Manuale anti-Islam. I vescovi chiamano i fedeli alla resistenza Ecco le istruzioni per non soccombere all’‘invasione’ MICHELE SMARGIASSI Un arsenale per la nuova battaglia di Poitiers. Quaranta pagine di armi (dialettiche, s’intende) per la sfida che s’annuncia inevitabile fra Islam e Cristianesimo. Le hanno prodotte i vescovi dell’Emilia Romagna. Che non sono tutti altrettanto radicalmente tradizionalisti del loro primus inter pares Giacomo Biffi, e nel testo di questo libretto si nota la mancanza delle proposte più choccanti che il cardinale anti-islamico ha lanciato negli ultimi mesi; ma sono come lui (e come molti laici, d’altra parte), preoccupati per l’impatto che avrà la cultura islamica in arrivo dentro le borse di plastica degli immigrati nordafricani, pronta a diventare pietre e mattoni di moschee e centri culturali musulmani, al punto che "molti si chiedono se l’Islam, soprattutto attraverso l’immigrazione e una natalità superiore alla media, non stia invadendo a poco a poco l’Europa per trasformarla in ‘Terra d’Islam’". Non basta, com’è naturale, pretendere dai nuovi venuti il "dovere morale" di rispettare le regole e la società in cui arrivano. Trattasi di vera "invasione", ribadiscono i vescovi. Favorita dalla "debolezza delle comunità ecclesiali", minate anch’esse dal "vuoto di valori" di un’Europa "sedicente cristiana, in realtà secolarizzata". L’allarme non è nuovo: ora assistiamo alla corsa alle armi. La prima è proprio questo libretto, strumento d’uso, non di studio; da tenere nella tasca della tonaca più che nella biblioteca dell’oratorio. Distribuito in modo capillare a tutti i parroci della regione, materialmente compilato da don Davide Righi, docente allo Studio Teologico Bolognese, serve a tappare le falle di una comunità cattolica "completamente sguarnita da un punto di vista culturale e concettuale" di fronte alla destrezza dialettica dei ‘concorrenti’. Ai vescovi, nonostante le dichiarazioni di principio, non interessa con queste pagine militanti spiegare cos’è l’Islam: anche se il volumetto è ricco di informazioni e di particolari sui riti e l’organizzazione della fede in Allah, non c’è trattazione sistematica (non sono neppure spiegati i "cinque pilastri" dell’Islam). C’è invece una guida efficace, puntuale, sintetica per la confutazione delle posizioni altrui e l’esaltazione della superiorità, bellezza e verità delle proprie (non c’è nulla di strano: anche i pamphlet islamici destinati ai lettori italiani sono confezionati nello stesso modo). Il libretto, insomma, dovrà servire a svegliare un po’ l’orgoglio di quelle parrocchie che finora, di fronte al "pericolo islamico", si sono limitate a organizzare "la conferenza nella sala parrocchiale, tenuta, quando va bene, da un esperto", ironizzano i vescovi; e che invece dovrebbero, "a fronte dell’identità islamica, fa risaltare tutta la bellezza dell’identità cristiana cattolica". Perché se è vero che islam e cristianesimo sono "imparagonabili", bisogna anche saperlo dimostrare. Questo fa il libretto, con indiscutibile chiarezza e sintesi. Smentisce interpretazioni troppo benevole e concilianti: ad esempio che esistano "molti islam", alcuni integralisti altri tolleranti ("C’è un solo islam fondato sulla sua legge e il suo profeta"); o che islam e cristianesimo possano sentirsi avvicinati dall’essere entrambe "religioni del Libro" ("È una mentalità già coranica"). Quindi, in sei punti decisivi, le "differenze sostanziali" tra le due fedi vengono messe a serrato confronto: l’unità e trinità di Dio contro l’unità e unicità di Allah; l’inconoscibilità assoluta del Dio di Maometto contro l’inconoscibilità del Dio del Vangelo temperata dalla rivelazione; l’obbedienza letterale al Corano contro l’obbedienza cristiana che nasce dalla conoscenza e dalla comunione in spirito; la rivelazione di Allah che avviene tutta e solo nel Corano contro la rivelazione di Cristo che avviene nel Verbo incarnato; e infine le due differenze più "politiche": la subordinazione del singolo alla comunità islamica contro la dignità della persona umana nel cristianesimo; l’integralismo islamico per cui religione e stato sono la stessa cosa, contro la "laicità" cattolica per cui la Chiesa non si identifica col potere. E poi, naturalmente, serve l’esempio. Il cristianesimo è fede di testimonianza. Qui i vescovi sgridano senza diplomazie: i musulmani sono senz’altro "duri, sostanzialmente intolleranti", ma hanno grande affetto per i loro riti; dov’è invece il rispetto dei cristiani per la Quaresima, il venerdì di magro, la penitenza? Dov’è soprattutto il dovere dell’annuncio evangelico? Non si tratta, dicono i vescovi, di sfruttare la carità per far proselitismo, di "barattare una conversione con un litro di latte": ma la carità non basta più, la posta sta diventando troppo alta. Lo dimostrano le conversioni di italiani all’Islam, che per la prima volta sembrano preoccupare i vescovi, non tanto per la quantità, ma perché l’islam, "religione che chiede solo un atto di fede e sembra essere senza dogmi, misteri e gerarchie", sembra dimostrarsi, più del cattolicesimo, "una plausibile alternativa alla mancanza di speranza" di una società secolarizzata. L’islam non tenta i cattolici, ma conquista gli agnostici. Un mondo di senza fede addolora i vescovi: una religione per i senza-fede li spaventa. Michele Smargiassi Da "Repubblica", cronaca di Bologna del 17 dicembre 2000 |