà di riaffermazione della propria identità e di antagonismo che con prepotenza e, a volte, con arroganza manifestano alcuni ambienti vaticani negli ultimi tempi.

Penso che bisognerebbe avere il coraggio di dire con chiarezza che in Cina esiste un'unica Chiesa cattolica che ha, da situazione a situazione, rapporti molto differenti - a volte anche molto conflittuali- con il potere civile.

Vittorio Bellavite




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