Le parrocchie senza preti :tre scenari per il futuro
Padre Attilio Stecca, giuseppino, non è più parroco di Ischia di Pergine. Raggiunti gli ottantadue anni ha passato la mano: nuovo parroco di Ischia è padre Augusto Pagan, comboniano, nel contempo parroco di Tenna. Fin qui, è una notiziola locale: ma il fenomeno é socialmente rilevante, trattandosi di una scena tutt'altro che inconsueta, che da qualche anno si ripete sempre uguale in tante piccole comunità (Ischia conta 445 abitanti), erette a parrocchia in questo secolo (Ischia nel 1949) e ora non canonicamente, ma di fatto, soppresse e accorpate a comunità vicine. Il fenomeno non è certo tra i più preoccupanti tra quelli che riguardano la comunità cristiana, ma non può essere oggetto di disinteresse. I vuoti che si aprono tra i ranghi del clero in cura d'anime coinvolgono il vissuto di tanti fedeli che spesso hanno nella chiesa parrocchiale e nel parroco, per quanto anziano, uno degli ultimi punti di riferimento comunitari. Il presente è dunque quello che vede il riassorbimento di tante piccole comunità parrocchiali in altre più grandi, e l'affidamento ad un singolo prete di più parrocchie. E il futuro? A meno di improbabili aumenti nelle vocazioni celibatarie al presbiterato, il calo numerico del clero in cura d'anime proseguirà. Vorrei proporre alla riflessione tre scenari, corrispondenti ad altrettante scelte che chi guida la comunità cristiana potrà fare nei prossimi anni. Primo scenario. Fermo restando l'attuale struttura dell'ordine sacro e dei criteri richiesti per accedervi (sesso maschile, celibato, tempi lunghi di formazione, disponibilità a tempo pieno e indeterminato), andiamo verso una Chiesa strutturata su poche (pochissime) parrocchie, di grandi dimensioni, nelle quali alcuni ministri consacrati coordineranno una pastorale che, al livello delle attuali parrocchie, sarà in gran parte affidata alla buona volontà dei laici. Questi gestiranno catechesi, matrimoni, battesimi, liturgie della parola, funerali lasciando al "prete volante", che farà la sua comparsa in qualche orario domenicale, solo la celebrazione dell'eucarestia e della confessione. Secondo scenario (variante del primo). La Chiesa potrebbe riscoprire la ministerialità minore, ossia quei gradi dell'ordine sacro che, fino a qualche anno fa, erano concepiti solo come gradini verso il presbiterato e che da qualche tempo hanno ricominciato ad esistere con il diaconato permanente. Alcuni dei laici più impegnati potrebbero essere adeguatamente formati e promossi a lettori, ostiari (custodi), diaconi, catechisti, o ad altri ministeri del tutto nuovi, in modo da poter presiedere alla pastorale locale con consapevolezza e pienezza di diritti (lasciando ancora una volta al prete solo le celebrazioni per le quali si ritiene necessaria la presenza di un ministro pienamente consacrato). Terzo scenario. Se fossero modificate le norme ecclesiali che attualmente regolano l'accesso al presbiterato, si potrebbe andare verso una chiesa fatta di comunità simili a quelle attuali per numero e "densità", ma guidate da un ministro dalle caratteristiche personali - diciamo così - molto diverse da quelle attuali. Tutti e tre gli scenari sono stati in parte già sperimentati in Paesi che hanno vissuto il calo numerico del clero prima di noi, o in terra di missione, o presso confessioni diverse da quella cattolica. Ciascuno presenta vantaggi e rischi. Non dev'essere dimenticato il carattere di "dono" del sacramento, che la comunità riceve da Dio e non può creare da sè stessa; ma non si può neppure sacralizzare il prete, che (nel primo e nel secondo scenario) potrebbe divenire il mediatore estraneo alla comunità che, solo, ha il potere di consacrare l'eucarestia. Cadremmo così in una concezione del ministero (tutt'altro che malvista in alcuni ambienti) che speravamo superata con il Concilio Vaticano II. La crescita del laicato cristiano, estremamente necessaria soprattutto in terre di cattolici biblicamente e teologicamente poco formati come le nostre, non deve sfociare nella creazione di una nuova casta di "cristiani più cristiani", magari più clericali del clero, all'interno delle comunità. Né potranno essere abbandonati a cuor leggero i criteri che hanno finora presieduto alla selezione del clero: la norma riguardante il celibato è stata elaborata anche allo scopo di evitare la formazione di una casta ereditaria di "possessori del sacro"; la scelta di puntare su ministri sposati o donne ha grandi potenzialità (pensiamo a come potrebbe giovarsene la pastorale familiare, o alle prospettive che apre la teologia al femminile) ma molti, almeno nel contesto attuale, la giudicano ancora una fuga in avanti. Tutti e tre gli scenari richiedono lo sforzo della scelta. L'orientamento generale va nella prima direzione, quella del "prete volante" e della delega al laicato di quanto si considera delegabile. Ma molti settori della gerarchia ecclesiastica sarebbero ben più contenti di poter ignorare l'esistenza del problema, affidando sempre più parrocchie e competenze a singoli preti, magari ottantenni, e rifiutando ogni tipo di delega al laicato (fino a pensare di riempire i vuoti che si aprono e si apriranno con preti non europei, seguendo l'esempio di congregazioni religiose che ormai sopravvivono solo grazie all'"importazione" delle suore: un fenomeno interessante per gli equilibri etnici all'interno della nostra comunità cristiana occidentale e occidentalizzata... ma quale modello di Chiesa viene in tal modo sostenuto?). Ignorare il problema significa però accettare pacificamente l'idea che gran parte dei battezzati possa essere lasciata priva dei segni e degli strumenti della salvezza. Può una Chiesa che si appresta a celebrare lo straordinario (il Giubileo) considerare irrilevante la vita di tutti i giorni? Detto con le parole di Reinhold Stecher, vescovo emerito di Innsbruck: "il ministero nella chiesa è secondo la sua accezione biblica un ministero al servizio della salvezza e non una finalità sacralizzata in se stessa, e alla quale può essere totalmente indifferente il fatto che milioni e milioni di parrocchiani non abbiano la minima possibilità né di ricevere i sacramenti di salvezza né di celebrare in modo umanamente degno quell'eucarestia che, da un punto di vista tanto dogmatico quanto biblico, è il centro della loro comunità". Un ministero al servizio della salvezza: a partire da questo principio le comunità ed i singoli cristiani dovranno riflettere e pregare per trovare, con l'aiuto dello Spirito che è Signore e dà la vita, il modo adatto per essere Chiesa di Cristo nella nostra terra e nella nostra epoca. Emanuele Curzel da "L'Adige", 2 settembre 1999 ) |