"Lo stato è la casa di tutti"

Intervista a Scalfaro sulla "laicità"

Intervista di "Confronti" (a cura di Paolo Naso, n.3 marzo 2000) all'ex presidente Oscar Luigi Scalfaro, un cattolico che riafferma con forza il valore della laicità dello stato e riconosce la ricchezza del pluralismo religioso. Gli incontri con le varie comunità di fede in Italia, l'apprezzamento per la loro testimonianza e spiritualità. Quanto al Concordato……....

 

E' stato il primo a parlare di "par condicio", a porre cioè il problema della parità nelle condizioni di accesso alla comunicazione di massa per tutti i partiti politici. All'indomani del voto parlamentare sugli spot pubblicitari nel corso delle campagne elettorali, Oscar Luigi Scalfaro potrà pensare che quella "esternazione" non era stata vana ed anzi anticipava un tema importante sotto il profilo democratico.

Oggi, l'ex presidente che abitava al Quirinale mentre si scioglievano i partiti della Prima Repubblica e il ciclone di Mani Pulite metteva nell'angolo alcuni dei suoi massimi esponenti, sembra aver fatto un passo indietro; non cerca protagonismi politici ed evita la mischia delle dichiarazioni a tutto campo; al contrario sceglie con cura i temi su cui intervenire e gli incontri pubblici a cui partecipare.

Il senatore a vita è quindi nella condizione migliore per parlare di temi non immediatamente politici. E così è maturata questa intervista che parte proprio da una particolare "par condicio": Scalfaro è stato il primo presidente, ad esempio, che nel suo saluto di fine anno agli italiani ha spesso ricordato insieme alle autorità della Chiesa cattolica anche quelle di altre confessioni religiose. Una piccola attenzione, ma di grande significato in un paese come l'Italia. Dalle vetrate dello studio, alle spalle di palazzo Madama, svettano i campanili di alcune chiese: sulla sinistra, l'inconfondibile cupola della sinagoga sul Lungotevere; sulla destra, con un po' di immaginazione, si potrebbero scorgere le torri del tempio valdese di piazza Cavour.

Presidente, esiste una "par condicio" delle diverse confessioni religiose in Italia? Ad oltre cinquant'anni dal varo della Costituzione, esiste nel nostro paese una piena libertà religiosa?

Ci dovrebbe essere. La Costituzione si esprime in modo molto chiaro. Non siamo più ai tempi dello Statuto albertino, ai tempi dei culti "tollerati" o di quelli "ammessi". Quando uno è tollerato non vi è parità di diritti con gli altri, è una persona in condizione di inferiorità. E questo viola il principio dello stato democratico che riconosce parità di diritti a tutti. La Costituzione garantisce insomma la libertà religiosa e l'uguaglianza delle diverse confessioni di fronte allo stato. Detto questo, in varie occasioni abbiamo registrato delle situazioni di sofferenza da parte di alcune confessioni religiose; quando ero ministro dell'interno - ricordo - e il Parlamento approvò il nuovo Concordato del 1986, si levò forte la voce di un movimento che chiedeva delle Intese per le confessioni diverse dalla cattolica. Alcune sono state approvate, altre sono ancora in itinere.

"La laicità dello stato è presupposto di libertà ed eguaglianza per ogni fede religiosa". Presidente è una sua frase del 1998: che cosa voleva dire?

Che lo stato è la casa di tutti e nessuno ha il diritto di mettervi sopra il proprio marchio o il proprio sigillo. Starei per dire che lo stato ha il diritto di essere laico, ha diritto alla laicità. Mi rendo conto che talvolta questo termine è stato usato in senso antireligioso o anticlericale, ma ognuno sa qual è il suo significato originale.

Le è capitato spesso di avere contatti con le varie comunità di fede presenti in Italia?

Ho partecipato all'inaugurazione della moschea di Roma. Non essendovi una chiesa cristiana alla Mecca o a Medina, non è piccola cosa che in Italia e a Roma sorga una moschea così importante. Ci andai come capo dello stato e quindi in veste ufficiale, ma anche come persona che crede profondamente nei valori religiosi e spirituali. Del resto, ogni volta che mi sono recato in visita nei paesi islamici, o con significative presenze islamiche, ho sempre chiesto di potermi recare nel luogo della preghiera, in moschea. Così come, quando ho potuto, sono andato in sinagoga.

In Arabia Saudita, entrando in una moschea - una grande moschea ricca di splendidi marmi - ricordo di aver puntato dritto al mihrab, alla nicchia che indica la direzione della Mecca, e lì di essermi raccolto in preghiera.

Un cattolico che prega in moschea?

Per me è consolante unire la propria preghiera a quella di altre persone. È un pezzo di civiltà in più, è un gesto che dona alla civiltà un alto valore, quello della spiritualità: quello di chi alza umilmente gli occhi verso l’Onnipotente

E con le altre confessioni religiose?

Sono stato in visita alla sinagoga di Roma ed ho avuto molti incontri con la comunità ebraica che ricordo con gratitudine. Ricordo anche una visita alla sinagoga di Torino, col rabbino che mi condusse in una piccola sala e lì intonò, profondissimo, un salmo. Poi ci sono stati vari incontri con i responsabili e con la presidente di allora dell'Unione delle comunità ebraiche in Italia, Tullia Zevi: una personalità di altissimo profilo culturale e umano. Tante volte ho sperato che potesse essere nominata ministro. Mi sono sempre sentito molto onorato che altri credenti mi invitassero e condividessero con me alcuni momenti della loro vita spirituale. È accaduto anche con gli evangelici: ho partecipato ad alcuni incontri di valdesi e metodisti a Torre Pellice ed a Roma; ho avuto degli incontri con gli avventisti del Settimo giorno. Sempre ho notato in essi una grande profondità spirituale unita a una profonda conoscenza della Bibbia: non solo un fatto culturale, ma una conoscenza viva, concreta, legata alla testimonianza.

Insomma lei crede nel valore dell'incontro. Ma a che cosa serve?

L'armonia tra le comunità religiose determina una maggiore armonia tra la gente e tra i popoli. E proprio per questo occorre lavorare per rendere normale, quotidiano, il dialogo tra credenti di fedi diverse.

Insomma riaffermando il principio del pluralismo religioso si consolida la convivenza democratica. La scuola fa abbastanza per aprire questa strada?

No. Ho notato che all'estero la conoscenza reciproca ed il dialogo sono più diffusi, fanno parte del vissuto quotidiano. Sul piano della formazione quando si parla dell'insegnamento religioso, più di una voce meritevole di grande attenzione ha suggerito che la scuola insegni la storia, la vita, le tradizioni, i dogmi delle varie correnti spirituali e li fede. A mio avviso il tema della formazione confessionale pesa sulle spalle dei responsabili delle singole confessioni religiose; la scuola pubblica ha invece il dovere primario di offrire conoscenze e quindi di presentare le diverse tradizioni nella loro pluralità.

Ha mai avuto rimbrotti da parte di qualche monsignore ancora scettico sui temi del pluralismo o del dialogo?

Rimbrotti no; atteggiamenti di grande distacco sì, ne ho registrati. Ma le persone che si rannuvolano, poco per volta ritroveranno il sole. Non vorrei apparisse un atteggiamento di superbia, ma per me si tratta di principi fondamentali, in cui credo profondamente. Oltretutto non mi vengono dall'insegnamento di qualche ostinato laicista: è quello che ho imparato nell'Azione cattolica e all'Università del Sacro Cuore. Era anche quello che ho imparato dai miei insegnanti di religione al liceo; e sono finiti tutti e due arcivescovi!

Lei parla di armonia e dialogo tra le religioni ma proprio in questi anni e proprio nell'area mediterranea, i fondamentalismi religiosi minano la convivenza interetnica.

Il fondamentalismo è un fenomeno inversamente proporzionale alla convinzione, alla fede nei principi della propria religione. Se c'è oggi un concetto che non ha senso comune è quello di guerra di religione. La religione è sempre un falso scopo che nasconde ben altri obiettivi e interessi.

Quali?

La contaminazione, l'intreccio, l'impasto tra politica e religione è molto peggio dell'atomica.

Qualcuno dice che nel dialogo si perde la propria identità.

No, non si dialoga per trovare un denominatore comune al ribasso: sarebbe un danno spirituale. Ognuno deve sentire la forza della propria religione, della propria specifica tradizione. Una volta mi trovavo in visita in Arabia Saudita ed incontrai un ministro del governo di quel paese: una persona giovane, colta e raffinata, ricca di una grande spiritualità. La conversazione si spostò così dai temi politici ad altri più religiosi ed io mi sentii di dirgli: "Signor ministro, immaginiamo per un attimo che lei non sia un ministro del governo Saudita ed io non sia il presidente della Repubblica italiana, solo per un attimo. Crede davvero che il Corano debba leggersi con criteri necessariamente letterali? Non crede ci possa essere un margine di umanità anche per questo libro sacro?". Il ministro mi guardò e sorrise. "Non mi risponda - proseguii - l'attimo è passato ed io sono tornato presidente e lei è tornato ministro". Nel dialogo non si deve rinunciare alla propria identità; semmai si deve cercare di sommare le ricchezze. Qualcuno richiama spesso l'idea dell'Europa cristiana ed io sono pienamente d'accordo se questo significa conoscere la storia ed intensificare, se cristiani, la propria identità di fede, ma con l'intelligenza e con il cuore spalancati alla convivenza con chi crede in modo diverso ed in principi diversi.

 

Le Intese previste dall'articolo 8 della Costituzione

servono ancora a tutelare le confessioni diverse dalla cattolica?

Anche in questo caso si tratta di riaffermare un principio generale e di garantire il rispetto della Costituzione. Vede, il discorso sulle Intese in realtà muove da quello sul Concordato. Personalmente ho sempre ritenuto che il regime concordatario si spiegasse in situazioni in cui lo stato non era democratico.

Ma l'Italia è un paese democratico.

Ed infatti, su questa materia, io sono sempre stato di parere diverso. Nella misura in cui uno stato è democratico, a regolare i rapporti con le confessioni religiose sono sufficienti degli accordi: per le scuole, il matrimonio, i beni immobili e culturali... In alcune discussioni mi si replica che l'insieme di questi accordi costituisce appunto il Concordato. No: esso consiste in un sistema di garanzie del cittadino che non si sente tutelato nell'esercizio della sua libertà religiosa. Il regime concordatario, storicamente, si spiega con la "Questione romana" e con l'avvento della dittatura fascista. Oltretutto la storia ha dimostrato che di fronte a una dittatura come quella fascista, non c'è trattato di garanzie che tenga: il Concordato fu del 1929, la rottura tra Chiesa cattolica e regime si ebbe nel '30. Ricordo che ero alla prima ginnasio, appena iscritto all'Azione cattolica quando, uscito da scuola, vidi l'ingresso del mio circolo chiuso e sigillati con i timbri di ceralacca.

A che cosa si dovrebbero ancorare, allora, la Chiesa cattolica o qualsiasi altra confessione religiosa?

Alla libertà, al massimo rispetto della libertà. Basta leggere i Vangeli. C'è un episodio che mi ha sempre colpito, quello dell'indemoniato di Gerasa raccontato nell'Evangelo di Luca al capitolo 8. É appunto la storia di un indemoniato che Gesù libera dei demoni che lo opprimono e questi, sconfitti, si rivolgono al Messia, lo supplicano perché egli non comandi loro di precipitare nell'abisso. Lì vicino vi erano dei porci, e chiesero di entrare nel loro corpo. Gesù acconsentì. È una pagina complessa, misteriosa che però evidenzia il rispetto d Dio per la libertà di quegli spiriti. È il tema della libertà che ritorna; la libertà che Dio dona a tutti rispettando anche l'abuso che noi possiamo farne. Gesù ci insegna una libertà piena e forte: è la libertà dal potere, che vale per tutti, per ogni Chiesa, per ciascuno di noi.

 

 

 




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